As la Grande Mela si anima per l’80° anniversario delle Nazioni Unite, l’arrivo di Giorgia Meloni porta la prospettiva italiana su due crisi intrecciate: la guerra in Medio Oriente e l’invasione russa dell’Ucraina. Al Palazzo di Vetro si parlerà di riconoscimento palestinese, riforma ONU e sicurezza globale, temi su cui Roma punta a far sentire la propria voce.
Una scelta di prudenza sul riconoscimento della Palestina
Per l’esecutivo guidato da Meloni, la via che conduce al riconoscimento formale della Palestina resta ancora lastricata di ostacoli concreti. Il ministro degli Esteri Antonio Tajani ha chiarito che Roma sosterrà un futuro Stato palestinese soltanto quando l’Autorità Nazionale avrà riunificato Gaza e Cisgiordania e quando le istituzioni locali saranno sgombre dall’influenza di Hamas. Tale posizione, inserita nella Risoluzione delle Nazioni Unite co-sponsorizzata dall’Italia il 12 settembre, richiama la tradizionale impostazione italiana dei “due Stati”, ma introduce una condizione di sicurezza interna particolarmente stringente che differenzia Roma da altre capitali europee.
La prudenza deriva anche dal timore che un riconoscimento anticipato si trasformi, nei fatti, in una delega in bianco priva di garanzie per la sicurezza di Israele e per la stabilità interna palestinese. Il governo ritiene insufficiente lo stato attuale delle istituzioni a Gaza, ancora segnate dalle strutture militari di Hamas, e giudica prematuro far nascere uno Stato che non controlli realmente il proprio territorio. Per questo Roma, assieme a Berlino, continua a chiedere un negoziato multilaterale che produca prima un assetto politico condiviso e soltanto dopo un atto di riconoscimento formale.
La cornice internazionale e il peso delle nuove adesioni
Mentre Roma si muove con cautela, un numero crescente di governi ha scelto di rompere gli indugi. Parigi ha formalizzato la propria decisione, seguita dal Regno Unito guidato da Keir Starmer, suscitando una reazione risentita da parte dell’esecutivo israeliano. A ruota si sono schierati Canada, Australia e Portogallo. Queste adesioni hanno contribuito a creare l’immagine, dentro e fuori il Palazzo di Vetro, di un fronte occidentale non più monolitico, diviso fra chi ritiene urgente un atto politico simbolico e chi, come l’Italia, preferisce vincolare l’atto a condizioni di governance concrete.
Il contrasto tra le due linee politiche emergerà con forza durante la conferenza di alto livello organizzata da Francia e Arabia Saudita, alla quale prenderà parte anche Tajani. In tale sede, il ministro intende ribadire che la legittimità internazionale non può prescindere da istituzioni responsabili e da un apparato di sicurezza sottratto a formazioni terroristiche. La scelta di alcuni partner di procedere comunque viene vista da Roma come un azzardo che rischia di alimentare l’instabilità, soprattutto se l’atto di riconoscimento non è accompagnato da meccanismi di monitoraggio credibili.
L’impegno umanitario dell’Italia per Gaza
Il piano denominato Food For Gaza costituisce il fulcro della risposta italiana alla sofferenza dei civili intrappolati nella Striscia. L’iniziativa, coordinata dalla Farnesina, prevede ulteriori evacuazioni sanitarie nelle prossime settimane e l’invio di derrate alimentari attraverso corridoi sicuri concordati con l’ONU. Roma vuole dimostrare che il sostegno alla popolazione palestinese può coesistere con la ferma condanna di Hamas, offrendo un aiuto tangibile senza legittimare il controllo militare dell’organizzazione sul territorio. La spedizione, che coinvolgerà personale medico militare e volontari della Protezione Civile, ambisce inoltre a diventare un modello replicabile in altre emergenze regionali, sottolineando la vocazione umanitaria del Paese.
In Italia le iniziative di solidarietà trovano eco anche sul piano politico-sociale: lo sciopero generale indetto dall’Usb ha voluto richiamare l’attenzione dell’opinione pubblica sulla crisi umanitaria, sospendendo per un giorno servizi fondamentali. Pur non condividendo le modalità di protesta, il governo riconosce l’urgenza di tenere alta la sensibilità nazionale su ciò che accade a pochi chilometri dalle coste mediterranee. Le autorità ribadiscono però che la pressione diplomatica su Israele deve restare distinta dall’assistenza ai civili, così da evitare di confondere legittima critica e delegittimazione dello Stato ebraico.
Ucraina, sicurezza europea e pressioni su Mosca
La guerra in Ucraina continua a occupare un posto di rilievo nell’agenda di Meloni. Durante la ministeriale informale del G7, presieduta dal Canada, l’Italia proporrà di intensificare le sanzioni economiche contro Mosca e di varare nuovi meccanismi di controllo sugli aggiramenti. Obiettivo dichiarato: costringere il Cremlino a rientrare in un negoziato che preveda garanzie di sicurezza solide per Kiev e per l’intera Europa. Tajani ha evocato un impegno modellato sull’articolo 5 della NATO, esportato in forma multilaterale per proteggere l’Ucraina nel lungo periodo.
Secondo fonti diplomatiche, Roma intende sottolineare che un cessate il fuoco privo di garanzie lascerebbe a Mosca la possibilità di riarmarsi, riproducendo l’impasse vista dopo il 2014. Per questo l’Italia è favorevole a mantenere alta la pressione su banche, esportazioni tecnologiche e asset energetici russi. In parallelo, il governo sta lavorando con Bruxelles a un pacchetto di assistenza civile che comprenda ricostruzione infrastrutturale e sostegno alla resilienza energetica ucraina, dimostrando che la tutela militare deve procedere di pari passo con la rinascita economica.
Agenda di Meloni a New York e riforma dell’Onu
Il 23 settembre la premier parteciperà alla cerimonia di apertura del dibattito generale, accanto al segretario generale António Guterres, alla presidente dell’Assemblea Annalena Baerbock, al brasiliano Lula e al presidente statunitense Donald Trump. Il suo intervento, programmato per le 20:00 del 24, servirà a rimarcare la «fedeltà ai principi della Carta» proprio nell’anno in cui l’Italia celebra i settant’anni di appartenenza alle Nazioni Unite e rivendica il ruolo di settimo contributore al bilancio ordinario e alle missioni di pace. La premier intende inoltre sfruttare gli incontri bilaterali per rafforzare alleanze su energia, migrazione e digitalizzazione, temi che considera strettamente collegati alla stabilità globale.
Nell’agenda di Meloni spicca anche la riforma del Consiglio di Sicurezza. L’Italia guida il gruppo Uniting for Consensus, che mira a un organo più democratico, rappresentativo e privo di nuovi seggi permanenti. La proposta, spiegano fonti diplomatiche, non è un tecnicismo ma l’estensione del principio «un Paese, una voce» a regioni oggi sotto-rappresentate, in primis l’Africa e il Sud globale. Roma sostiene una struttura più snella, meno burocratica, capace di intervenire rapidamente in crisi come quelle di Gaza e dell’Ucraina senza impantanarsi nei veti incrociati.
