Otto anni di reclusione per Ciro Grillo, Edoardo Capitta e Vittorio Lauria, sei anni e mezzo per Francesco Corsiglia: così ha deciso il Tribunale di Tempio Pausania al termine di un processo durato oltre quattro anni e nato dalle accuse di violenza sessuale di gruppo commessa nel luglio 2019 in Costa Smeralda.
Il verdetto e le condanne
La decisione, pronunciata dal collegio presieduto dal giudice Marco Contu dopo poco più di tre ore di camera di consiglio, ha stabilito pene identiche di otto anni per i primi tre imputati, mentre per Francesco Corsiglia l’entità della condanna è stata fissata a sei anni e sei mesi. I quattro giovani, accusati di aver abusato di due studentesse diciannovenni in una villa di Porto Cervo, sono stati ritenuti colpevoli di violenza sessuale di gruppo. Le loro responsabilità, nella sintesi letta in aula, sono state valutate sulla base delle prove raccolte durante l’istruttoria dibattimentale e delle testimonianze ascoltate nel corso di decine di udienze.
Né gli imputati né la giovane che li accusa erano presenti al momento della lettura del dispositivo, scelta che ha conferito all’aula un’atmosfera insolita di sospensione. Il verdetto, tuttavia, è stato subito comunicato ai legali delle parti, che hanno reagito in modo diametralmente opposto. Enrico Grillo, nella doppia veste di avvocato e padre di Ciro, ha subito espresso viva delusione, ribadendo la convinzione di innocenza del figlio e annunciando sin da ora ricorso in appello. Dalla sponda opposta, la difesa della parte civile ha accolto con commozione la sentenza, salutandola come una tappa significativa sulla strada della giustizia.
L’impianto accusatorio e la motivazione attesa
Il procedimento nato dalle denunce presentate nell’estate del 2019 ha visto susseguirsi perizie tecniche, audizioni incrociate e controesami serrati, culminati nell’analisi di immagini e messaggi recuperati dai dispositivi dei ragazzi. L’accusa, guidata dal sostituto procuratore che ha sostenuto la tesi dell’abuso di gruppo, ha ricostruito minuto per minuto la permanenza delle due ragazze nella villa in Costa Smeralda, sostenendo che le stesse versassero in stato di alterazione. Dopo la chiusura delle discussioni, il collegio giudicante si è ritirato per deliberare, tornando in aula con una decisione che, nella sua essenzialità, definisce il perimetro delle responsabilità penali.
Le ragioni di quella scelta saranno spiegate nelle motivazioni, attese entro novanta giorni, documento che costituirà il fulcro del futuro dibattito processuale. Gli avvocati della difesa confidano di trovare tra quelle pagine elementi utili a dimostrare che le prove, a loro dire, non supportano la tesi dell’accusa. Al contrario, la parte civile è convinta che le stesse motivazioni finiranno per rafforzare ulteriormente il profilo di colpevolezza già espresso nel dispositivo, offrendo una base solida in vista degli eventuali gradi di giudizio successivi.
La voce della parte civile
All’uscita dal palazzo di giustizia, l’avvocata Giulia Bongiorno non ha celato l’emozione. Ha parlato di una sentenza «granitica», sottolineando come la sua assistita, per la prima volta dall’inizio di un percorso che l’ha segnata profondamente, si sia lasciata andare a lacrime di sollievo. Secondo la penalista, il pronunciamento del tribunale offre un messaggio chiaro: chi trova la forza di denunciare una violenza può contare su un sistema in grado di riconoscere i fatti e di proteggere la dignità delle vittime, anche in territori dove l’esposizione mediatica è intensa e i pregiudizi possono risultare soffocanti.
La legale ha inoltre ricordato che, per la giovane, la Sardegna è stata teatro non soltanto dell’episodio denunciato ma anche di una lunga fase di interrogatori, perizie e, spesso, attacchi alla sua credibilità personale. Il pronunciamento, a suo dire, restituisce senso a quel percorso: non chi vince il silenzio, ha ribadito, bensì chi trova il coraggio di esporsi. Il linguaggio diretto di Bongiorno ha così trasformato la vicenda individuale in monito collettivo, esortando chiunque subisca violenza a non nascondersi dietro la paura o la vergogna.
Le repliche delle difese
Sull’altro fronte si sono immediatamente levate voci di sorpresa e di dissenso. L’avvocato Enrico Grillo, parlando a nome del figlio Ciro, ha definito la decisione del collegio «molto deludente», ribadendo che, a suo giudizio, gli elementi raccolti durante il dibattimento non proverebbero la colpevolezza. Ha annunciato che la strategia difensiva punterà senza esitazioni al secondo grado, confidando che la Corte d’Appello ribalti in toto il giudizio di primo grado. Per la difesa, insomma, la strada è tutt’altro che chiusa oggi.
Analoga amarezza è stata manifestata dall’avvocata Antonella Cuccureddu, che assiste Francesco Corsiglia. La penalista ha parlato di “sorpresa”, spiegando che, alla luce del materiale probatorio, si attendeva un’assoluzione piena. Anche Alessandro Vaccaro, difensore di Vittorio Lauria, ha sottolineato la propria delusione, ricordando che le motivazioni saranno rese note soltanto fra tre mesi e che in quella sede emergeranno, a suo avviso, i punti deboli del quadro accusatorio. Tutti i legali hanno confermato l’intenzione di proseguire lungo l’intero percorso dei ricorsi previsti dall’ordinamento.
Il commento del pubblico ministero
Con toni più misurati si è espresso il procuratore Gregorio Capasso, il quale ha ricordato che «le sentenze non si commentano, si rispettano e, se non condivise, si impugnano». Pur ribadendo la fiducia nel lavoro di accusa svolto dall’ufficio, Capasso ha spiegato che solo dopo il deposito delle motivazioni, e una volta analizzati i passaggi logico-giuridici sui quali il collegio ha fondato il pronunciamento, la Procura valuterà se proporre appello. Ha definito la vicenda “triste” perché coinvolge sei giovani, quattro imputati e due presunte vittime.
Il magistrato ha inoltre sottolineato che la narrazione mediatica, spesso polarizzata, non deve far perdere di vista la complessità di un caso nel quale la volontà dei singoli va soppesata con estrema cautela. Ha invitato gli organi di informazione a mantenere toni equilibrati, ricordando che il procedimento non è concluso e che le parti hanno pieno diritto di ricorrere ai gradi successivi garantiti dalla legge. La Procura, ha assicurato, continuerà a muoversi nel solco della legalità senza lasciarsi influenzare da pressioni esterne.
Prossime tappe processuali
Entro i termini previsti, il tribunale depositerà le motivazioni. Da quel momento scatteranno i giorni utili per impugnare la sentenza; le difese hanno già annunciato che si muoveranno tempestivamente. L’appello offrirà una nuova sede di confronto, nella quale verranno rilette le prove e, se ritenuto necessario, potrà essere richiesta l’audizione di ulteriori testimoni o l’espletamento di nuove perizie. In parallelo, anche la Procura valuterà se ricorrere, eventualmente puntando a un inasprimento delle pene o a una diversa qualificazione giuridica dei fatti.
Nel frattempo, i quattro imputati resteranno in libertà, in attesa di conoscere l’esito del secondo grado. Il loro status, come prevede l’ordinamento, non subirà cambiamenti sino a eventuale conferma definitiva. Il percorso giudiziario appare dunque ancora lungo, e la vicenda continuerà ad alimentare il dibattito pubblico sull’importanza del consenso, sull’uso responsabile dei social e, più in generale, sulla tutela dei diritti delle persone coinvolte in procedimenti così delicati. Il verdetto di Tempio Pausania, in ogni caso, segna un passaggio che nessuna delle parti potrà ignorare.
