La fontana monumentale Ardea Purpurea, opera del mosaicista Marco Bravura, è tornata a zampillare nel cuore di Beirut: un cantiere congiunto italo-libanese ne ha ripristinato la piena efficienza, trasformando il restauro in un gesto di dialogo culturale e resilienza urbana.
La rinascita della fontana
La vivace silhouette della Ardea Purpurea è ricomparsa sulla piazza che la ospita dopo mesi di lavoro meticoloso che hanno coinvolto maestranze specializzate e l’occhio vigile dell’autore. Gli interventi hanno interessato sia le superfici musive sia gli impianti idraulici, duramente compromessi dagli anni di esposizione e dalle recenti difficoltà che hanno attraversato la città. Gli artigiani hanno applicato tecniche di pulitura e consolidamento improntate al minimo impatto, restituendo brillantezza alle tessere in vetro senza alterarne la patina. Il risultato, visibile già al primo sguardo, è un’opera che ritrova la propria forza espressiva e si riappropria dello spazio pubblico, invitando passanti e turisti a fermarsi e a lasciarsi sorprendere.
Fin dall’avvio del cantiere Marco Bravura ha presidiato ogni scelta estetica e tecnica, avvalorando con la propria presenza la volontà di mantenere intatta l’anima originaria della scultura. L’artista ha seguito l’andamento delle operazioni giorno per giorno, confrontandosi con restauratori, ingegneri e responsabili di cantiere per sciogliere dubbi, correggere imprevisti, garantire coerenza tra progetto e realizzazione. Questa supervisione diretta non solo ha assicurato un esito fedele al concept dell’opera, ma ha anche favorito la trasmissione di competenze ai professionisti libanesi coinvolti, prolungando nel tempo il valore didattico dell’intervento. La fontana, nata come segno di amicizia, è così divenuta laboratorio vivente di scambio culturale.
Un ponte tra due Paesi in tempi complessi
L’impresa è maturata all’interno di una rete che ha visto protagonisti Assorestauro, l’Ambasciata d’Italia e l’Ufficio ICE di Beirut, coordinati dall’architetto Francesca Brancaccio. La sua regia scientifica ha dettato tempi, metodologie e priorità, posizionando la conservazione dell’opera al centro di un processo di condivisione di saperi. La collaborazione serrata fra uffici diplomatici, associazioni di categoria e operatori economici ha reso possibile un cantiere che sarebbe apparso proibitivo in contesti meno coesi. Il flusso continuo di informazioni e competenze ha permesso di superare ostacoli burocratici e logistici, estendendo il significato della fontana oltre la sfera artistica, fino a farne un case study di policy culturale internazionale.
Determinante, in particolare nelle fasi di trasporto dei materiali e di sicurezza dell’area di lavoro, è stato il contributo delle Forze Armate Libanesi, che hanno messo a disposizione mezzi e personale, confermando una volta di più come l’arte possa creare alleanze inattese. In un contesto segnato da tensioni economiche e sociali, il restauro della fontana testimonia la possibilità di immaginare scenari di coesione e sviluppo sostenibile. Il ritorno dell’opera nel paesaggio urbano lancia un messaggio di speranza, riaffermando la centralità della cultura quale strumento di resilienza collettiva e di dialogo tra popoli.
Tecnologia e know-how tricolore
Il cantiere ha beneficiato dell’apporto congiunto di imprese italiane specializzate nella conservazione e nell’innovazione tecnologica, selezionate da Assorestauro per le loro competenze mirate. B5 Srl ha coordinato la fase di diagnostica e rilievo 3D, mentre Mapei ha messo a disposizione malte studiate ad hoc per la compatibilità con i materiali originali. A illuminare i giochi d’acqua ci hanno pensato i sistemi di iGuzzini, calibrati per ridurre i consumi energetici senza sacrificare la resa cromatica. Ibix Srl ha fornito strumenti di micro-aeroabrasione controllata, indispensabili per la pulitura dei mosaici, e Gruppo Pouchain ha curato il ripristino dell’impianto elettrico, garantendo standard di sicurezza internazionali.
L’insieme di queste competenze ha trasformato il restauro della Ardea Purpurea in un banco di prova per il Made in Italy applicato alla gestione del patrimonio fuori dai confini nazionali. L’esperienza dimostra come la qualità tecnica, quando si coniuga con una visione culturale condivisa, possa produrre ricadute positive ben oltre il cantiere. L’opera, concepita fin dall’origine come simbolo di amicizia fra Italia e Libano, oggi brilla di nuova vita, ricordando che la diplomazia culturale non si alimenta soltanto di protocolli, ma di gesti concreti capaci di rinnovare luoghi e relazioni.
