Da oggi, il brano che ha riaperto le porte delle sorgenti blues di Mora & Bronski è finalmente disponibile in ogni store digitale. «Some Of These Days» firma un ritorno allo spazio dove tutto ebbe inizio, ma con un linguaggio nuovo, capace di parlare tanto ai nostalgici quanto agli ascoltatori più curiosi.
Radici e futuro
Fin dal primo accordo, l’atmosfera di Some Of These Days avvolge l’ascoltatore in una corrente che viene da lontano. Il duo emiliano, forte di una lunga militanza fra palchi, sale prova e innumerevoli chilometri on the road, sceglie di riabbracciare la matrice afroamericana che li ha formati. La sezione ritmica essenziale e la chitarra acustica di Fabio Ferraboschi costruiscono un binario solido, sopra il quale la voce graffiante di Fabio Mora scivola e ruggisce. Ne deriva un blues viscerale che, pur restando fedele alle origini, respira una modernità data da scelte timbriche attente e da un lavoro di produzione che privilegia la naturalezza dell’esecuzione.
In parallelo, la data del 18 settembre segna il debutto ufficiale di questa nuova versione su tutte le piattaforme digitali. Chi preme play si trova catapultato dentro una sessione dal vivo che profuma di legno e valvole incandescenti, ma che non rinuncia a una brillantezza sonora tipica delle release contemporanee. Il brano, originariamente parte di un repertorio quasi dimenticato, viene restituito con un tempo più serrato, un groove sottile e una cura per i dettagli che mette in risalto la dialettica fra tradizione e sperimentazione. Il passato diventa così una bussola, non un vincolo, permettendo a Mora & Bronski di rivolgersi, con la stessa naturalezza, a chi conosce il pezzo da sempre e a chi lo incontra oggi per la prima volta.
Un inno contemporaneo che fa rivivere un classico dimenticato
La scelta di rimettere mano a un brano nato agli albori del Novecento non è frutto di nostalgia, ma di una precisa volontà artistica. Mora & Bronski partono dall’intuizione che le canzoni sopravvivono soltanto se continuano a cambiare pelle. Per questo motivo rifuggono la tentazione di riproporre la partitura originale nota per nota: ne sostituiscono talvolta l’armonia, asciugano certe frasi, aggiungono riverberi minimi che accennano alla modernità, e si affidano all’elasticità del tempo interpretativo per ridare fiato a parole che rischiavano di restare sepolte nei solchi di vecchi vinili.
Riportare alla luce un pezzo storicamente collocato in un’altra epoca, senza trasformarlo in semplice reliquia, richiede un equilibrio delicato. Per raggiungerlo, i due musicisti attingono a un vissuto fatto di ascolti disparati: dal country rurale alle big band degli anni Quaranta, fino alle esperienze più recenti del cantautorato italiano. Tutte queste influenze, lungi dal confondere la direzione, si amalgamano in una trama sonora che ribadisce la propria identità. Così, il nuovo singolo diventa un ponte: invita il pubblico a camminare dalla sala d’incisione di oggi fino ai club fumosi di ieri, senza mai girare le spalle all’immediatezza emozionale.
Il viaggio di Mora & Bronski
La storia artistica di Mora & Bronski è un itinerario lungo tre album – «Naif», «2» e «50/50» – e innumerevoli chilometri macinati davanti a pubblici molto diversi. In ogni tappa i due Fabios hanno affinato una formula che oscilla fra folk, blues, rock’n’roll e il più intimo cantautorato nostrano. L’intenzione è sempre la stessa: smontare i confini di genere per portare alla luce quelle “sfumature tra il bianco e il nero” che rappresentano la spina dorsale della tradizione americana. Non si tratta di esercizi di stile, bensì di un approfondimento costante del rapporto fra parola e ritmo, fra storia personale e memoria collettiva.
Il formato “power duo” – solo voce e chitarra acustica – potrebbe sembrare spartano, ma l’alchimia tra i due musicisti riempie lo spazio sonoro in modo sorprendente. La sei corde di Ferraboschi alterna percussioni sul legno a fraseggi melodici, mentre la voce di Mora passa con disinvoltura dal sussurro all’urlo controllato, dando vita a performance che non lasciano indifferenti. Nel dialogo tra loro c’è la consapevolezza di chi ha ascoltato le grandi orchestre blues, ma anche la curiosità di chi vuole continuare a sperimentare. È grazie a questa dinamica che «Some Of These Days» risuona autentica e, al contempo, proiettata in avanti, come se il passato avesse finalmente ritrovato il passo giusto per camminare accanto al presente.
