Una linea dura e urgente: così Elly Schlein chiama a raccolta l’Europa e il governo italiano per scongiurare i dazi statunitensi al 30%, minaccia mortale per esportazioni e occupazione. Per la leader dem, attendere un intervento di Giorgia Meloni significa bruciare giorni preziosi e spalancare le porte a una guerra commerciale.
Un appello diretto a Palazzo Chigi
La segretaria del Partito Democratico, intervenendo a Roma, non ha nascosto la propria inquietudine per l’assenza di una presa di posizione netta da parte di Palazzo Chigi. Davanti a un pubblico di militanti e imprenditori, Schlein ha chiesto alla presidente del Consiglio di schierarsi senza esitazioni al fianco di Bruxelles, ricordando che «le amicizie politiche non possono prevalere sull’interesse nazionale». L’appello è stato accompagnato da un monito: ogni giorno di silenzio indebolisce la forza negoziale dell’Italia e avvicina l’entrata in vigore dei dazi punitivi proposti da Washington.
Secondo la leader dem, il governo dispone di leve diplomatiche decisive che non può lasciar arrugginire. Schlein ha ricordato che l’Esecutivo ha sostenuto con vigore il piano anti-inflazione di Bruxelles e che, con la stessa determinazione, dovrebbe contrastare quello che definisce «una follia autarchica dettata da Donald Trump». La scelta non è fra cautela e azione, bensì fra tutela dell’industria italiana e resa incondizionata a logiche elettorali altrui. Per questo chiede un indirizzo chiaro al ministro degli Esteri e alla stessa Meloni prima che il negoziato entri nella fase conclusiva.
L’urgenza di un accordo entro il primo agosto
La data spartiacque indicata da Schlein è il 1º agosto, deadline oltre la quale i tariffoni minacciati dagli Stati Uniti potrebbero materializzarsi senza possibilità di ripensamento. La segretaria ricorda che l’Europa dispone ancora di margini per un’intesa e invita tutti i partner comunitari a serrare i ranghi. Non vi è più spazio per soluzioni bilaterali che indeboliscano la posizione del blocco. A suo avviso, qualsiasi parola temporeggiante o ambigua proveniente dalle capitali del Continente sarebbe interpretata da Trump come un segno di debolezza e di divisione.
Sostenere il negoziato, secondo la numero uno del PD, significa dotare la Commissione di un mandato irreversibile: scongiurare la guerra commerciale e, se necessario, approntare contromisure simmetriche. La posta in palio non è soltanto il saldo dell’export europeo, ma la credibilità politica dell’Unione in un’economia globale sempre più segmentata. Schlein si dice convinta che il rischio di ritorsioni incrociate danneggerebbe anche l’apparato produttivo statunitense, motivo ulteriore per insistere su un compromesso che eviti l’escalation prima dello scadere dell’estate bollente imminente.
Impatto sui distretti industriali italiani
La prospettiva di un’imposta doganale del trenta per cento colpirebbe in modo selettivo, ma micidiale, gli ingranaggi dell’economia tricolore più dipendenti dall’export. Schlein ha ricordato che l’Italia, seconda manifattura d’Europa, vanta una propensione alle vendite oltreconfine superiore alla media dell’Unione. Ogni barriera commerciale, osserva, equivale a sottrarre competitività alle piccole e medie imprese che animano i distretti di Veneto, Emilia-Romagna, Lombardia e Piemonte. Sotto pressione finirebbero non soltanto i fatturati, ma anche l’occupazione e le filiere di subfornitura cruciali oggi.
Non meno duro si annuncia l’impatto su lavoratori e lavoratrici che operano in settori ad alta esposizione verso il mercato statunitense: dalla meccanica di precisione alla moda, dal food processing alla chimica fine. Stime interne al PD, citate durante l’intervento, ipotizzano una contrazione immediata delle commesse e un effetto domino sui salari. L’eventuale serrata delle frontiere, afferma Schlein, cancellerebbe in pochi mesi la ripresa registrata dopo la pandemia, riportando indietro l’orologio del Paese per intere generazioni di professionisti qualificati italiani.
Ritorsioni mirate sulle big tech americane
Laddove il negoziato dovesse naufragare, la linea alternativa indicata dalla segretaria dem è altrettanto chiara: colpire le grandi piattaforme tecnologiche statunitensi. «È lì che fa più male a Trump», ha ribadito, evocando la possibilità di tasse selettive o restrizioni antitrust. L’obiettivo, spiega, non è alimentare lo scontro, ma costringere Washington a riconsiderare un provvedimento che danneggerebbe anche la Silicon Valley, cuore pulsante dell’innovazione americana. Schlein denuncia inoltre gli ostacoli frapposti da Trump all’adozione di una minimum tax globale al 15 per cento.
La strategia di ritorsione, a suo giudizio, ricomporrebbe un equilibrio incrinato dalla tattica del divide et impera che l’ex presidente repubblicano avrebbe già messo in campo. Bruxelles, sostiene, non deve cadere nella trappola di trattative individuali con le capitali più esposte, perché ciò lascerebbe campo libero alla Casa Bianca. Un messaggio di unità, aggiunge, varrebbe più di mille contratti siglati in fretta e furia. Solo una risposta collettiva, conclude, può indurre gli Stati Uniti a sedersi di nuovo al tavolo con spirito costruttivo.
Il confronto con Madrid e la richiesta di risorse vere
Schlein ha infine rivolto un rimprovero concreto all’esecutivo di Roma, confrontando le cifre presentate da Pedro Sánchez con quelle annunciate da Giorgia Meloni. Il governo spagnolo ha varato un pacchetto di 14 miliardi, più della metà in fondi freschi; l’Italia, invece, ha promosso un piano da oltre 20 miliardi composto, sostiene la segretaria, soltanto da rimodulazioni di somme già stanziate. Servono risorse nuove, non contabilità creativa, ha incalzato, chiamando il Parlamento a un sussulto di responsabilità che risulti credibile sin da subito.
A giudizio della guida del PD, occorre mobilitare strumenti finanziari adeguati a sostenere imprese e lavoratori qualora gli Stati Uniti non recedessero dal loro intento. L’esperienza spagnola dimostra, sostiene, che l’impegno politico può tradursi rapidamente in interventi di cassa, mentre in Italia continua a prevalere una logica di spostamenti contabili. Non possiamo permetterci di attendere che sia il mercato a dare il primo scossone: dobbiamo prevenirlo. Da qui l’invito a rendere immediatamente disponibili fondi freschi per la riconversione e la tutela dell’occupazione.