Il nuovo anno scolastico riporta i ragazzi in aula con bagagli spesso invisibili: aspettative, confronto con i coetanei, sconosciute pressioni online. ActionAid, con il progetto Youth4Love, ne ha misurato il peso, analizzando oltre 14mila voci di adolescenti italiani. Il risultato è un quadro nitido di bullismo diffuso e di un disagio corporeo alimentato, in gran parte, dalla vita digitale.
Una realtà da non ignorare
Varcando i cancelli degli istituti, milioni di studentesse e studenti portano sulle spalle interrogativi che vanno ben oltre libri e quaderni. Il confronto continuo con i pari, l’attenzione giudicante degli adulti implicati nei percorsi educativi e la ricerca, spesso affannosa, di un posto nel gruppo rendono le giornate scolastiche un banco di prova emotivo. A ciò si somma un altro livello di difficoltà: la gestione di un corpo che muta, osservato da specchi reali e virtuali. In questo contesto, il bullismo, alimentato da stereotipi persistenti, si conferma la principale forma di violenza segnalata nelle aule italiane, ponendo l’urgenza di interventi sistemici che non si limitino alla punizione del singolo, ma abbraccino l’intera comunità educativa.
La nuova indagine realizzata da ActionAid insieme alla community digitale Webboh ha coinvolto oltre 14mila ragazze e ragazzi tra i 13 e i 18 anni, inserendo l’esperienza nella cornice del decennale progetto Youth4Love, sostenuto dai fondi Otto per Mille dell’Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai. Il questionario, diffuso alla vigilia del Back to School 2025, ha fatto emergere dati inequivocabili: la non accettazione dell’altro, spesso dovuta a scarsa conoscenza, si traduce in episodi di prevaricazione tanto fisici quanto digitali. Dalla ricerca affiora inoltre il concetto di intersezionalità: gli adolescenti non vengono presi di mira per un unico tratto identitario, bensì per l’insieme di caratteristiche che li rende, nella percezione dei pari, “diversi” e quindi attaccabili.
L’esperienza sul campo a L’Aquila testimonia la difficoltà dell’inclusione culturale
Per la prima volta Youth4Love ha fatto tappa in un istituto comprensivo di L’Aquila, offrendo uno spaccato prezioso su ciò che accade nelle classi di scuola media, spesso meno esplorate rispetto alle superiori. Secondo quanto riferito da Valentina Ciaccio, referente di ActionAid Italia, la provenienza geografica o culturale costituisce il grimaldello attraverso cui si insinua il bullismo in questa fascia d’età: chi viene da un contesto “altro” diventa bersaglio di derisioni e isolamento. L’assenza, per molti, di profili social ha limitato l’impatto delle pressioni estetiche, ma non ha impedito che l’esclusione si manifestasse nei corridoi, talvolta con modalità sottili e non immediatamente riconoscibili da docenti e genitori.
Lo scenario cambia passando agli istituti superiori. Qui, racconta ancora Ciaccio, gli attacchi si concentrano sull’espressione individuale: un capo di abbigliamento ritenuto “fuori moda”, un comportamento giudicato stravagante o l’orientamento sessuale diventano pretesti per esercitare potere sulle vittime. L’andare oltre l’etichetta singola, principio cardine del progetto, è dunque la chiave per decostruire quel mosaico di stereotipi che rende normalizzata la violenza fra pari. Il lavoro in aula ha evidenziato quanto la consapevolezza collettiva, quando stimolata con attività partecipative, possa trasformare pregiudizi impliciti in opportunità di dialogo, favorendo l’inclusione di chi, troppo spesso, viene lasciato ai margini del gruppo.
Il ruolo dei social nella percezione del corpo
Il rapporto con lo specchio, reale o filtrato dallo schermo dello smartphone, è uno dei nodi più spinosi emersi dall’indagine. Un adolescente su due, infatti, ammette di soffermarsi con frequenza sui propri “difetti”, giudicandoli severamente. L’esposizione continua a modelli estetici inculcati da pubblicità patinate e algoritmi social genera un termometro interiore truccato che misura il proprio valore esclusivamente in termini di centimetri e pixel. Quando la perfezione diventa norma, ogni piccola imperfezione sembra una colpa, alimentando un malessere che può scivolare rapidamente nella derisione reciproca.
Questo sguardo ipercritico è la porta d’ingresso perfetta per pratiche di prevaricazione online: una foto condivisa in buona fede può scatenare commenti sprezzanti di perfetti sconosciuti, destinati a restare impressi sullo schermo ventiquattr’ore su ventiquattro. Nel contesto del progetto Youth4Love, docenti e studenti hanno evidenziato come l’uso distorto delle piattaforme digitali amplifichi il senso di inadeguatezza e aumenti il rischio di esclusione. Il corpo, trasformato in merce di valutazione pubblica, diventa così terreno fertile per cyberbullismo e isolamento, con ricadute tangibili sul benessere psicologico.
Cyberbullismo: la violenza che non dorme mai
Le aggressioni virtuali non conoscono campanella di fine lezione. Smartphone alla mano, il bullo può colpire di notte, in vacanza, persino durante le lezioni a distanza, costruendo un palcoscenico di umiliazioni che altri spettatori, nascosti dietro un nickname, finiscono per assecondare. Ciaccio descrive questo meccanismo come un trascinamento a catena: il primo offensore apre la pista, gli altri, sentendosi legittimati, lo imitano. Il confine tra “scherzo” e violenza si assottiglia, mentre la vittima percepisce l’isolamento e la vergogna come realtà immodificabili.
Eppure, nel panorama complesso che ActionAid monitora da anni, non mancano segnali di progresso. Come sottolinea Corinne Reier, le discriminazioni legate a orientamento sessuale e identità di genere sembrano in lieve calo, testimonianza di un lavoro culturale che inizia a dare frutti. Restano, tuttavia, radicate visioni tradizionali dei ruoli maschile e femminile, soprattutto tra i 14 e i 19 anni. Tali stereotipi riaffiorano nelle relazioni sentimentali e possono alimentare forme di abuso camuffate da normalità. L’eliminazione del bullismo passa dunque attraverso un ripensamento profondo dei modelli relazionali.
Verso una risposta collettiva e consapevole
Intervenire solo sul singolo bullo, avvertono gli esperti di ActionAid, non basta. Occorre allargare l’obiettivo all’intera società e, in particolare, alla comunità educante. Riconoscere i segnali di abuso, reagire subito, non minimizzare: tre passaggi che possono fare la differenza tra un episodio isolato e un clima di sopraffazione consolidato. Non prendere posizione equivale, nei fatti, a legittimare la violenza. Da qui l’importanza di percorsi di formazione mirati che coinvolgano studenti, docenti, famiglie e realtà territoriali, affinché il contrasto al bullismo diventi patrimonio condiviso.
La richiesta più pressante che emerge dalle classi riguarda l’educazione alla sessualità e all’affettività. La larga maggioranza degli intervistati chiede programmi curricolari, guidati da personale esterno qualificato, capaci di smontare stereotipi di genere, insegnare il rispetto reciproco e fornire strumenti per coltivare relazioni sane. Secondo Reier, tali percorsi non sono un lusso ma una necessità urgente per prevenire la violenza fra pari in tutte le sue forme, dal bullismo al cyberbullismo. Dare ascolto a questa istanza significa investire sul benessere presente e futuro di un’intera generazione.
