Lo stadio di Tokyo ha trattenuto il fiato, poi è esploso in un boato: Armand Duplantis ha riscritto ancora la storia del salto con l’asta, portandosi a una quota che solo lui aveva osato immaginare.
Il salto dell’audacia
Con la medaglia d’oro già in tasca e il pubblico giapponese in trepidante attesa, Duplantis ha chiesto che l’asticella venisse posizionata a 6,30 metri, un centimetro più in alto del record che egli stesso deteneva. La scelta, apparentemente azzardata, ha rivelato la stoffa di un atleta che non si accontenta mai. Il primo e il secondo tentativo non sono bastati, ma anziché lasciarsi intimidire, il venticinquenne svedese ha trasformato la pressione in energia pura. Quando, al terzo assalto, il suo corpo ha superato la barra senza sfiorarla, l’impianto intero ha vibrato di emozione, sancendo l’ennesima impresa di un fuoriclasse ormai leggendario.
Il tripudio che ha seguito quel successo non è stato un semplice applauso: è stata una standing ovation che sembrava non dover finire mai. Le gradinate hanno accolto l’impennata del nuovo primato mondiale con un coro unanime, mentre gli avversari si sono congratulati con sincera ammirazione. In quell’istante, Duplantis non ha solo aggiunto un altro centimetro al suo curriculum, ma ha confermato una mentalità votata al continuo superamento dei limiti personali. È la dimostrazione che l’asticella più difficile da valicare è sempre nella testa, e il fuoriclasse di origini statunitensi e passaporto svedese sembra averlo capito meglio di chiunque altro.
Tokyo accoglie il campione
La capitale giapponese, sede dei Mondiali di atletica 2025, ha offerto il palcoscenico ideale per un evento destinato a essere ricordato a lungo. Lunedì 15 settembre, mentre il sole tramontava dietro lo skyline ultramoderno, l’occhio di bue del grande impianto si è fissato sull’unica pedana ancora occupata: quella del salto con l’asta. Lì, “Mondo”, come lo chiamano i compagni, ha dato corpo a un’atmosfera quasi metafisica, sospendendo il tempo prima dello scatto decisivo. In quella manciata di secondi, la folla ha percepito che qualcosa d’irripetibile stava per accadere, e ha risposto con un silenzio carico di attese.
Quando l’asticella è rimasta al suo posto, immobile, sopra la testa del campione, la scena si è tinta dei colori forti delle grandi occasioni. Il tabellone elettronico ha illuminato la cifra “6,30”, e subito dopo è comparsa la scritta “World Record”. Il pubblico ha capito di trovarsi davanti a una pagina nuova nella storia dell’atletica. In quell’urlo collettivo c’era l’eco di tutte le imprese passate, ma soprattutto la certezza che, con il quattordicesimo primato personale, lo svedese stava aprendo un capitolo ancora tutto da scrivere.
Dal diamante nordico allo splendore mondiale
Il nuovo limite arriva appena un mese dopo quello stabilito a Stoccolma, nella tappa “di casa” della Diamond League. Allora, i 6,29 metri erano sembrati un traguardo quasi inarrivabile, eppure Duplantis ha dimostrato di non considerare mai definitivo alcun risultato. Il filo rosso che unisce la fredda atmosfera scandinava all’abbraccio caldo di Tokyo è fatto di ambizione, disciplina e una straordinaria capacità di concentrazione. Ogni record, nella sua carriera, è stato il frutto di una strategia lucida: individuare un obiettivo, demolirlo e ricominciare da capo, senza lasciare che la gloria del momento condizioni il lavoro successivo.
Il conteggio dei primati personali sale così a quattordici, un numero che riflette l’evoluzione continua di un talento che sembra non conoscere soste. L’asticella dei 6,30 metri non è solo un dato statistico: è la dimostrazione di quanto un atleta possa plasmare il proprio destino sportivo. In un’epoca in cui le prestazioni sono monitorate al millesimo, Armand Duplantis conferma che la vera differenza risiede nell’audacia di chi osa. Finché la voglia di osare rimarrà intatta, ogni centimetro potrà trasformarsi in una nuova frontiera, pronta a essere superata alla prossima occasione.
