Ogni passo tra i siti archeologici di Siracusa e le pendici dell’Etna rivela la sintesi fra il mito scolpito da Igor Mitoraj e la scenografia naturale della Sicilia. Curata da Luca Pizzi, la mostra “Lo sguardo – Humanitas Physis” mette in dialogo ventinove opere monumentali con luoghi che respirano storia, natura e memoria.
Spazi che raccontano
Quando il direttore dell’Atelier Mitoraj ha posato lo sguardo sulle Latomie della Neapolis, lo stupore si è trasformato in progetto. Il racconto inciso nella pietra, scavata dagli antichi prigionieri per fornire materiali ai templi, ha dettato la linea curatoriale: far risuonare le cicatrici del passato dentro le forme classicheggianti di Igor Mitoraj. In quell’istante, come ricorda Luca Pizzi, il luogo è diventato contenuto, non semplice contenitore, e l’emozione ha suggerito l’idea di un allestimento che privilegiasse il dialogo fra cavità naturali, luce mutevole e frammenti marmorei che evocano corpi in cerca di riscatto.
Quella suggestione si è poi tradotta nella scelta dei quattro elementi: Fuoco, Aria, Acqua e Terra. Pizzi ha ribaltato l’ordine tradizionale, iniziando dal cratere dell’Etna, perché il vulcano incarna la forza primigenia che modella, distrugge e rigenera. Le opere dedicate all’Aria respirano invece di fronte al mare di Ortigia; l’Acqua scorre simbolicamente attorno al Castello Maniace; la Terra chiude il cammino tra gli ulivi e i resti greci della Neapolis. Ogni tappa diventa capitolo di una narrazione che spinge il visitatore a interrogarsi sul legame fra natura, mito e libertà.
Un percorso costruito in sei mesi
Per dare coerenza a un’idea tanto ambiziosa Luca Pizzi ha trascorso oltre sei mesi tra sentieri vulcanici, strade di pietra bianca e cortili fortificati, armato di taccuino e metro laser. Ogni sopralluogo era un’esplorazione sensoriale: verificare come il vento avrebbe accarezzato le bronzi di “Eros Bendato”, misurare l’ombra proiettata al tramonto su “Tindaro”, capire se l’eco delle cicale disturbasse o amplificasse il silenzio. Solo dopo aver ascoltato il battito dei luoghi, il curatore ha assegnato a ciascuna delle ventinove sculture la sua dimora provvisoria, quasi si trattasse di un ritorno a casa.
Il risultato è un itinerario che procede per contrasti e risonanze. Sul fianco del vulcano, le figure mutilate di Mitoraj sembrano recuperare un respiro infuocato; tra i pilastri del Castello Maniace i busti titanici dominano lo Jonio come vegliardi in contemplazione. E dentro il Parco Archeologico della Neapolis le sculture s’infilano tra carrubi e papiri, restituendo voce ai lavoratori forzati che scavarono le cave millenni fa. L’opera umana, a volte tragica, a volte sublime, diventa così la chiave per leggere l’infinito rapporto tra bellezza e sacrificio.
Dialogo tra mito e libertà
La dimensione mitologica, marchio riconoscibile di Igor Mitoraj, trova nel tessuto culturale siciliano un terreno naturalmente fertile. Sull’isola il mito non è racconto lontano, ma presenza quotidiana intrecciata alle voci del mercato e al profumo di zagara. È per questo che, come osserva Pizzi, “il mito della Sicilia accompagna il mito di Mitoraj”: un rimando reciproco fra dèi caduti e popoli approdati, fra braccia bronzee spezzate e colonne doriche corrose dal sale. L’artista non aggiunge monumenti, ma amplifica domande già sospese nell’aria da secoli.
Da questo scambio nasce una meditazione sulla libertà, tema centrale dell’esposizione. I volti velati, gli arti interrotti e le maschere socchiuse testimoniano la fatica di un’umanità che aspira a oltrepassare i propri limiti materiali. Accanto alla roccia nera dell’Etna o tra le acque azzurre di Ortigia, quelle anatomie incompiute assumono un fremito diverso: denunciano catene antiche e contemporanee, suggeriscono possibilità di rinascita. La mostra diventa così un invito, quasi un’esortazione, a riconoscere la nostra parte vulnerabile e restituirle dignità profonda.
Un appuntamento irripetibile
Chi vorrà attraversare questo percorso dovrà farlo entro il 31 ottobre, data in cui si concluderà “Lo sguardo – Humanitas Physis”. Non è semplice scadenza organizzativa: è il punto in cui il ciclo degli elementi tornerà a dissolversi, lasciando che il vulcano riprenda la sua solitudine e i cortili di Ortigia il proprio silenzio notturno. Il carattere effimero dell’allestimento ne accresce l’urgenza: ogni tramonto cambia la luce, ogni alba modifica le ombre, rendendo ogni visita diversa e dunque unica sempre.
Pizzi lo ammette senza reticenze: per più di un decennio ha allestito esposizioni spettacolari, ma nessuna gli ha imposto una prova di sensibilità così radicale. Credeva di aver chiuso il dialogo con la Sicilia, poi il sopralluogo tra gli agrumeti e le cave gli ha mostrato un’altra possibilità. Ora definisce l’esperienza «qualcosa di veramente differente», perché sono stati i luoghi a guidarlo, non viceversa. Dietro ogni statua permane dunque un segreto accordo tra uomo, pietra e respiro del Mediterraneo, destinato a farsi ricordo luminoso negli occhi di chi saprà coglierlo.
