Interferenze elettroniche, droni e scenari di conflitto impongono all’Europa di interrogarsi sulla propria sicurezza aerea e terrestre. Il campanello d’allarme arriva da Bruxelles, dove si analizzano dati che parlano di un’ampia vulnerabilità dei voli civili e di una finestra temporale sempre più stretta per rafforzare la difesa comune.
Minacce elettroniche nei cieli europei
La semplice ricerca di un segnale Gps stabile sta diventando, per moltissimi piloti di linea, un esercizio di pazienza e di nervi. Circa il 40% dei collegamenti aerei che solcano ogni giorno lo spazio europeo incrocia aree in cui il posizionamento satellitare viene disturbato da apparati di origine russa. L’allarme non si limita a sporadici episodi: si tratta di un fenomeno quotidiano, diffuso dal Baltico al Mediterraneo, in grado di creare disservizi nelle procedure di avvicinamento, di obbligare i comandanti a calcoli manuali e dirottare costose rotte alternative, con inevitabili ripercussioni economiche oltre che di sicurezza per passeggeri e compagnie.
Sul tavolo dei vertici comunitari questa nuova forma di guerra elettronica occupa ormai un posto fisso. Gli esperti ritengono che Mosca stia deliberatamente sperimentando il proprio arsenale di disturbo per misurare la capacità di reazione occidentale e testare vulnerabilità strategiche. Ogni jamming del segnale, ogni anomalia registrata dai sistemi di bordo, viene scrupolosamente catalogata. Da queste osservazioni nasce l’idea di un ‘muro di droni’ lungo il confine che separa l’Unione da Russia e Bielorussia: una barriera tecnologica capace di monitorare, neutralizzare e, se necessario, respingere apparecchi senza pilota e interferenze elettromagnetiche.
Verso una rete di protezione a prova di GPS
Ma la sola vigilanza non basta. Per contrastare apparecchi a bassa quota, spesso minuscoli e difficili da individuare, serve una triplice difesa che sommi intercettori anti-drone, sistemi di guerra elettronica e le più tradizionali batterie antiaeree. I radar studiati per seguire caccia e missili, infatti, non sempre rilevano velivoli delle dimensioni di un grande uccello. L’Unione ha quindi accelerato il lavoro su sensori più sensibili, software capaci di filtrare il rumore e infrastrutture pensate per operare ventiquattr’ore su ventiquattro, trasformando aeroporti e installazioni civili in nodi di una rete reattiva e condivisa.
La spinta ad agire subito nasce da valutazioni d’intelligence convergenti provenienti da diverse capitali. Germania, Polonia, Danimarca e Paesi Bassi hanno reso noto che, secondo le loro analisi, entro tre o quattro anni il Cremlino potrebbe tentare un’incursione limitata per sondare la tenuta dell’Articolo 5 della Nato. Per evitare di farsi cogliere impreparata, l’Unione ha avviato il programma ‘Readiness 2030’, una roadmap che impone obiettivi precisi: creazione di piani regionali congiunti, modernizzazione degli stock, produzione di munizionamento su larga scala e addestramento integrato delle forze armate dei Ventisette.
L’apporto ucraino e la sindrome del “è lontano da noi”
In questo scenario, Kyiv rappresenta una miniera di esperienza. Nel giro di due anni l’industria bellica ucraina è passata da un fatturato di circa un miliardo di euro a cifre che superano i trentacinque miliardi, producendo, fra l’altro, milioni di droni impiegati in prima linea. Bruxelles è decisa a includere l’Ucraina nei propri consorzi, trasformando la collaborazione in una via a doppio senso: da un lato fondi, know-how e linee di credito europee, dall’altro feedback operativo immediato su tecnologie che altrove non sono ancora state testate in combattimento.
Eppure, mentre gli Stati dell’arco baltico e centro-orientale spingono per aumenti considerevoli di bilancio, nei Paesi del Sud continua a serpeggiare un certo scetticismo. La percezione, alimentata dalla distanza geografica, vuole la Russia ‘troppo lontana per colpire’. È un’illusione pericolosa, spiegano i vertici di Bruxelles, ricordando la presenza militare russa in Nord Africa e nel Mediterraneo. Non a caso, governi come quelli di Italia, Spagna e Francia hanno già firmato per ottenere ‘prestiti sicuri’ destinati alla difesa. Roma, in particolare, può contare su un comparto aerospaziale di prim’ordine, pronto a fornire sensori, satelliti e componenti fondamentali per le nuove architetture di sicurezza.
Preparare comunità e ospedali: la lezione finlandese
Un aspetto spesso trascurato riguarda la popolazione civile. L’ex presidente finlandese Sauli Niinistö, in un rapporto che è diventato la base teorica di Readiness 2030, sottolinea che munizioni e soldati non bastano se i servizi essenziali cedono sotto pressione. Ospedali, reti elettriche, sistemi idrici e filiere alimentari devono essere in grado di funzionare anche nelle condizioni peggiori. La Finlandia, forte di una lunga frontiera con la Russia, ha integrato rifugi, scorte e procedure di emergenza in ogni struttura pubblica, offrendo un modello da cui i Ventisette intendono attingere.
Applicare quel modello a realtà molto diverse, dal Mar Egeo all’Atlantico, richiede un coinvolgimento capillare: amministrazioni locali, volontariato, protezione civile, aziende private e mondo sanitario dovranno cooperare in esercitazioni periodiche. L’obiettivo è semplice da enunciare e complesso da realizzare: garantire che, in caso di aggressione, la vita quotidiana non collassi. È un lavoro di ‘compiti a casa’, come lo definiscono a Bruxelles, che affianca la modernizzazione dei sistemi d’arma e incrocia temi di comunicazione, psicologia delle masse e tenuta delle infrastrutture digitali, chiamate a resistere a cyber attacchi paralleli alle minacce fisiche.
