Il negoziato sul destino dell’ex Ilva di Taranto resta in bilico: la decisione viene rimandata al 31 luglio e nel frattempo si istituisce una nuova commissione tecnica, mentre lo stabilimento oscilla fra la possibilità di rinascere e il timore di un fallimento che avrebbe ripercussioni su migliaia di lavoratori e su un intero territorio.
Il rinvio e la commissione tecnica
L’ennesima riunione al ministero delle Imprese si è chiusa senza accordo, sancendo in un verbale la necessità di ulteriore tempo. È stato Michele Emiliano, governatore pugliese, a fotografare la situazione come “a un passo dalla soluzione e a un passo dal fallimento”. La sensazione che traspare dai corridoi romani è quella di una partita giocata sul filo, in cui ogni ora guadagnata può ribaltare gli equilibri o accelerare il tracollo. Eppure, il ministro Adolfo Urso si è detto fiducioso, parlando di “strada giusta” e di impegno unanime per salvare il polo siderurgico.
Il verbale sottoscritto da tutte le parti rinvia la “decisione finale” al 31 luglio e crea un gruppo di esperti incaricati di valutare opzioni concrete, prima fra tutte l’ipotesi di proseguire senza la nave rigassificatrice. Gli enti locali insistono su questa richiesta, convinti che un diverso approvvigionamento di gas, unito alla costruzione di impianti DRI, possa rendere sostenibile la decarbonizzazione. La posta in gioco non è soltanto industriale: il tessuto sociale di Taranto attende segnali chiari su ambiente, salute e occupazione.
AIA, tribunali e investitori: i passaggi obbligati
Giovedì, in conferenza dei servizi al ministero dell’Ambiente, dovrà comunque arrivare il rilascio della nuova AIA. Il ministro Gilberto Pichetto Fratin lo aveva annunciato prima del tavolo, e Urso lo ha confermato: autorizzare l’impianto a produrre è condizione imprescindibile per rispondere alle prescrizioni del tribunale di Milano e tenere viva la fabbrica in attesa della trasformazione verde. Senza quell’autorizzazione, il percorso verserebbe in un vicolo cieco ancora prima di cominciare.
La stessa autorizzazione è indispensabile per riaccendere l’interesse dei potenziali compratori chiamati a presentarsi alla gara che scatterà il primo agosto. Ogni investitore, hanno ribadito i consulenti ministeriali, pretende che l’acciaieria sia già in regola con i parametri ambientali prima di impegnare capitali. In gioco non ci sono soltanto fondi e tecnologie, ma la credibilità istituzionale del Paese, che deve dimostrare di saper dettare e rispettare regole certe a tutela di lavoratori e cittadini.
Sindacati e politica locale: la tensione sul campo
Da Taranto rimbalzano pressioni crescenti. Undici consiglieri comunali di maggioranza hanno chiesto al sindaco Piero Bitetti di non firmare nulla senza un confronto preventivo in Consiglio. Il rinvio al 31 luglio, deciso al ministero, coincide infatti con il giorno successivo alla prima seduta del nuovo Consiglio comunale: un calendario che lascia intendere come la voce della città stia finalmente entrando nel cuore del dossier. Intanto, gli stessi rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza di Fim, Fiom e Uilm hanno segnalato nuove emissioni anomale dal reparto Acciaieria 2, pretendendo spiegazioni immediate dall’azienda.
Sul fronte sindacale, il segretario generale della Uilm Rocco Palombella ha ricordato come il «destino di migliaia di lavoratori» sia appeso alla sigla sull’AIA. L’impegno assunto da Urso con le confederazioni, in un incontro separato, prevede politiche attive e persino un provvedimento dedicato per riassorbire eventuali esuberi. L’obiettivo dichiarato è scongiurare licenziamenti di massa, ma la tensione resta palpabile perché ogni scenario industriale porta con sé calcoli diversi sui posti di lavoro.
Decarbonizzazione, DRI e scenari occupazionali
La commissione tecnica, chiamata a esprimersi il 28 luglio, dovrà indicare se sia realizzabile un piano che prevede fino a quattro impianti DRI e l’eliminazione del rigassificatore. Questa soluzione, sostenuta con forza da Emiliano, punta a utilizzare preridotto per alimentare tre forni elettrici, riducendo drasticamente le emissioni. Il governatore riconosce però la “furia popolare” di chi vorrebbe spegnere subito gli altiforni a caldo: un sentimento potente, figlio di anni di paure e malattie, che rende il confronto politico ancora più acceso.
Sul tavolo resta anche l’ipotesi di procedere con soli tre forni elettrici, senza DRI né rigassificatore: uno scenario che, secondo le simulazioni, genererebbe esuberi più pesanti. Il cosiddetto “decreto Ilva”, ora in Senato, potrebbe essere migliorato proprio per gestire quell’impatto sociale. Fra clausole di salvaguardia e promesse di riconversione, il futuro della siderurgia italiana si intreccia con la vita delle famiglie tarantine, che continuano a guardare verso quelle ciminiere sperando di intravedere, finalmente, un orizzonte meno oscuro.