Quando cerca quiete e autenticità, re Carlo III non punta alle proprietà scozzesi o alle tenute inglesi: sceglie la Transilvania. In quel lembo di Romania rurale, il sovrano ritrova un paesaggio rimasto immutato, privo di rumori digitali, dove il ritmo quotidiano segue ancora i passi degli animali e il profumo dei prati.
Un rifugio lontano dalla modernità
La strada che porta al suo buen retiro si snoda per quasi cinque chilometri di sterrato, costeggiando prati cosparsi di fiori selvatici e casette dipinte di colori pastello. Al termine di questo percorso si arriva a Zălanpatak, minuscolo borgo sospeso in un tempo che altrove è ormai leggenda. Qui non si vedono automobili, ma carri trainati da cavalli, mucche che procedono lente verso i pascoli e anziani che salutano passando. L’assenza di asfalto e di cartelloni pubblicitari fa respirare al visitatore un’aria di autentica libertà, come se la modernità avesse deciso di fermarsi prima di varcare quel confine invisibile.
All’interno della residenza scelta da Carlo III tutto richiama sobrietà: le pareti bianche custodiscono una stufa a legna del XVII secolo che diffonde calore lento, un letto a castello in legno intagliato vigila sulla camera principale e un ritratto di Elisabetta II sorveglia con discrezione la casa. Nessun telefono squilla, nessun segnale Wi-Fi lampeggia, nessuno schermo illumina la notte. La ricchezza, qui, si misura nella quiete dei crepitii del fuoco e nel silenzio punteggiato dal canto dei grilli, un lusso che il monarca custodisce con gelosa cautela.
Un laboratorio vivente per l’ambiente di Carlo
Nella campagna transilvana l’agricoltura rimane un affare di famiglie, appezzamenti ridotti e rotazioni secolari che preservano la fertilità del suolo. Il risultato è un mosaico botanico spettacolare: oltre 1.200 specie di piante convivono in pochi chilometri quadrati e più di 200 varietà di farfalle danzano sopra i prati, numeri impensabili per l’Europa settentrionale. Orsi, lupi e linci – da tempo scomparsi oltremanica – qui percorrono ancora boschi fitti, offrendo un raro esempio di coesistenza fra uomo e grandi predatori. È un ecosistema che sembra narrare un capitolo cancellato altrove.
Questa ricchezza naturale coincide perfettamente con le battaglie che il sovrano britannico conduce da decenni in favore della biodiversità, dell’agricoltura biologica e della salvaguardia del paesaggio rurale. Secondo il suo amico, il conte Tibor Kalnoky, la regione gli permette di vedere concretamente realizzati i principi che difende nei forum internazionali, trasformando la vacanza in una sorta di seminario a cielo aperto. Ogni visita diventa quindi un esercizio di coerenza, un modo per testare sul campo idee che, altrove, restano slogan o proclami.
La routine delle visite reali
Il periodo prescelto da Carlo III per la sua parentesi transilvana si colloca abitualmente fra la fine di maggio e l’inizio di giugno, quando i prati esplodono di fioriture e le temperature notturne restano miti. In quei giorni la pensione di Zălanpatak, che dispone di sette camere, chiude le porte ai viaggiatori comuni e viene presidiata dal personale di sicurezza reale. Il ritmo si fa discreto: passeggiate all’alba, letture serali accanto alla stufa e sopralluoghi nei villaggi vicini alla ricerca di antichi mestieri.
Quando il sovrano riparte, l’edificio riapre al pubblico, mantenendo lo stesso arredamento spartano che conquista chi è in cerca di autenticità. Una notte in camera doppia costa circa 170 euro, cifra che permette di finanziare anche la manutenzione artigianale dell’immobile. Gli ospiti possono aggiungere esperienze come l’osservazione degli orsi dai rifugi sicuri, lente gite in carrozza attraverso i campi o laboratori di pasticceria tradizionale. Turismo e conservazione, in questo angolo remoto, procedono mano nella mano, grazie a un modello di sviluppo che valorizza la cultura contadina senza snaturarla.
Un legame costruito in un quarto di secolo
Venticinque anni di frequentazioni regolari hanno trasformato la regione in una seconda casa per Carlo III. Ogni volta che il corteo attraversa le colline, gli abitanti riconoscono il visitatore illustre, ma ne rispettano la discrezione, limitandosi a un cenno dal ciglio della strada. Il monarca, dal canto suo, ricambia mostrando interesse sincero per le storie locali, per le tecniche di allevamento tramandate da generazioni o per la lavorazione del legno che ha prodotto molti degli arredi della sua dimora. Si è creato così un rapporto di reciproca fiducia che va oltre il protocollo.
Il conte Kalnoky riassume spesso questo sentimento spiegando che per il sovrano la Romania non è una semplice destinazione, ma un luogo in cui ritrovare gesti, saperi e atmosfere che il progresso ha cancellato in quasi tutto il continente. Non sorprende, quindi, che il legame si sia consolidato al punto da divenire parte integrante dell’identità del re. In fondo, tornare qui significa ricordare al mondo – e a se stesso – che esiste ancora uno spazio dove tradizione e futuro possono dialogare in armonia.
