La risposta arrivata da Bruxelles ha rassicurato Roma: l’Unione Europea preferisce la via del negoziato ai toni muscolari, e Palazzo Chigi si dice pronta a sostenerla. Con l’ombra di dazi statunitensi al 30%, Giorgia Meloni rivendica la capacità dell’Europa di difendere i propri interessi senza scivolare in una guerra commerciale.
Un asse europeo per disinnescare la tensione commerciale
La mossa della presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, ha congelato sul nascere l’idea di un’immediata rappresaglia: la sospensione dei controdazi europei e la scelta di tenere in riserva lo Strumento anti-coercizione rappresentano, secondo Bruxelles, il modo migliore per tenere aperto il tavolo con Washington. Il messaggio è chiaro: l’Unione dispone di un peso economico e finanziario sufficiente a far valere le proprie ragioni, ma preferisce farlo attraverso il dialogo piuttosto che con l’escalation. Per Palazzo Berlaymont ogni passo deve puntare a un accordo «equo e di buon senso».
Da Roma Giorgia Meloni sposa la linea comunitaria e, in una nota diffusa in serata, ricorda che «l’Europa ha la forza per farci valere». La premier sottolinea come per tutta la giornata il governo sia rimasto in contatto «con la Commissione e con tutti gli attori impegnati nella trattativa», consapevole che uno scontro doganale interno all’Occidente finirebbe per indebolire tutti di fronte alle sfide globali. L’impegno italiano viene ribadito in poche parole: «L’Italia farà la sua parte, come sempre». Parole che suonano come un’investitura ufficiale alla strategia di Bruxelles.
Palazzo Chigi muove i fili della diplomazia
Le telefonate tra Roma, Bruxelles e Washington si sono susseguite per tutta la domenica, mentre la scadenza del primo agosto ‑ data in cui i dazi minacciati da Donald Trump potrebbero scattare ‑ incombe come un conto alla rovescia. «Non è il momento delle ritorsioni», avverte il ministro delle Imprese Adolfo Urso, convinto che le prossime tre settimane vadano impiegate per definire un compromesso «ben al di sotto» del 30% paventato dalla Casa Bianca. La parola d’ordine, ripetono a Palazzo Chigi, è disinnescare la crisi prima che degeneri.
Sulla stessa linea si muove il vicepremier e ministro degli Esteri Antonio Tajani, che fra poche ore volerà negli Stati Uniti. In agenda c’è un colloquio con il segretario di Stato Marco Rubio, dopo i contatti avuti con il commissario al Commercio Maros Sefcovic e con il titolare dell’Economia spagnolo Carlos Cuerpo Caballero. Alla Farnesina spiegano che l’obiettivo è «trattare a testa alta, con fermezza ma con intelligenza», evitando di alimentare «una retorica inutilmente aggressiva» verso l’alleato americano. L’arte diplomatica si misura, ora, sulla capacità di leggere le mosse di Washington.
Milano barometro della fiducia dei mercati
L’esito delle trattative condizionerà anche l’umore delle piazze finanziarie, e lo si vedrà sin dalle prime battute di lunedì a Milano. Gli operatori si attendono un avvio nervoso, con i titoli più esposti alla variabile dazi in prima linea e l’euro sotto osservazione. L’attenzione, tuttavia, non sarà rivolta solo ai listini: nella stessa città è stato messo in calendario un incontro fra Antonio Tajani e Marina Berlusconi, elemento che contribuisce ad alimentare la curiosità degli osservatori politici. Un faccia a faccia che, sebbene pianificato da tempo, oggi viene letto alla luce delle recenti scosse interne a Forza Italia.
La riunione, spiegano fonti vicine ai due, era stata fissata settimane fa e potrebbe perfino slittare dopo che la notizia è filtrata sui media. A fare da sfondo ci sono le dichiarazioni di Pier Silvio Berlusconi, che nei giorni scorsi hanno scompaginato gli equilibri nel partito azzurro. Mentre la trattativa commerciale corre oltre Atlantico, in Italia le fibrillazioni politiche si intrecciano con l’attesa dei mercati, disegnando un quadro in cui finanza e partiti si sorvegliano a vicenda in modo quasi sincronico.
Frizioni e voci discordanti nella maggioranza
Se la linea ufficiale invita alla cautela, nel centrodestra non mancano accenti differenti. Dalle file della Lega emergono perplessità sul metodo di von der Leyen, giudicato troppo morbido. Dal canto suo Alessandro Cattaneo richiama alla «unità del governo e dell’Europa», mentre Forza Italia, insieme a Noi Moderati, non esita a bollare come «sbagliata» la minaccia tariffaria statunitense. Il capogruppo al Senato Maurizio Gasparri sintetizza: «Negoziare se possibile, reagire se necessario», uno slogan che riflette l’equilibrio precario fra diplomazia e fermezza.
La presidenza del Consiglio, pur consapevole delle sfumature interne, continua a presentarsi come un blocco compatto di fronte all’esterno. L’obiettivo è evitare che messaggi contrastanti indeboliscano il peso della delegazione italiana ai tavoli di confronto. Non a caso fonti di governo ricordano che le partite più delicate si vincono soltanto se la squadra si muove con schema condiviso. Tuttavia, le divergenze sulle contromisure da adottare in caso di fallimento del negoziato restano sullo sfondo, pronte a riaffiorare non appena il calendario imporrà decisioni cogenti.
Quando le opposizioni puntano il dito
Sull’altro versante dell’emiciclo, le opposizioni accusano la premier di aver indugiato troppo nel silenzio. La segretaria del Partito Democratico Elly Schlein parla di «modalità aereo» e invita Meloni a riferire in Parlamento: bisogna, dice, spiegare «come si intende evitare che il 30% di dazi si abbatta sul sistema produttivo italiano». Dietro le sue parole si intravede la preoccupazione per l’impatto su lavoratori e imprese, ma anche la volontà di incalzare il governo in un momento di evidente fragilità sull’arena mediatica nazionale.
Non manca il sarcasmo del leader M5S Giuseppe Conte, che invoca «Chi l’ha visto?» per rintracciare la presidente del Consiglio. «Dopo aver sventolato il suo ruolo decisivo nelle trattative, ora che arrivano le letterine con i dazi al 30% è sparita», sottolinea l’ex premier. Il ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida risponde accusando il Pd di «gufare» contro il Paese. L’inevitabile botta e risposta testimonia quanto la questione commerciale sia già diventata terreno di scontro politico interno, in un clima di campagna elettorale permanente.
Un bivio entro il primo agosto
Le prossime settimane saranno decisive. Il primo agosto non segna soltanto una scadenza tecnica, ma un bivio politico che potrebbe ridisegnare i rapporti economici all’interno dell’Occidente. Se si raggiungerà un’intesa, l’Unione Europea consoliderà la propria immagine di attore capace di far valere le proprie ragioni senza rompere l’alleanza atlantica; in caso contrario, lo spettro di dazi incrociati potrebbe innestare reazioni a catena con ricadute sui consumatori, sulle imprese e sugli equilibri geopolitici già provati dalla congiuntura internazionale di questi ultimi anni.
In questo contesto Meloni prova a ritagliarsi il ruolo di ponte tra Bruxelles e Washington, convinta che l’Europa possa «farsi valere» proprio grazie alla sua compattezza. Molto dipenderà dalla capacità di trasformare le prossime ore in uno spazio di dialogo credibile, prima che la minaccia dei dazi si trasformi in realtà. Per allora mancano pochi giorni: sufficienti, forse, per un accordo; troppo pochi per distrazioni o tentennamenti, sia nei palazzi della politica sia nei consigli di amministrazione delle multinazionali europee.