Una fila silenziosa, scolpita non nell’immaginazione ma nel muro, riemerge a Pompei. I nuovi scavi davanti alla Villa dei Misteri hanno restituito una panchina e, con essa, i graffiti di chi lì trascorse ore d’attesa. Frammenti di vita che spalancano un varco su chi non varcò mai i saloni affrescati.
Una sosta iscritta nel tempo
È lungo la strada che collegava l’antica Pompei con l’odierna Boscoreale che gli archeologi hanno individuato una panca di cocciopesto, addossata al muro esterno dell’ingresso. La superficie, apparentemente anonima, conserva una fitta trama di incisioni realizzate con carbone o oggetti appuntiti: date senza anno, nomi abbreviati, segni incomprensibili perfino a chi oggi padroneggia l’epigrafia romana. Ogni tratto racconta l’impazienza di uomini e donne costretti a ingannare il tempo mentre un portone chiuso decideva del loro destino quotidiano, prima o poi.
Contrapposta agli splendidi affreschi dionisiaci custoditi all’interno della residenza, la panchina rivela l’altra faccia della Villa dei Misteri. Nulla di celebrativo, nessuna scenografia domestica; solo il ripetersi di gesti minimi, assai più rivelatori di qualunque decorazione parietale. Chi stazionava all’ombra dell’arco non sapeva se, né quando, sarebbe stato ricevuto. Così, al pari di chi oggi consuma lo schermo di uno smartphone, quei frequentatori consumavano l’intonaco, lasciando un segno di sé come per gridare: «Sono stato qui e ho atteso» anche.
Clienti, braccianti e mendicanti: il volto popolare di Pompei
Secondo gli studiosi, a sedersi su quel muretto non erano viaggiatori attratti dall’arte, bensì clienti in cerca di protezione, piccoli proprietari rurali con le carte in mano, o braccianti stanchi di camminare. All’alba, la rituale salutatio imponeva di presentarsi davanti al dominus, sperando in un prestito, in un intervento giudiziario, magari in un pranzo. Ma la lista d’attesa era lunga, e le gerarchie spietate: quanto più numerosa la folla, tanto maggiore il prestigio del padrone di casa, che poteva decidere di mostrarsi o di rimandare tutti al giorno successivo.
Il direttore del Parco, Gabriel Zuchtriegel, ha ricordato che quella panca fungeva da vera sala d’attesa all’aperto, disposta lungo la via che conduceva a Boscoreale. Molti di coloro che vi si fermavano non avrebbero mai varcato la soglia decorata con scene misteriche; eppure le loro tracce, oggi, raccontano forse più di qualsiasi pittura. Scrivere una data priva di anno o incidere un soprannome voleva dire esistere, occupare metaforicamente uno spazio nella casa di chi deteneva il potere politico e sociale, fosse anche solo per qualche minuto.
Scavi, legalità e collaborazione istituzionale
La recente campagna di indagine è maturata all’interno di una sinergia non scontata tra il Parco Archeologico di Pompei e la Procura di Torre Annunziata. Gli archeologi hanno potuto impiantare i nuovi cantieri soltanto dopo l’abbattimento di un edificio abusivo che incombeva sul sito, demolizione finanziata direttamente dal Parco e coordinata dalla magistratura. È il segno di una tutela che passa anche per la legalità urbanistica: eliminare volumi illeciti significa restituire visibilità al monumento, ma anche impedire che le cavità scavate clandestinamente diventino porte d’accesso per il traffico di reperti.
Un secondo obiettivo, altrettanto cruciale, riguardava il censimento delle gallerie scavate in passato dai tombaroli. Tracciando con precisione quelle traiettorie sotterranee, gli investigatori ottengono oggi mappe indispensabili per ricostruire la filiera di furti, sequestri e vendite illecite. Parallelamente, gli archeologi hanno ripreso il lavoro condotto un secolo fa da Amedeo Maiuri, completando le porzioni ancora sepolte della villa. Mentre la giustizia blocca l’aggressione moderna, la ricerca riannoda i fili della conoscenza, rendendo finalmente accessibile un contesto che dal 1909 attendeva di essere raccontato per intero.
Alla scoperta dell’ingresso monumentale
Lungo la Via Superior, lo scavo ha restituito il portale originario della residenza, maestoso nonostante i danni inflitti dall’eruzione. Sono riemersi il basamento dell’arco, i paracarri in muratura che delimitavano le ante lignee, e un tratto di selciato in pietra lavica che testimoniava l’antico flusso di carri e pedoni. Quella soglia, ora visibile dopo secoli di sepoltura, racconta la cura posta nel definire limiti e prestigio: segnava il passaggio dalla dimensione pubblica della strada a quella privata dell’abitare più intima.
All’interno si sono riconosciuti ambienti decorati nel cosiddetto terzo stile pompeiano, con fondi neri e gialli arricchiti da sottili motivi vegetali e fantastici. Non meno sorprendente è la cisterna voltata individuata sopra il muro della panchina: un elemento del sistema idrico che regolava le acque piovane, confermando la cura tecnica che accompagnava il lusso. Oltre lo strato di lapilli del 79 d.C., gli archeologi hanno isolato un paleosuolo sistemato “a conchette”, tecnica agricola che testimonia un rapporto intelligente con il paesaggio, dove sfruttamento e conservazione convivevano.
Dallo scavo alla condivisione: un futuro aperto a tutti
Il contrasto tra l’esclusività del passato e la fruizione contemporanea non potrebbe essere più marcato. Un tempo la magnificenza della Villa dei Misteri era riservata a ospiti selezionati, mentre la panchina restava l’unico orizzonte per molti. Oggi quegli stessi ambienti accolgono migliaia di visitatori, spesso gratuitamente durante le prime domeniche del mese. La cultura cambia pelle e pubblico, trasformando l’antica prerogativa di pochi in un’esperienza collettiva. Guardare i graffiti significa riconoscere l’umanità condivisa di chi, duemila anni fa, sedeva dove ora scorre la nostra curiosità.
Le prossime fasi del progetto si concentreranno sul quartiere servile, tuttora coperto da lapilli. Gli archeologi puntano a far emergere cucine, magazzini e alloggi degli addetti, passaggio indispensabile per chiudere il cerchio della ricerca. Con l’indagine completa, aggiungeranno tasselli decisivi al mosaico di dati utili alla conservazione e alla valorizzazione del complesso. Ciò che oggi riposa sotto metri di pomici potrebbe presto raccontare altre storie di lavoro e dignità, ampliando la capacità del sito di sorprendere, educare ed emozionare ancora.
