La discussione parlamentare sulla morte medicalmente assistita allarma la comunità oncologica italiana, decisa a difendere l’alleanza terapeutica, l’equità di accesso alle cure e la dignità dei malati.
Le obiezioni degli oncologi al nuovo testo di legge
La prima critica mossa dalla Associazione Italiana di Oncologia Medica riguarda la previsione di un Comitato nazionale di valutazione, previsto dal disegno di legge come organo incaricato di autorizzare o negare le richieste di aiuto medico nel morire. Secondo il presidente Francesco Perrone, un organismo di nomina politica non può assicurare la piena comprensione della complessità clinica e personale di ogni singolo malato oncologico. Le situazioni al termine della vita, sottolinea l’associazione, richiedono decisioni tempestive, cucite su misura, maturate nel dialogo già in atto tra paziente, famiglia e équipe curante. Delegare quel momento a un ente estraneo rischia quindi di spezzare il filo della fiducia, costruito in mesi o anni di cure condivise.
Altre professioni sanitarie potrebbero non riconoscere subito la specificità onco-ematologica o la rapidità con cui un quadro clinico può precipitare. Da qui la convinzione degli oncologi che la responsabilità decisionale debba restare innanzitutto nel perimetro della relazione medico-paziente, arricchita da eventuali consulti etici o legali, ma senza spostare l’asse finale fuori dall’ospedale o dal domicilio dove il malato è seguito. Aiom chiarisce che forme alternative di garanzia pubblica possono essere studiate, ma senza allontanare la scelta da chi conosce davvero il percorso della malattia e le fragilità della persona.
Il timore di disparità di trattamento tra i malati
Altro nodo cruciale è la previsione che le spese relative alla morte medicalmente assistita ricadano direttamente sui cittadini. Per Saverio Cinieri, presidente di Fondazione Aiom, ciò genererebbe un’immediata disuguaglianza in base alle condizioni economiche. Chi dispone delle risorse potrebbe accedere a un’opzione estrema, mentre chi ne è privo se ne vedrebbe di fatto escluso. L’associazione giudica inaccettabile che una scelta tanto delicata venga condizionata dal reddito, soprattutto in un Paese che fonda il proprio Servizio sanitario sull’universalità delle prestazioni essenziali.
Inserire il percorso nel Servizio sanitario nazionale significa, per gli oncologi, garantire a tutti i malati le stesse competenze multidisciplinari, dagli specialisti di cure simultanee fino agli esperti di terapia del dolore. Senza questa copertura, avvertono, si aprirebbe un divario etico e sanitario: la disponibilità dell’ultima opzione sarebbe frutto più del censo che del diritto alla salute costituzionalmente sancito. La società scientifica teme che ciò alimenti frustrazione, abbandono e sfiducia proprio nei momenti in cui la fragilità del paziente è massima.
Il bisogno di un dialogo istituzionale con le società scientifiche
Pur accogliendo con favore il fatto che il Parlamento affronti in modo esplicito il tema del fine vita, Aiom ribadisce la necessità di un confronto strutturato tra legislatori, società scientifiche e comunità dei pazienti. L’associazione osserva che la pratica clinica apporta evidenze preziose, troppo spesso trascurate nei tavoli normativi. Un dialogo anticipato consentirebbe di disegnare procedure realistiche, rispettose sia della libertà individuale sia della qualità di cura che la medicina moderna può offrire.
Perrone, intervenendo a nome degli oncologi, insiste sul fatto che il clima culturale attorno al fine vita non può prescindere dalle competenze accumulate negli hospice, nei reparti di oncologia e nei servizi di assistenza domiciliare. L’urgenza di un confronto è rafforzata dalla consapevolezza che le richieste di aiuto medico nel morire, pur numericamente limitate, pongono questioni morali e organizzative che vanno risolte prima che la legge entri a regime. Senza questo passo, avverte, il rischio di contenziosi e di applicazioni non uniformi aumenterebbe.
Il contesto epidemiologico e l’impegno etico della comunità oncologica
Nel 2024 sono stati diagnosticati in Italia 390.100 nuovi tumori; a fronte di tali numeri, le richieste di morte medicalmente assistita restano statisticamente poche ma cariche di significato. Gli oncologi ricordano che la rarità di tali domande non ne attenua l’impatto umano né l’obbligo di una risposta ordinata e compassionevole. L’attenzione al fine vita, spiegano, non è un capitolo marginale, bensì parte integrante del continuum di cura, dalla diagnosi alla fase terminale.
Per approfondire i risvolti etici, Aiom e Fondazione Aiom hanno scelto di dedicare le prossime Giornate dell’Etica al tema “Fine vita: la cura oltre la malattia”, fissando l’incontro per il 19 e 20 settembre a Lecce. Sarà l’occasione per medici, giuristi e pazienti di discutere pubblicamente di assistenza olistica, pianificazione condivisa delle cure e rispetto dell’autonomia individuale. L’iniziativa, precisano gli organizzatori, dimostra quanto la comunità oncologica intenda restare protagonista nel definire regole che toccheranno, direttamente o indirettamente, ogni persona colpita dal cancro.