All’inaugurazione della nuova clinica di Ivi a Roma, il fondatore Antonio Pellicer ha delineato una prospettiva che cambierà il volto della procreazione medicalmente assistita: entro cinque anni, l’intelligenza artificiale diventerà compagna quotidiana di medici e biologi, spingendo i trattamenti verso tassi di riuscita ancora più elevati e percorsi di cura su misura.
Le applicazioni digitali che cambieranno i protocolli di cura
Nel suo intervento, Pellicer ha spiegato che la cartella clinica elettronica adottata dal gruppo è già in grado di interpretare anamnesi e dati biologici, confrontandoli con milioni di record raccolti negli ultimi decenni. Attraverso algoritmi di machine learning, i software suggeriranno ai ginecologi le strategie di stimolazione più adatte, indicheranno i tempi migliori per il prelievo ovocitario e valuteranno in tempo reale la qualità embrionale. Nonostante il supporto digitale, il giudizio clinico resterà irrinunciabile, perché dietro ogni fecondazione c’è una storia personale che nessun codice può sostituire.
Il cambiamento non riguarderà soltanto i sistemi informatici. Secondo il fondatore, il ginecologo del futuro dovrà dialogare con genetisti, esperti di infertilità maschile e professionisti di laboratorio per costruire percorsi integrati. In questa evoluzione, l’intelligenza artificiale diventerà un ponte tra specialità diverse, mentre pazienti sempre più informate arrivano già in studio dopo aver consultato ChatGpt o altre piattaforme. L’equilibrio tra informazioni online e relazione diretta con i medici sarà la chiave per non trasformare la tecnologia in un ostacolo emotivo.
Dal 6% degli anni Ottanta a risultati mai visti prima
Negli anni Ottanta, l’embrione impiantato correva soltanto un «6 per cento» di probabilità di attecchire: un dato che, se oggi lo raccontassimo alle coppie in lista d’attesa, sembrerebbe appartenere a un’altra epoca. Oggi quel valore è salito al 65 per cento e, sostiene Pellicer, i prossimi step tecnologici spingeranno l’asticella al 70-75. La perfezione resterà un miraggio, ma la traiettoria dei risultati fotografa un progresso che nessun altro settore medico può vantare con la stessa rapidità di crescita continuativa evidente.
Il salto qualitativo non è frutto di un colpo di fortuna: a guidarlo sono stati studi in laboratorio, investimento nella genomica e una filosofia che mette sempre il paziente al centro. Dal 1990 la fondazione scientifica collegata alla rete di cliniche ha generato metodiche ora diffuse in tutto il mondo, dalle tecniche di vitrificazione ovocitaria al raffinato sistema di analisi sugli embrioni. L’impegno a cercare risposte personalizzate resta il motore di ogni nuova sperimentazione in quel microcosmo di cellule e speranze.
Un gruppo nato a Valencia e cresciuto nel mondo
Quando aprì la prima sede a Valencia nel 1990, Pellicer non immaginava forse che, trentacinque anni dopo, avrebbe guidato una struttura diffusa in cinque continenti con oltre 190 centri. Oggi il brand mantiene gli stessi protocolli di qualità di allora, ma dispone di risorse economiche che permettono di aggiornare tecnologie, formare il personale e sostenere la ricerca interna senza dover ricorrere a capitali esterni. La crescita, spiegano da Ivi, non ha mai significato un compromesso sulla cura del dettaglio quotidiano.
Grazie a una rete di strutture interconnesse, le scoperte realizzate in un laboratorio vengono messe a disposizione delle altre cliniche in poche ore, generando un flusso di conoscenze continuo. Il modello organizzativo valorizza l’autonomia dei singoli centri ma impone standard comuni su sicurezza, tracciabilità degli ovociti e controllo di qualità dei media di coltura. In questo modo la coppia che si rivolge a Ivi, indipendentemente dal Paese, riceve lo stesso livello di assistenza, alimentando un circolo virtuoso di fiducia globale.
Più sostegno pubblico per contrastare il calo delle nascite
La procreazione medicalmente assistita non è più soltanto una risposta individuale all’infertilità: nella visione di Pellicer, rappresenta uno strumento strategico per arginare il crollo demografico che interessa gran parte dell’Europa. Per questo l’esperto rilancia l’appello a governi nazionali e Unione europea affinché incrementino gli investimenti nella ricerca e, soprattutto, facilitino l’accesso ai trattamenti a quelle coppie che non dispongono delle risorse necessarie. La natalità, ricorda, è patrimonio collettivo e non può dipendere esclusivamente dalle capacità economiche dei singoli cittadini isolati.
Un intervento pubblico strutturato potrebbe tradursi in programmi di rimborso, incentivi fiscali o fondi dedicati alla crioconservazione, abbattendo le barriere che ancora oggi impediscono a molte famiglie di intraprendere il percorso di fecondazione. I clinici, dal canto loro, ribadiscono di essere pronti a condividere dati e competenze con le autorità sanitarie, purché la burocrazia non rallenti l’innovazione. Tra ottimizzazione tecnologica e sostegno economico, il futuro della fertilità passa da un patto di corresponsabilità tra scienza e istituzioni in evoluzione costante.
