Tutta la penisola, dal Tirreno alle Alpi, si è svegliata stamane nel segno di una protesta che ha unito lavoratori, studenti e attivisti in un unico coro di solidarietà con Gaza. Scioperi, cortei e blocchi hanno scandito la giornata, paralizzando trasporti e scuole e richiamando l’attenzione sull’offensiva israeliana nella Striscia.
Una giornata di protesta diffusa
Fin dalle prime luci dell’alba i sindacati di base hanno indetto uno sciopero generale che ha coinvolto ferrovie, mezzi urbani, istituti scolastici e perfino i principali varchi portuali, con l’obiettivo dichiarato di sostenere la popolazione palestinese e di appoggiare la Global Sumud Flotilla diretta verso la Striscia. Dalla riviera ligure all’estremo nord, passando per la capitale e l’Emilia, decine di manifestazioni hanno preso forma in contemporanea, mentre i passeggeri attendevano convogli che non arrivavano e gli autobus rimanevano in deposito. La scelta di fermare il Paese è stata descritta come un atto di rottura necessario per far sentire una voce che, altrimenti, rischierebbe di restare soffocata.
In diverse città le scuole hanno aperto con classi dimezzate perché docenti e alunni hanno aderito allo stop; altrove gli ingressi sono rimasti sbarrati da striscioni che invocavano il cessate il fuoco. Nelle stazioni principali i tabelloni lampeggiavano in rosso annunciando soppressioni a catena, mentre nelle aree industriali i presidi sindacali rallentavano la circolazione dei tir. Studenti, insegnanti, portuali e lavoratori del pubblico impiego hanno sfilato dietro bandiere palestinesi, intrecciando battaglie salariali e rivendicazioni internazionaliste. La parola d’ordine “blocchiamo tutto” non ha risparmiato neppure la grande arteria autostradale del Centro Italia.
Genova, il porto si ferma
A Genova lo sciopero è iniziato alle sei del mattino con il blocco del varco Albertazzi, uno snodo essenziale per i container diretti in uscita e in ingresso. Camion e pullman si sono accodati lungo via Albertazzi e via Balleydier, costretti all’immobilità da barriere improvvisate e dal presidio dei lavoratori del Calp e dell’Usb. Alle nove, contemporaneamente alla partenza del corteo studentesco da via Balbi, la zona portuale era già divenuta un’assemblea a cielo aperto dove si discuteva di embargo e di mozioni comunali contro Israele. L’obiettivo dichiarato: impedire qualunque operazione di carico destinata a Tel Aviv.
Durante la mattinata i rappresentanti sindacali hanno tenuto una conferenza stampa per sollecitare l’amministrazione cittadina a vigilare sull’eventuale approdo della nave Joanna Borchard, annunciata alle 15.30 al terminal Spinelli con container destinati al mercato israeliano. In previsione dell’allerta meteo arancione, il corteo originariamente previsto nel centro cittadino è stato rinviato alle 14.30, ma già prima di mezzogiorno un’importante assemblea pubblica animava il varco, trasformandolo in spazio di discussione politica. Per i promotori, il picchetto ha avuto anche il compito simbolico di verificare che le delibere comunali non restino lettera morta.
Cortei studenteschi nella capitale
Nella zona di Monteverde, a Roma, centinaia di studenti delle scuole superiori si sono radunati all’uscita delle lezioni e, sotto un sole ancora estivo, hanno attraversato viale Trastevere in direzione di piazza dei Cinquecento, dove era stato fissato il concentramento nazionale dell’Usb. I turisti, sorpresi dall’improvviso fiume umano, hanno fotografato cartelli che recitavano “Free Palestine” e “Stop genocide”, mentre gli automobilisti bloccati in coda su lungotevere cercavano percorsi alternativi. L’energia dei giovanissimi, urlata a gran voce, ha dato alla mobilitazione un respiro generazionale che ha catturato l’attenzione dei passanti.
Un episodio di tensione ha spezzato per pochi istanti il clima pacifico: una donna alla fermata del bus ha rivolto gesti offensivi e slogan ostili al corteo, ma i ragazzi hanno scelto di non raccogliere la provocazione e hanno proseguito senza deviare rotta. Giunti in stazione Termini, gli studenti si sono uniti ai lavoratori del trasporto pubblico e ai comitati dei quartieri popolari, dando vita a un sit-in che ha riempito l’intera piazza. Nel tam-tam dei megafoni, il tema palestinese è diventato metafora di ogni oppressione avvertita nei propri territori.
Torino, atenei e scuole unite
All’ombra delle Alpi, gli universitari del campus Luigi Einaudi hanno sigillato sin dalle prime ore del mattino i principali accessi alle facoltà, costringendo docenti e impiegati a lunghi aggiri tra i viali circostanti. Poco dopo, insieme agli studenti medi, il gruppo è confluito verso piazza Arbarello, trasformando il centro di Torino in un serpentone guidato da tamburi, cori e fumogeni verdi, bianco, neri e rossi. La decisione di congiungere scuola e università è stata letta come segnale di un fronte generazionale compatto che supera le divisioni di ciclo d’istruzione.
Alla stazione di Porta Nuova, dove era stato indetto il presidio conclusivo, il numero dei partecipanti è aumentato grazie all’arrivo dei lavoratori della logistica e dei servizi pubblici convocati dalle sigle di base. Il binario uno, occupato simbolicamente, si è trasformato in un palco improvvisato: brevi interventi hanno denunciato l’invio di armi a Tel Aviv e la complicità del governo nazionale. Porta Nuova è rimasta bloccata per oltre due ore; altoparlanti e cori hanno saturato la volta in ferro e vetro. Uno studente ha riassunto lo spirito: “se i treni si fermano oggi, lo facciamo per chi a Gaza non può più muoversi”.
Bologna, i collettivi chiudono gli ingressi
Nel cuore universitario di Bologna, gli attivisti dei collettivi Cua e Cambiare Rotta hanno alzato transenne di metallo davanti ai portoni di Giurisprudenza e Matematica, sbarrando via Zamboni proprio nell’orario d’inizio delle lezioni. Le facoltà posteriori sono rimaste accessibili, ma il messaggio lanciato ai docenti è stato inequivocabile: l’accademia non può dirsi neutrale finché persiste il massacro a Gaza. Lungo i muri, volantini artigianali ricordavano le collaborazioni tra alcuni dipartimenti e le aziende che producono componenti bellici destinate all’esercito israeliano.
Mentre parte del personale amministrativo cercava di mediare una riapertura, in strada si formava un’assemblea spontanea in cui si discuteva di stop alla ricerca dual-use e di sospensione immediata degli accordi accademici con l’industria militare. Poco più tardi, un corteo interno al quartiere universitario ha percorso le viuzze del centro storico, unendosi ai lavoratori dei trasporti dell’Emilia-Romagna. Nel giro di mezzogiorno l’ateneo era divenuto laboratorio di un intreccio inedito tra vertenza territoriale e questione internazionale. Il passaggio degli studenti sotto le Due Torri ha ricordato che la città conserva un’antica tradizione di disobbedienza.
A1 bloccata nella piana fiorentina
Con striscioni che campeggiavano sul cemento recitando “Blocchiamo tutto” e “Palestina libera”, migliaia di persone si sono ritrovate all’alba alla rotatoria di Calenzano, alla confluenza tra la zona industriale e l’autostrada A1. Il traffico è stato interrotto già alle otto e mezza, inducendo la chiusura del casello in entrata e in uscita. In testa c’erano giovani palestinesi, seguiti da sindacati di base, insegnanti, collettivi studenteschi e famiglie intere. La statua “Ruota del Tempo”, firmata dall’artista israeliano Dani Karavan, è stata avvolta da una bandiera gigante.
Il corteo ha poi imboccato la strada verso Campi Bisenzio con l’intenzione di sostare davanti alla sede di Leonardo – tra i principali produttori europei di armamenti – e all’ex stabilimento Gkn, simbolo della crisi industriale locale. Il percorso si è concluso nel parcheggio della piscina comunale, trasformato in foro cittadino dove si è discusso di riconversione economica, pace e lavoro. I residenti affacciati ai balconi hanno salutato con applausi, mentre le pattuglie della polizia controllavano a distanza senza intervenire.
La voce del mondo della conoscenza
La mobilitazione odierna ha trovato un’eco potente nelle dichiarazioni della Rete della Conoscenza, che riunisce Link-Coordinamento Universitario e l’Unione degli Studenti. La neo-coordinatrice nazionale, Francesca Cantagallo, ha annunciato la partecipazione in decine di piazze, accusando apertamente l’Italia di aver rinnovato i rapporti commerciali e logistici con Tel Aviv mentre su Gaza piovono bombe. Per la dirigente studentesca, la solidarietà non è solo un gesto morale, ma un atto politico che interroga la stessa idea di istruzione come bene pubblico universale.
Sulla stessa lunghezza d’onda, Tommaso Martelli dell’Unione degli Studenti ha chiesto la cessazione immediata di ogni stage scuola-lavoro presso aziende che producono armamenti, facendo il nome della Leonardo S.p.A. come emblema di un sistema che trasforma gli istituti in bacini di manodopera per l’industria bellica. Gli interventi di Arianna D’Archivio di Link hanno rincarato la dose, definendo quelle industrie “aziende di morte” e invocando lo scioglimento di ogni protocollo di collaborazione. Il 14 novembre, hanno ricordato, sarà sciopero studentesco nazionale sotto lo slogan: “Un’altra scuola, un altro mondo è possibile”.
Uno sguardo oltre la cronaca
Al di là dell’impatto immediato su treni soppressi, lezioni rinviate e traffico in tilt, la giornata di lotta ha riportato al centro dell’agenda politica italiana una domanda scomoda: quale complicità lega le istituzioni nazionali all’industria degli armamenti e al conflitto in Medio Oriente? L’incrocio fra rivendicazioni sindacali, protesta studentesca e attivismo pacifista suggerisce l’emergere di un fronte sociale eterogeneo ma coeso, capace di mettere in discussione la continuità di politiche che, secondo i manifestanti, alimentano l’escalation a Gaza. La piazza non chiede solo un cessate il fuoco, chiede una svolta strutturale.
Dalle banchine genovesi ai viali romani, dai caselli toscani ai portoni felsinei, la cronaca di oggi è il resoconto di un’Italia che vuole contare nel dibattito internazionale partendo dalla propria quotidianità: un autobus in ritardo, un corso universitario interrotto, un turno in porto rimasto scoperto. Molti osservatori si chiedono se questo sciopero resterà un episodio isolato o se, al contrario, costituirà il primo tassello di una stagione di mobilitazioni che, con l’avvicinarsi dell’inverno, potrebbe estendersi a nuova fetta di società. Per ora, in migliaia hanno dimostrato che l’indifferenza non è l’unica opzione.
