La salute delle celebrità, vera o inventata, si è trasformata in una calamita per i lettori online. L’ultimo fine settimana ha visto circolare voci drammatiche su Biagio Antonacci e Gerry Scotti, costretti a rassicurare il pubblico: un episodio che accende di nuovo i riflettori sulle strategie di clickbait più spregiudicate.
L’esca perfetta: quando la malattia diventa materia di clic
Nell’universo dell’informazione digitale l’emergenza sanitaria, reale o fabbricata, funziona come un magnete irresistibile. Portali dalla credibilità discutibile confezionano titoli choc, promettendo rivelazioni imminenti su ricoveri drammatici, organi collassati e prognosi disperate. Il lettore, preso dall’ansia, apre il pezzo, gonfiando le statistiche di traffico e, di conseguenza, il valore pubblicitario di banner e annunci. Dietro quella manciata di clic si nasconde un modello di business in cui la verità diventa solo un rumoroso optional, sacrificato sull’altare della monetizzazione ad ogni costo.
Il meccanismo è collaudato: si parte da un frammento di intervista o da una canzone, lo si decontestualizza e lo si trasforma in un bollettino medico da brivido. Poi, una volta catturata l’attenzione, si svela fra le righe che si tratta di un’informazione datata o addirittura inventata. Nel frattempo, l’algoritmo dei social ha già amplificato il messaggio, i motori di ricerca lo hanno spinto in vetta alle ricerche e la voce, con una rapidità vertiginosa, ha già raggiunto gruppi WhatsApp di famiglie e colleghi di lavoro.
Biagio Antonacci, l’ospedale che non c’è
La prima illusione ha riguardato Biagio Antonacci. Un sito ha diffuso la notizia che il cantautore fosse finito in ospedale per una micidiale crisi di soffocamento. A rendere più corrosivo l’allarme, l’ironia maligna di chi ha citato “È soffocamento”, brano celebre dell’artista, quasi fosse un presagio. Entro poche ore, i social sono stati sommersi da messaggi di fan in panico, pronti a condividere il link senza verificarne l’attendibilità. Un crescendo di tweet, stories e commenti che ha moltiplicato l’eco della bugia.
Antonacci ha reagito nel modo più diretto: un breve video, chitarra alla mano, sorriso disteso, in cui ha cantato e mostrato di trovarsi in perfetta forma. «Come potete vedere sto benissimo… le fake news sono tossiche per l’anima e fastidiose per tutti, in un’epoca in cui la verità conta più che mai», ha scritto. Il post ha smontato la narrativa catastrofista, ma non ha cancellato i clic ormai incassati dal sito. Ancora una volta la smentita corre dietro alla paura, senza raggiungerla mai del tutto.
Gerry Scotti, allarme ricavato da un video d’epoca
Pochissime ore dopo è toccato a Gerry Scotti, nome amatissimo dal pubblico televisivo. Un portale ha pubblicato un titolo in corpo extralarge: “Ricovero Gerry Scotti, il quadro clinico è disperato: fegato, reni e pancreas coinvolti. Terapia intensiva e corsa contro il tempo”. Nell’articolo, dopo una serie di capoversi intrisi di pathos, si scopriva che non esisteva alcuna emergenza attuale: il riferimento era a una vecchia intervista in cui il conduttore, nel 2020, aveva ricordato la dura lotta contro il Covid.
Il presentatore non ha rilasciato smentite formali. Ha preferito un gesto di leggerezza evocativa: ha pubblicato un video mentre percorre le vie di Milano in sella a un Piaggio Ciao lucido come nuovo, annotando di tornare “in pista” mezzo secolo dopo la sua adolescenza. L’immagine, più efficace di mille comunicati, ha mostrato un uomo in piena forma e ha smascherato la fandonia. La bufala, però, aveva già fatto il giro dei feed, trasformando la nostalgia per il motorino anni Settanta in una risposta alla misinformazione.
Un elenco di falsi necrologi che si allunga ogni stagione
Le storie di Antonacci e Scotti non rappresentano eccezioni isolate, bensì tappe di una cronologia più lunga di quanto si possa immaginare. Nel corso degli anni, personaggi come Lino Banfi, Al Bano e Pippo Baudo sono stati “dati per morti” a intervalli regolari. Ogni volta la notizia falsa scatenava condoglianze premature, inevitabile indignazione dei fan e decine di migliaia di clic. Molti, fra coloro che avevano condiviso la falsa tragedia, non sono mai tornati indietro a rettificare.
L’episodio forse più emblematico riguardò Baudo nel pieno della pandemia, quando i timori per la salute pubblica rendevano il pubblico particolarmente vulnerabile. Il leggendario presentatore commentò all’Adnkronos con la consueta ironia: «Faccio le corna. Ogni anno qualcuno mi fa morire. Per fortuna, ogni volta che annunciano la mia scomparsa, mi allungano la vita». La battuta svelava un’amara verità: più la bufala è ricorrente, più diventa un copione usurato ma purtroppo ancora redditizio.
Il prezzo sociale della disinformazione
Le fake news sulla salute degli artisti non sono un innocuo gioco digitale. Oltre a logorare la fiducia nell’informazione, provocano ansia collettiva, minano la reputazione di chi fa informazione in modo serio e, paradossalmente, incrementano la soglia di cinismo verso notizie realmente urgenti. Se ogni giorno qualcuno “sta per morire” ma il dramma si rivela una montatura, il pubblico finirà per non distinguere più l’allarme autentico dall’ennesimo specchietto acchiappa-clic. È un effetto collaterale che, alla lunga, pesa su tutti.
La soluzione richiede uno sforzo condiviso: gli editori devono assumersi la responsabilità di verificare, i social devono limitare la circolazione di titoli ingannevoli e i lettori devono sviluppare una sana diffidenza. Sistemi di segnalazione rapida e algoritmi maggiormente sensibili alla qualità delle fonti possono arginare il problema, ma il primo baluardo resta sempre l’utente consapevole. La verità, in rete, va protetta con la stessa cura che si riserva alla salute di un caro: con pazienza, senso critico e l’abitudine a leggere oltre la prima, scintillante riga.