Il dibattito esploso dopo le recenti dichiarazioni di Donald Trump sul clima ha suscitato reazioni immediate nella comunità scientifica. Tra le voci più autorevoli è emersa quella di Luca Mercalli, presidente della Società Meteorologica Italiana, che ha smontato punto per punto le tesi dell’inquilino della Casa Bianca, accusato di minimizzare un tema sostenuto da oltre un secolo di ricerche documentate.
L’opinione di un climatologo
Primo aspetto rilevato da Mercalli: non basta rivestire un ruolo istituzionale per arrogarsi competenze tecniche. Secondo il climatologo, il presidente statunitense si è lanciato in affermazioni roboanti definendo il riscaldamento globale “la più grande truffa a livello planetario”, ma lo ha fatto senza possedere le basi disciplinari necessarie. L’esperto sottolinea come chiunque, privo di conoscenze specifiche, possa sparare sentenze, tuttavia il peso di quelle parole resta nullo dal punto di vista scientifico. Non esistono deroghe alle evidenze: nessun incarico politico può sovvertire il metodo sperimentale che regola la ricerca.
Il climatologo ha poi puntato il dito contro l’esaltazione del “carbone pulito e bello”, espressione che ai suoi occhi rivela più di un secondo fine. Mercalli vede in quella formula un assist alle aziende dei combustibili fossili, settori che trarrebbero beneficio dal prolungamento di un modello energetico datato. Per lo scienziato, insistere su una risorsa che, di fatto, alimenta l’aumento di CO₂ significa ignorare volontariamente la portata delle conseguenze ambientali pur di difendere interessi economici consolidati. La critica, quindi, non si limita al merito tecnico, ma chiama in causa la matrice politica di certe scelte.
Le radici storiche della scienza climatica
Per confutare l’idea di “frode globale”, Mercalli ricorda che la climatologia moderna non nasce certo ieri. Già nel 1896, lo svedese Svante Arrhenius, premio Nobel, collegò la combustione del carbone all’aumento delle temperature, fornendo la prima analisi quantitativa dell’effetto serra. Da quel momento la conoscenza si è affinata, arricchendosi di migliaia di studi, modelli e misurazioni che convergono su un punto: la responsabilità umana nell’alterare la composizione atmosferica. Respingere questa eredità significherebbe cancellare oltre un secolo di lavoro condiviso.
A distanza di pochi giorni dalle parole di Trump, l’Accademia delle Scienze degli Stati Uniti ha diffuso l’ennesimo rapporto che conferma il nesso tra attività antropiche e cambiamento climatico. L’istituzione, considerata una delle massime autorità scientifiche mondiali, ribadisce che la combustione di petrolio, gas e carbone è la principale causa dell’aumento di gas serra. Il documento, frutto di un processo di revisione rigoroso, smentisce in modo netto la retorica negazionista, dimostrando che la comunità scientifica statunitense non è allineata con il pensiero del proprio presidente.
Il ruolo delle Nazioni Unite nella conoscenza climatica
All’accusa rivolta all’ONU di essere il perno di una presunta cospirazione, Mercalli replica ricordando la natura stessa dell’ente. Le Nazioni Unite non conducono sperimentazioni autonome: coordinano e sintetizzano gli studi realizzati in tutti i Paesi, Stati Uniti inclusi. Migliaia di ricercatori, italiani compresi, partecipano a titolo gratuito alla stesura dei report, offrendo competenze e dati verificati. Si tratta di un lavoro corale, trasparente, basato su standard metodologici condivisi.
Incolpare l’ONU, quindi, risulta del tutto privo di senso logico. Per avallare la posizione di Trump occorrerebbe rigettare l’intera produzione scientifica mondiale, rinnegando secoli di progresso del pensiero critico. Mercalli conclude che il dibattito non può essere ridotto a slogan politici: le prove raccolte dal 1896 a oggi parlano chiaro, e ignorarle equivale a scegliere deliberatamente l’oscurantismo.
