Gli occhi del mondo politico convergono su New York, dove i lavori dell’Assemblea Generale entrano nel vivo e le agende dei capi di Stato si incrociano tra bilaterali serrati e dossier incandescenti. Sulle rive dell’East River si misurano speranze di pace, tensioni finanziarie e calcoli di diplomazia, in un intreccio destinato a lasciare segni profondi nelle relazioni internazionali.
Una sessione segnata dalle tensioni finanziarie
Il sipario dell’80ma sessione dell’Assemblea Generale si è alzato in un contesto di grave carenza di liquidità, provocata in larga parte dal mancato versamento dei contributi statunitensi al bilancio dell’ONU. Nonostante la situazione di cassa, la consueta Settimana ad Alto Livello riporta sul podio del Palazzo di Vetro quasi tutti i principali leader globali, decisi a far sentire la propria voce. Il protocollo, immutato da decenni, affida l’apertura al presidente brasiliano Luiz Inácio Lula da Silva; subito dopo, in qualità di padrone di casa, parlerà il presidente degli Stati Uniti Donald Trump. Alla neonata presidente dell’Assemblea, l’ex ministra tedesca Annalena Baerbock, spetta il compito di ricordare lo slogan scelto per la sessione – «Better together: 80 years and more for peace, development and human rights» – che suona quasi come un invito a deporre le rivalità a favore di un multilateralismo più coeso.
Il battesimo dei lavori, però, non si esaurisce negli interventi inaugurali. L’intero palinsesto è punteggiato da riunioni del Consiglio di Sicurezza, tavoli di crisi e vertici informali, chiamati a inseguire soluzioni su due fronti di guerra – Ucraina e Gaza – senza dimenticare l’indurimento delle posizioni su Teheran e il rischio di un “snap back” delle sanzioni entro fine mese. Nel frattempo, la macchina logistica tenta di garantire continuità operativa all’Onu, mentre i funzionari contabili fanno i conti con stanziamenti che non arrivano e spese impreviste che si moltiplicano.
Il fitto calendario di Donald Trump
A imporsi nel flusso di appuntamenti è il programma di Trump, scandito da incontri bilaterali e da un vertice multilaterale di particolare rilievo. In mattinata il leader statunitense incrocerà Volodymyr Zelensky, Javier Milei, il segretario generale António Guterres e la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen. In parallelo è fissata una riunione congiunta con i vertici di Qatar, Arabia Saudita, Indonesia, Turchia, Pakistan, Egitto, Emirati Arabi Uniti e Giordania, attesa per misurare lo stato dei rapporti con il mondo islamico. La giornata si chiuderà con un ricevimento in onore delle delegazioni, preceduto da un discorso definito dallo staff «cruciale per celebrare il rinnovato vigore dell’America nel mondo».
Proprio sul nodo di Gaza, la portavoce Karoline Leavitt ha riaffermato la contrarietà del presidente al riconoscimento unilaterale di uno Stato palestinese. Nella visione della Casa Bianca, tale passo non agevolerebbe la liberazione degli ostaggi né la cessazione delle ostilità, finendo anzi per fornire “una ricompensa a Hamas”. La posizione ribadisce la linea di continuità con l’attuale dottrina statunitense: sostegno alla sicurezza israeliana, pressione sui partner arabi per un approccio comune e rifiuto di decisioni percepite come affrettate o sbilanciate.
Focus sulla crisi di Gaza e la Conferenza internazionale
Tra gli eventi collaterali, la conferenza dedicata alla «risoluzione pacifica della questione palestinese» – co-presieduta da Francia e Arabia Saudita – ha catturato l’attenzione mediatica. In quella sede Parigi e un nutrito gruppo di Paesi, fra cui Andorra, Australia, Belgio, Canada, Lussemburgo, Portogallo, Malta, Regno Unito e San Marino, hanno annunciato il riconoscimento formale dello Stato palestinese. Un gesto che tenta di imprimere una scossa diplomatica a un conflitto giudicato giunto a un bivio critico, tra emergenza umanitaria, recrudescenza militare e stallo negoziale.
Per l’Italia ha preso la parola il ministro degli Esteri Antonio Tajani, sottolineando la «situazione umanitaria catastrofica» all’interno della Striscia. Tajani ha ribadito il rifiuto di Roma verso qualsiasi ipotesi di occupazione o trasferimento della popolazione gazana e ha deplorato l’espansione degli insediamenti israeliani in Cisgiordania. In egual misura ha condannato i recenti attentati di Hamas a Gerusalemme, indicando la necessità di una Gaza libera dal movimento estremista e riunificata con la Cisgiordania sotto un’Autorità palestinese rafforzata. L’Italia, ha aggiunto, sostiene il dispiegamento di una missione di stabilizzazione sotto egida Onu e ha già inviato Carabinieri per addestrare le forze di polizia palestinesi, convinta che la soluzione dei due Stati resti l’unica via percorribile verso una pace duratura.
Il dibattito generale e i dossier più caldi
Alle 15, ora italiana, il Dibattito Generale prenderà ufficialmente il via, sotto lo sguardo di centinaia di delegati pronti a misurare la temperatura del multilateralismo. In agenda figurano due riunioni del Consiglio di Sicurezza, la prima dedicata all’emergenza di Gaza, la seconda alla guerra in Ucraina. Il tema prescelto da Baerbock – «Better together» – si presta a una riflessione collettiva su un ordine globale che appare in precario equilibrio fra ambizioni nazionali e necessità di cooperazione, mentre il pianeta affronta conflitti armati, cambiamento climatico e disuguaglianze economiche.
Sul tavolo incombe anche la partita del nucleare iraniano: se entro il 28 settembre non verrà raggiunta un’intesa, scatterà il meccanismo di snap back che reintrodurrà le sanzioni Onu contro Teheran. Non meno cruciale sarà la lente puntata sul continente africano, dalle possibili riunioni sulla Libia all’evento organizzato dalla Comunità di Sant’Egidio con il presidente della Repubblica Centrafricana. A margine, l’Italia ospiterà la tradizionale riunione sui Balcani occidentali, mentre ministri e sherpa parteciperanno a incontri Cae, G7 e G20 per allineare posizioni su commercio, energia e sicurezza.
Gli interventi attesi e gli incontri bilaterali
Fra i discorsi in calendario oggi spiccano quelli del presidente turco Recep Tayyip Erdogan e dei sovrani di Giordania, Egitto e Qatar, quest’ultimo di recente colpito da un raid aereo israeliano che avrebbe preso di mira la leadership di Hamas a Doha. Seguiranno gli interventi del presidente francese Emmanuel Macron e del capo di Stato polacco Karol Nawrocki, con Varsavia ancora scossa dall’incursione di presunti droni russi nel proprio spazio aereo. L’ordine del giorno riflette un mosaico di interessi: dai flussi migratori alla sicurezza energetica, passando per l’intelligenza artificiale e la riforma del Consiglio di Sicurezza.
Domani sarà il momento di Volodymyr Zelensky, che a margine dell’Assemblea dovrebbe incrociare nuovamente Trump, mentre restano flebili le chances di un faccia a faccia con Vladimir Putin. Nella notte tra mercoledì e giovedì è previsto l’intervento della premier italiana Giorgia Meloni. Giovedì toccherà invece al presidente dell’Autorità Nazionale Palestinese, Mahmoud Abbas, costretto al collegamento video dopo la negazione del visto da parte statunitense. Venerdì chiuderanno la settimana il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, il premier cinese Li Qiang e il capo del governo britannico Keir Starmer. Sullo sfondo già si intravede la corsa a succedere al segretario generale António Guterres, in scadenza a fine 2026: l’America Latina e i Caraibi rivendicano la prossima nomina, aprendo a una nuova stagione di candidature destinate a infiammare il dibattito nei mesi a venire.
