La Commissione giuridica del Parlamento europeo, con un sofferto conteggio, ha scelto di proteggere l’immunità di Ilaria Salis, respingendo la richiesta ungherese che ne chiedeva la revoca. Un passaggio che riaccende il dibattito sullo stato di diritto all’interno dell’Unione e rilancia il confronto politico in vista del voto finale di ottobre.
Un voto che sorprende Strasburgo
Il risultato, annunciato al termine di una seduta tesa, ha visto 13 membri della Commissione per gli Affari giuridici schierarsi a favore del mantenimento dell’immunità contro 12 contrari. Il gruppo Ppe si è diviso, tradendo la linea abituale che invita a revocare la protezione parlamentare salvo casi di evidente persecuzione. La spaccatura, maturata in votazione segreta, fotografa un’assemblea consapevole delle implicazioni politiche e giudiziarie dell’istanza ungherese. Nessun deputato italiano del Ppe, fanno sapere fonti interne, era presente quando è scattato il conteggio.
Seppure il relatore, lo spagnolo Adrián Vázquez Lázar, avesse suggerito di togliere l’immunità, la maggioranza ha scelto la prudenza. Il dossier, ora, passa all’emiciclo di Strasburgo, dove martedì 7 ottobre la raccomandazione sarà messa ai voti per alzata di mano, a meno che almeno un quinto degli eurodeputati non chieda di replicare il segreto dell’urna. L’epilogo della vicenda, dunque, è tutt’altro che scritto: su quei banchi si intrecceranno pressioni diplomatiche, calcoli di gruppo e sensibilità individuali, prima di un probabile voto conteso.
Le ragioni di Ilaria Salis
La diretta interessata ha affidato ai social un commento immediato. «La Commissione Juri ha difeso la mia immunità e l’indipendenza del Parlamento», scrive Salis, salutando la decisione come un «segnale positivo». Per la docente milanese, arrestata a Budapest durante le manifestazioni antifasciste e poi eletta a Bruxelles, la tutela parlamentare non equivale a impunità, bensì è uno scudo contro quella che definisce la “persecuzione politica del regime di Orbán”. E invita le autorità italiane ad aprire un’inchiesta, certa di potersi difendere davanti a giudici imparziali.
La stessa europarlamentare sottolinea di non voler sottrarsi al dibattimento: chiede soltanto che il processo si svolga in un contesto dove lo stato di diritto non sia minacciato da ingerenze dell’esecutivo. A suo dire, la decisione di oggi ribadisce che l’Unione non può tollerare scorciatoie repressive. Dietro l’insistenza ungherese ravvisa un tentativo di colpire chi, con le proprie idee, mette in discussione la narrazione governativa. Il voto di Strasburgo, aggiunge, sarà dunque un test sulla capacità dei deputati di respingere pressioni politiche travestite da esigenze giudiziarie.
La voce degli avvocati
A commentare il passaggio parlamentare intervengono i legali di Salis, gli avvocati Mauro Straini ed Eugenio Losco. Entrambi sostengono che i commissari abbiano riconosciuto la mancanza di garanzie per un giudizio equo in Ungheria. L’argomentazione è semplice: in un Paese sottoposto a procedure d’infrazione per violazioni sistemiche dell’indipendenza giudiziaria, il rischio di un processo influenzato dall’esecutivo non è ipotesi astratta bensì concreta minaccia. Da qui l’invito a non confondere la richiesta di immunità con un tentativo di sottrarsi alle proprie responsabilità penali.
Gli avvocati ricordano inoltre che in Germania è in corso un procedimento parallelo contro cittadini tedeschi coinvolti negli stessi fatti di Budapest. Perché, domandano, l’Italia non potrebbe fare altrettanto nei confronti di una propria connazionale? La risposta, suggerisce Straini, sta nella volontà politica più che nella fattibilità giuridica. La pronuncia odierna della Juri non chiude quindi la questione, ma stabilisce un precedente: chi chiede l’estradizione deve dimostrare che il tribunale di arrivo garantisca imparzialità, e non l’inverso alle parti coinvolte.
Dall’Ungheria un attacco senza sosta
La replica di Budapest, però, non si è fatta attendere. Il portavoce del primo ministro Viktor Orbán, Zoltan Kovacs, ha definito Salis «una criminale pericolosa che merita di stare in carcere». Sui suoi canali social ha accusato l’Eurocamera di «legittimare il terrorismo di estrema sinistra». Le parole, perentorie e dure, confermano l’altissima tensione politica che circonda la vicenda, trasformando un caso giudiziario in uno scontro frontale fra Budapest e Bruxelles. Kovacs rievoca l’assalto di attivisti antifascisti per avvalorare la tesi ungherese.
Secondo l’esecutivo magiaro, la presenza di Salis a Bruxelles equivarrebbe a dare «rifugio a una terrorista nazionale». Il lessico bellico scelto da Kovacs mette a nudo la volontà del governo di trasformare la questione in un paradigma di sicurezza interna. Di fronte a toni così trancianti, le cancellerie europee osservano con crescente preoccupazione l’escalation verbale, consapevoli che la scelta loro affidata non riguarda una singola deputata, ma la credibilità stessa delle istituzioni comunitarie nello sanzionare eventuali abusi d’accusa in futuro.
Le reazioni politiche in Italia
Il verdetto di Bruxelles ha polarizzato immediatamente il panorama politico italiano. Il vicepremier Matteo Salvini ha liquidato la decisione con un lapidario messaggio sui social: «Chi sbaglia, non paga». Con questa formula, il leader leghista contesta l’atteggiamento dell’Eurocamera, convinto che la revoca dell’immunità fosse dovuta. Il suo intervento incarna la linea securitaria di una parte del centrodestra, secondo cui l’autorevolezza delle istituzioni passa attraverso l’applicazione inflessibile delle norme penali, a prescindere dal contesto politico del Paese richiedente, secondo gli avversari.
Di tenore diverso la posizione del blocco progressista. La vicepresidente dell’Eurocamera Pina Picierno parla di «scelta importante in difesa del giusto processo», mentre i co-portavoce di Avs, Angelo Bonelli e Nicola Fratoianni, ringraziano i commissari per aver «bocciato» la revoca. Nelle loro dichiarazioni risuona l’idea che il caso Salis sia diventato una cartina di tornasole sulla tenuta delle garanzie democratiche nell’Unione, specialmente quando i governi nazionali spingono per soluzioni rapide e punitive. La battaglia, assicurano, proseguirà fino al voto di ottobre.
