Accordi per oltre dieci miliardi di euro hanno chiuso la prima giornata della Conferenza internazionale dedicata alla ricostruzione dell’Ucraina, ospitata alla Nuvola dell’Eur di Roma. Una partecipazione imponente ha trasformato l’evento in un crocevia politico ed economico, con l’obiettivo di dare slancio a un processo di rinascita che ricorda da vicino l’energia del Piano Marshall del dopoguerra.
Una mobilitazione globale per la rinascita di Kiev
All’interno del centro congressi romano, oltre 8.300 persone – fra cui un centinaio di delegazioni ufficiali – hanno dato vita a un fitto intreccio di incontri bilaterali e plenari. Quindici capi di Stato o di governo, circa quaranta ministri degli Esteri, una decina di commissari europei e una quarantina di organizzazioni internazionali hanno riempito gli spazi espositivi, mentre 2.000 rappresentanti di aziende, di cui 500 italiane, hanno sondato opportunità di investimento nelle infrastrutture, nell’energia e nei servizi essenziali ucraini. Il via vai di funzionari, tecnici e imprenditori ha reso tangibile l’urgenza di coordinare fondi pubblici, capitali privati e know-how per affrontare le cicatrici lasciate dal conflitto.
Nel corso della giornata inaugurale sono stati firmati più di 200 accordi, per un valore complessivo che supera i dieci miliardi di euro. Si tratta di impegni che coprono un ampio ventaglio di temi: dal ripristino delle reti idriche al potenziamento delle linee ferroviarie, dalla tutela dei beni culturali alla messa in sicurezza delle centrali elettriche. L’atmosfera era pervasa dalla convinzione che una ricostruzione credibile necessiti di progetti visibili in tempi brevi, capaci di generare fiducia nei territori colpiti e tra gli investitori internazionali.
Il richiamo di Zelensky a un nuovo Piano Marshall
Collegato in videoconferenza, il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha insistito sulla necessità di un piano di rinascita «coeso e chiaro», evocando esplicitamente l’esperienza del dopoguerra europeo. A suo giudizio, la scala della devastazione richiede misure di pari grandezza: «Dopo un’aggressione così vasta, serve una ricostruzione altrettanto estesa». Zelensky ha ringraziato l’Italia per il coinvolgimento e ha chiesto di mantenere alta la pressione diplomatica ed economica su Mosca, ribadendo che le sanzioni europee stanno avendo effetti misurabili ma vanno irrobustite, soprattutto dal lato statunitense.
Il capo di Stato ucraino ha quindi puntato il dito contro il Cremlino, accusando Vladimir Putin di bloccare «ogni sforzo di pace» e di respingere ripetutamente proposte di cessate il fuoco, inclusa l’ultima avanzata da Washington. A suo dire, la comunità internazionale deve respingere qualsiasi logoramento della questione ucraina, perché lasciare che la guerra si normalizzi significherebbe compromettere la sicurezza europea per una generazione. Il suo intervento, applauditissimo, ha rinnovato il senso di urgenza che domina il dibattito geopoliticale.
La risposta italiana: le parole di Meloni e le prime intese concrete
Dal palco principale, la presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha ribadito che l’Italia «è dalla parte dell’Ucraina, oggi e domani». Ha ricordato la propria storia nazionale, capace di trasformare le macerie della Seconda guerra mondiale in un «miracolo economico» negli anni Sessanta; la ricostruzione di Kiev, ha spiegato, può replicare quella traiettoria se sostenuta da una robusta mobilitazione di capitali privati. Meloni ha insistito sulla necessità di meccanismi finanziari flessibili, in grado di attrarre investitori anche nei settori percepiti come più rischiosi.
Parallelamente, il ministro degli Esteri Antonio Tajani e il suo omologo ucraino Oleksii Kuleba hanno siglato due accordi dedicati alla città di Odessa: uno per il restauro dei beni culturali danneggiati, l’altro per migliorare l’efficienza della rete idrica. «Questi protocolli trasformano le idee in azioni immediate», ha spiegato Tajani, sottolineando come gli impegni di oggi avranno ricadute dirette sulla qualità della vita della popolazione locale.
Il sostegno europeo e statunitense tra fondi e messaggi politici
A rendere più sostanziosi i numeri della conferenza è arrivato l’annuncio della presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, che ha confermato un ulteriore miliardo di euro in sostegno macrofinanziario oltre ai tre già stanziati. Ancora più rilevante è il varo dell’European Flagship Fund, presentato come «il più grande fondo di equity al mondo dedicato alla ricostruzione», con investimenti mirati in energia, trasporti e industrie strategiche. Secondo von der Leyen, le garanzie firmate a Roma libereranno oltre 10 miliardi di risorse entro il 2028.
Sul versante statunitense, l’inviato speciale Keith Kellogg ha definito la guerra «una catastrofe orribile» e ha confermato la volontà di Washington di accompagnare l’Ucraina in un percorso di ricostruzione che segua, e non preceda, un accordo di pace. Il segretario di Stato Marco Rubio ha intanto reso noto che il ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov, avrebbe illustrato «una nuova idea» per il conflitto durante un colloquio a Kuala Lumpur, ma dagli Stati Uniti è filtrato scetticismo su qualunque proposta che non contempli il ritiro delle truppe russe.
Voci critiche e disagi organizzativi sullo sfondo
Se la maggior parte dei partecipanti ha celebrato lo spirito costruttivo della conferenza, non sono mancate reazioni aspre da Mosca. L’ambasciata russa a Roma ha liquidato l’evento come l’ennesima dimostrazione di quella che definisce una «logica cinica e menzognera» dell’Occidente, accusando i Paesi europei di finanziare la prosecuzione del conflitto «senza alcuna reale prospettiva di pace». Le dichiarazioni hanno fatto il giro delle sale stampa, ma non hanno scalfito il clima di determinazione mostrato dai delegati.
A margine, giornalisti e operatori hanno segnalato ritardi e lunghe file per il ritiro degli accrediti presso il Palazzo dei Congressi. In molti sono rimasti esposti al sole per ore, un inconveniente logistico che ha provocato malumori e qualche titolo polemico. Anche questi contrattempi, per quanto minori rispetto alle questioni trattate, hanno evidenziato quanto sia complesso coordinare eventi di portata globale. Nonostante ciò, l’impressione diffusa tra i partecipanti è che la due giorni romana abbia posto basi concrete, finanziarie e politiche, per la rinascita di un Paese ancora in balia della guerra.