Ascoltare il silenzio può risultare più rumoroso di mille voci: è da questo paradosso che nasce il nuovo brano di Lara Serrano. La cantautrice genovese sceglie di trasformare l’assenza in un atto di presenza, raccontando la fine di un amore che continua a pulsare nelle pieghe di giorni e luoghi condivisi.
Il valore della pausa
In un momento storico in cui ogni sentimento sembra dover essere esibito, misurato in decibel e condiviso in tempo reale, Lara Serrano decide di sottrarsi al clamore. Con “Silenzio Assenzio” la giovane autrice ripesca l’arte di tacere per restituirle dignità, mostrando che le parole mancate possono diventare un confine protettivo, non un vuoto da colmare. Scegliere di non spiegare, di non inviare l’ennesimo messaggio, di non chiedere chiarimenti, diventa così una dichiarazione d’indipendenza emotiva. Il singolo non chiude porte: disegna uno spazio in cui curarsi mentre il rumore intorno corre veloce.
Il silenzio evocato dal brano si distacca nettamente dall’idea di fuga codarda. Anzi, si configura come un gesto di rispetto verso sé stessi e verso chi non ha saputo trovare le parole giuste. C’è un confine sottile tra il tacere per sottrarsi alle responsabilità e il tacere per non infliggere altro dolore; Serrano si posiziona sul secondo versante. La sua voce, appena sopra un sussurro, racconta che il silenzio può farsi ordine, può diventare cornice attraverso cui rivedere il film di una relazione senza cadere nell’autocommiserazione. Da qui prende forma un messaggio potente: esiste una libertà che non urla, ma che si rinforza proprio mentre sceglie di non replicare.
Quando i legami si dissolvono
Lo sguardo di Lara Serrano intercetta una realtà descritta da tempo dalle scienze sociali. Le chiamano “relazioni liquide”, nodi affettivi che non si spezzano con un taglio netto ma si consumano lentamente, quasi evaporando. Zygmunt Bauman ha osservato come, nella cosiddetta società liquida, i rapporti si adattino alla logica del consumo: si cercano emozioni pronte all’uso e si abbandonano quando diventano impegnative. La canzone, senza sfoderare tesi accademiche, fotografa quel preciso istante in cui l’altro continua ad abitare i ricordi pur avendo già lasciato la stanza, costringendo chi resta a negoziare tra nostalgia e amor proprio.
In Italia, il quadro statistico conferma l’intuizione artistica. Le rilevazioni congiunte di Censis e Istat del 2024 rivelano che più della metà dei giovani adulti ha chiuso almeno una storia senza affrontare un vero faccia a faccia. Messaggi lasciati in sospeso, telefonate mancate e giorni di distanza diventano un rituale tacito, fino a tramutarsi in assenza definitiva. Questi silenzi dilatati non consolano, ma evitano lo scontro; al tempo stesso impediscono una reale elaborazione del lutto sentimentale. La scelta della cantautrice di concentrare la narrazione proprio su quel silenzio consapevole fornisce così una colonna sonora, dolce e amarissima, a un comportamento collettivo che fatica ad ammettersi fragile.
Silenzio Assenzio: una scelta consapevole
Il testo di “Silenzio Assenzio” alterna immagini nitide a intuizioni oblique, tratteggiando la zona grigia tra rimpianto e liberazione. L’esempio più vivido è il verso: «Mi devi un tramonto a Roma, alla terrazza del Pincio a cantare a squarciagola». Qui la capitale diventa un luogo mai abitato davvero, promessa rimasta sospesa come una cambiale emotiva. È il dettaglio che basta a dimostrare quanto le aspettative possano restare ancorate ai panorami non vissuti, più che ai ricordi reali. La città eterna assume così il volto di un non-luogo, scenario di un amore incapace di tenere fede a sé stesso.
La seconda immagine cardine si concentra sull’assenzio, liquore potente che nella cultura letteraria ha sempre rappresentato lucidità dolorosa e vertigine creativa. Nel ritornello, la cantautrice offre un brindisi amaro: «Ti lascio in un silenzio denso, in un silenzio assenzio». Quel sorso che brucia la gola diventa metafora di una memoria incapace di svanire: stordisce, ma chiarifica. Così come l’assenzio accompagna la mente lungo confini meno battuti, il silenzio selezionato dalla protagonista disciplina il dolore, trasformandolo in consapevolezza. La canzone elabora quindi una doppia chiave di lettura: una ferita aperta che, proprio perché riconosciuta, diviene strumento di forza.
Tra Genova e Roma, scenografie emotive
Pur essendo nata a Genova nel 1998, Lara Serrano decide di spostare l’azione narrativa del brano in un’altra città, costruendo un ponte ideale tra due luoghi che nella sua biografia si parlano a distanza. Genova, con i suoi carruggi, resta in filigrana, come se avesse fornito l’istinto alla malinconia; Roma, invece, incarna il progetto incompiuto, l’avventura mai pienamente vissuta. In questo scarto tra radici e aspirazioni la musicista trova la temperatura giusta del ricordo: non l’attaccamento al passato, ma la consapevolezza di ciò che avrebbe potuto essere. La geografia diventa quindi sentimento, e viceversa.
Anche l’albergo, la camera d’hotel richiamata tra le righe, è più simbolo che luogo fisico: stanze di passaggio in cui il tempo sembra fermarsi proprio per permettere al distacco di maturare. Serrano affida ai muri neutri di quegli ambienti la funzione di custodi silenziosi di parole non dette. Ogni città visitata insieme, ogni viale su cui la coppia ha camminato, diventa così un flash di memoria che riappare quando meno lo si aspetta. Nel racconto musicale, quegli spazi restano sospesi, collocati in un altrove dove il passato è presente, e il presente impara a convivere con l’assenza.
Ridurre per ascoltare
Nell’attuale panorama discografico, dominato da produzioni che massimizzano beat e decibel, la strategia della sottrazione appare quasi rivoluzionaria. Lara Serrano procede in controtendenza: minimalismo negli arrangiamenti, voce lasciata libera di vibrare su poche note essenziali, un’eco di elettronica che non soffoca il respiro della canzone. La forza dell’opera risiede proprio nei vuoti, in quegli interstizi dove l’ascoltatore può depositare la propria storia personale. Invece di guidare la platea verso un’emozione preconfezionata, l’autrice apre uno spazio di interpretazione, chiedendo fiducia e partecipazione attiva. In tempi di bulimia comunicativa, la sua proposta invita alla moderazione sensoriale.
Il risultato è un brano che, pur nascendo da una storia affettiva, preferisce raccontare la decisione di non rincorrere più l’altro. “Silenzio Assenzio” non è un addio struggente né un tentativo di riconquista: somiglia piuttosto a un respiro profondo prima di chiudere la porta con delicatezza. In quell’istante di sospensione, la protagonista si riconosce intera, finalmente libera da debiti emotivi. La canzone diventa così un invito universale a praticare la responsabilità verso sé stessi, a scegliere quando tacere, a comprendere che certe domande restano aperte solo finché lo permettiamo.
