Il cammino tumultuoso di Luigi Celeste, scolpito nel libro autobiografico ‘Non sarà sempre così’, varca ora le porte di Hollywood grazie a ‘Familia’, la pellicola firmata da Francesco Costabile designata a rappresentare l’Italia agli Oscar. Un viaggio reale che intreccia violenza domestica, colpa e rinascita.
Una testimonianza personale che conquista il grande schermo
La scrittura di Non sarà sempre così nacque come un atto privato, quasi terapeutico, nel quale Celeste intendeva fissare su carta i frammenti di una vita segnata dall’emarginazione. Egli non inseguiva né fama né palcoscenici: desiderava soltanto, racconta oggi, «dare la mia versione dei fatti e chiudere un cerchio». Quella divulgazione intima, però, è stata la scintilla che ha attratto l’attenzione di Francesco Costabile, regista affascinato dalla potenza sincera di quelle pagine. Nel volgere di pochi anni il diario personale si è trasformato in sceneggiatura cinematografica, approdando dapprima alla Mostra di Venezia e adesso alla corsa per l’Academy Award.
Quando la candidatura di Familia al premio come miglior film internazionale è stata ufficializzata, l’autore ammette di aver provato un’emozione che definisce «difficile da contenere». «Mi scorreva addosso la stessa scarica di tensione che sentii il giorno in cui misi l’ultimo punto al libro», confida. Nel ripensare a quella scoperta inaspettata, Celeste riconosce di aver sempre mantenuto una fede incrollabile nel valore della propria vicenda, persino più salda di quella del regista. Eppure non smette di sorprendersi: la sua intima parabola ora parla al mondo intero.
Origini di un inferno domestico
Nell’appartamento stretto e umido dove Luigi trascorse l’infanzia, la povertà non era soltanto materiale ma pure affettiva. Il padre, uomo tormentato da ossessioni e rimorsi accumulati durante i frequenti ingressi e uscite dal carcere, riversava sulle spalle della moglie la furia covata all’interno. Davanti agli occhi attoniti dei figli, le serate si trasformavano in scenari di vera guerriglia: schiaffi, urla, suppliche. Quell’esposizione costante alla violenza eradica qualsiasi illusione di normalità, generando in Luigi un sentimento di rabbia sedimentato nel tempo.
La fuga più concreta da quelle mura, paradossalmente, passò attraverso l’adesione a un gruppo di skinhead. Nel rituale del branco Celeste ritrovò l’eco di una “famiglia” che a casa non esisteva: gesti codificati, gerarchie spietate, un obiettivo comune su cui sfogare l’aggressività. Ogni scorribanda contro i cosiddetti ‘nemici’ placava per un istante la frustrazione accesa dalla miseria domestica. Era una droga identitaria, capace di anestetizzare il dolore ma destinata a presentare il conto più avanti, quando la spirale di odio avrebbe raggiunto il punto di non ritorno.
Il gesto estremo e la caduta
La tensione familiare raggiunse l’apice in una sera di follia, quando l’uomo di casa, accecato da nuovi sospetti paranoici, si avventò ancora una volta contro moglie e figlio minore. In quegli attimi sospesi, Luigi comprese che l’unica via per mettere fine agli abusi era un atto irreparabile. L’arma, il colpo, il silenzio improvviso: l’omicidio del padre congelò lo spazio e spalancò un baratro. Fra l’istinto di protezione e la colpa distinguerne i confini divenne impossibile; nell’istante in cui la vita cessò di pulsare, anche l’infanzia rimasta in lui si frantumò.
La giustizia si attivò con la celerità di un meccanismo inevitabile: arresto, interrogatori, il trasferimento a San Vittore. In quelle celle anguste, Celeste dovette apprendere subito le regole non scritte di un microcosmo ostile che premia la forza e punisce l’incertezza. Seguì il passaggio a Opera e, infine, a Bollate, dove la lotta per sopravvivere lasciò spazio a un barlume di futuro. Ogni cambio d’istituto segnava una tappa della sua caduta, ma anche l’inizio di una misteriosa risalita che soltanto il tempo avrebbe reso visibile.
La lenta risalita e l’approdo agli Oscar
Nell’ala formativa di Bollate, il mantra «Non sarà sempre così» divenne bussola quotidiana. Celeste frequentò corsi di studio, scoprendo nella tecnologia un varco verso la libertà interiore. Le ore spese tra manuali di programmazione, esami e colloqui con i docenti sfaldarono la corazza di chiusura costruita negli anni precedenti. Al termine del percorso, un diploma e la qualifica di esperto in sicurezza informatica sancirono simbolicamente la fine del suo viaggio d’andata, aprendo la promessa di un ritorno alla vita civile.
Da quell’esperienza educativa germogliò l’idea di trascrivere la propria esistenza su carta. Il libro, pubblicato una volta riconquistata la libertà, raggiunse rapidamente lettori insospettabili, fra cui Francesco Costabile. Il cineasta intravide nelle pagine la sostanza per un racconto universale e affrontò la sfida di tradurlo in immagini. Nonostante il suo temperamento definito dallo stesso Celeste “tendenzialmente pessimista”, il regista ha saputo restituire sullo schermo la continua tensione che avvelenava la famiglia. Il risultato è Familia, oggi l’emblema italiano nella corsa all’Academy.
