Eleganza artigianale e radici campane si incontrano in un liquore capace di conquistare premi e palati da Nord a Sud: Amaro Don Carlo, nato a Eboli, continua la sua corsa celebrando territorio, inclusione e alta cucina, tra riconoscimenti nazionali e cene d’autore che ne esaltano l’anima contemporanea.
La firma di Carlo Gargiulo e Angela Caliendo
Era il 1994 quando i coniugi Carlo Gargiulo e Angela Caliendo, già anima della storica Enoteca Gargiulo di Eboli, decisero di tradurre in bottiglia il ricordo dei profumi campani. Nacque così Amaro Don Carlo, un’etichetta che, pur piccola nei numeri, racchiude un grande gesto artigianale: mallo di noce in quota maggioritaria, selezione di erbe e spezie dosate con pazienza, riposo lento e imbottigliamento curato a mano. Ogni dettaglio, dalla macerazione alla tappatura, è sorvegliato personalmente dai due fondatori, convinti che la qualità non sia negoziabile ma frutto di dedizione quotidiana e di rispetto per i ritmi della natura.
Il cuore della ricetta ruota attorno a un generoso 60 % di mallo di noce, ingrediente che conferisce colore intenso e una trama gustativa ricca di richiami boschivi. A completare il ventaglio aromatico interviene un mix riservato di erbe e spezie che varia con le stagioni, mantenendo inalterato il carattere. Saper calibrare le infusioni è un’arte silenziosa fatta di continui assaggi, annotazioni e pazienza. Il risultato? Un amaro capace di offrire profondità balsamiche e un finale elegante, fedele interprete del territorio e della filosofia dei suoi creatori.
Dal laboratorio di Eboli ai palcoscenici internazionali: una corsa senza soste
La produzione, pur restando saldamente radicata nel piccolo laboratorio di Eboli, viaggia veloce lungo la Penisola, approdando a eventi di settore e insegne di prestigio che ne hanno sposato la filosofia. Bottiglia dopo bottiglia, Amaro Don Carlo ha varcato confini regionali e ha raggiunto mercati esteri, dove il pubblico ricerca autenticità e storie credibili. Ogni consegna rappresenta un tassello di un racconto collettivo che unisce artigianato e spirito imprenditoriale, dimostrando come la Campania possa farsi ambasciatrice di prodotti dall’identità inconfondibile, capaci di competere senza cedere a compromessi industriali.
L’ultima tappa di questo percorso si è consumata a Merano, dove la commissione del WineHunter Spirits Award 2025 ha inserito Amaro Don Carlo tra i vincitori della categoria distillati e liquori. Oltre duecentocinquanta etichette provenienti da tutta Europa sono state esaminate da degustatori, giornalisti, sommelier ed enologi con trent’anni di esperienza. Ricevere quel sigillo di qualità non rappresenta solo un trofeo, ma certifica l’impegno costante dei produttori campani nel salvaguardare tradizioni e innestarle in contesti contemporanei, mantenendo alta l’attenzione su ricerca delle materie prime e rigore produttivo.
Cena a quattro mani
Appena rientrato dal palcoscenico altoatesino, il liquore ha riabbracciato la propria città con una cena d’autore ospitata nel ristorante Cantina Segreta, ricavato in un’antica cantina in pietra incastonata tra i vicoli di Eboli. Ai fornelli il resident chef Andrea Nanna ha incrociato il suo stile con quello di Gaetano Marinaccio, chef del ristorante “La Cucina non il solito ristorante” di Rho. Insieme hanno ideato un percorso gastronomico dove l’amaro è diventato filo conduttore, mostrando come un distillato possa dialogare con l’alta cucina senza sovrastarla, ma anzi enfatizzarne consistenze, temperature e profumi.
L’atmosfera raccolta della sala, le luci soffuse riflesse sulle bottiglie e il profumo delle spezie nel bicchiere hanno creato quel contesto sensoriale ideale per far emergere l’identità del distillato. La sinergia fra i due cuochi ha trasformato la cena in una narrazione corale, in cui ogni portata rappresentava un capitolo dedicato a un aspetto diverso del liquore: la dolcezza del mallo di noce, la freschezza erbacea, la lieve speziatura finale. Il pubblico ha così potuto sperimentare un viaggio gustativo che partiva dal sorso puro e culminava in piatti concepiti per esaltarne la complessità.
Amaro protagonista dall’amuse-bouche al dessert
Il debutto del menu è stato affidato a “Don Carlo in un sol boccone”, una sfera di gelatina dal cuore liquido che in un attimo avvolgeva il palato con note balsamiche, predisponendolo alle sfumature successive. L’antipasto, invece, ha trovato nello spiedo di foie gras marinato in Amaro Don Carlo e liquore Strega la propria firma identitaria: un omaggio al piatto maestro di Fabio Iacovone, reinterpretato in chiave campana. L’abbinamento ha evidenziato come l’amaro, dosato con criterio, possa domare la grassezza, amplificando la pulizia finale e rendendo quasi doveroso il morso successivo.
Nel segmento dolce la mano dei pasticcieri si è spinta oltre, accostando Amaro Don Carlo Chocolate alla classica melanzana al cioccolato, simbolo della Costa d’Amalfi. Il risultato è stato un dialogo fra toni tostati, cacao e sentori di carruba, impreziosito da un tocco amaricante equilibrato. Dopo il dessert, i petit four – bignè craquelin, cantuccio al cioccolato, pralina con arachidi e caramello, gelée al lampone – hanno accompagnato rispettivamente l’amaro in versione classica e Donna Rosalba, ottenuto dalla rucola della Piana del Sele. Un ventaglio di sfumature che ha chiuso il pasto con leggerezza, non con ridondanza.
Territorio, inclusione, sostenibilità
Oltre al piacere edonistico del calice, la serata ha posto l’accento su valori sociali concreti. In tavola è arrivato il Pane del Forno di Vincenzo, frutto di grani antichi moliti a pietra e di un progetto che coinvolge giovani con disabilità o fragilità, offrendo loro competenze e prospettive lavorative. Gusti autentici e responsabilità civile si sono così intrecciati, riaffermando il ruolo della gastronomia quale veicolo di inclusione. Il pane, con la sua mollica densa e il profumo di cereali, ha dialogato in modo naturale con l’amaro, esaltandone la nota tostata e il retrogusto persistente.
Chiudendo la degustazione, gli ideatori di Amaro Don Carlo hanno ribadito che la vera forza del progetto risiede nella collaborazione tra artigiani, ristoratori e comunità. Un liquore nato per raccontare un territorio diventa così ambasciatore di buone pratiche: dalla valorizzazione delle eccellenze agricole locali all’attenzione per chi vive situazioni di fragilità. Il messaggio è chiaro: qualità, etica e identità possono convivere nella stessa bottiglia. E mentre i brindisi si moltiplicano in tutta Italia, il sogno di Carlo e Angela continua a viaggiare, ricordando che spesso le storie più autentiche nascono proprio dove le strade sembrano finire.
