Tra le geometrie moderne della Nuvola, Roma accoglie oggi e domani una conferenza sulla ricostruzione ucraina che riunisce governi, imprese e istituzioni in uno slancio corale. È il quarto appuntamento globale sul tema, il primo in Italia, e mette a sistema risorse, progetti e diplomazia in un momento in cui la guerra non si è ancora fermata.
Una capitale in fermento
Il quartiere dell’Eur si è trasformato in un crocevia diplomatico senza precedenti: oltre quindici capi di Stato e di governo hanno raggiunto la capitale, affiancati da circa quattromila partecipanti provenienti da ogni angolo del pianeta. A registrarsi sono state più di duemila aziende, italiane, ucraine e internazionali, pronte a intercettare le occasioni che la ricostruzione offre nei settori dell’energia, delle infrastrutture e dei servizi. L’affluenza supera di gran lunga i dati raccolti nei precedenti summit di Lugano, Londra e Berlino, segno di un interesse che cresce mentre la crisi sul campo di battaglia resta irrisolta.
Se da un lato l’appuntamento romano è pensato come prova di fiducia nel futuro, dall’altro la realtà impone prudenza: il ministro degli Esteri Antonio Tajani ha ricordato che un cessate il fuoco tra Mosca e Kiev difficilmente maturerà entro la fine dell’anno. La conferenza nasce quindi in un clima di guerra aperta, ma proprio per questo assume un valore politico ulteriore, intendendo trasmettere alla popolazione ucraina la certezza di non essere sola e al contempo ribadire che la diplomazia economica può correre più veloce dei missili e preparare il terreno alla pace.
Mobilitazione di risorse senza precedenti
Secondo i calcoli aggiornati della Banca Mondiale, per riportare il Paese a una normalità sostenibile serviranno almeno cinquecento miliardi di euro, una cifra che triplica il celebre Piano Marshall. Roma vuole dare un segnale concreto e punta ad annunciare impegni aggiuntivi tra quattordici e quattordici virgola cinque miliardi entro la chiusura dei lavori. L’essenza del progetto, tuttavia, risiede nella sinergia pubblico-privato: circa un centinaio di protocolli dovrebbero essere firmati per proteggere la rete energetica, bonificare le zone minate, ricostruire i territori devastati e modernizzare le aree risparmiate dai bombardamenti.
La cornice scelta, il centro congressi La Nuvola, non è solo simbolo architettonico di modernità, ma anche cantiere di idee: i tecnici discutono di dighe, linee elettriche e sicurezza informatica, mentre gli esperti di finanza tracciano strade per attrarre investitori istituzionali. Si ragiona di garanzie multilaterali, assicurazione dei rischi bellici e strumenti agevolati per le piccole imprese ucraine. L’obiettivo dichiarato è far decollare i progetti subito dopo la conferenza, evitando la tradizionale lentezza che separa promesse e cantieri e mostrando che l’Europa può reagire con rapidità.
Il palcoscenico politico
La sessione inaugurale è stata aperta dall’intervento del ministro Tajani, subito seguito dalla padrona di casa, la presidente del Consiglio Giorgia Meloni. Sul palco, fianco a fianco, siedono il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, la leader della Commissione europea Ursula von der Leyen, il cancelliere tedesco Friedrich Merz e il premier polacco Donald Tusk. Gli Stati Uniti hanno delegato Keith Kellogg, incaricato alle relazioni con Kiev, che ha fissato un bilaterale con Zelensky alla luce dell’annuncio di nuove forniture d’armi da parte di Donald Trump.
Fortemente voluta dall’Italia, la sovrapposizione tra la conferenza e una riunione virtuale della coalizione dei volenterosi ha consentito di collegare in diretta, oltre a Meloni, Merz e Tusk, anche il neoeletto premier britannico Keir Starmer e il presidente francese Emmanuel Macron, impegnato a Londra. L’intento era enfatizzare l’unità politica europea-atlantica e moltiplicare la risonanza mediatica dell’evento. La giornata si concluderà con il saluto del capo dello Stato Sergio Mattarella, che ieri ha già ricevuto Zelensky al Quirinale, rafforzando il messaggio di solidarietà istituzionale italiano.
Dalla solidarietà all’integrazione europea
Al di là dell’emergenza, Roma mira a consolidare il cammino di Kiev verso l’Unione. Fin dal 2022 l’Italia si è schierata tra i primi sostenitori della candidatura ucraina e ora spinge affinché, entro dicembre, vengano aperti tutti i sei cluster negoziali richiesti. L’ingresso nel mercato unico e nel sistema normativo comunitario è visto come garanzia di stabilità per l’intero continente. Durante la seduta plenaria, la first lady Olena Zelenska ha ricordato che la ricostruzione del tessuto sociale va di pari passo con la prospettiva europea, richiamando l’attenzione su scuole, ospedali e riforme.
Sull’integrazione insistono anche i leader di Grecia, Albania e Paesi Bassi: Kyriakos Mitsotakis, Edi Rama e Dick Schoof hanno scandito il nesso inscindibile tra rilancio economico e allineamento ai valori comunitari. Tajani ha quindi aperto il Recovery Forum, strutturato attorno a quattro aree tematiche – business, capitale umano, dimensione locale e regionale, riforme per l’adesione – coinvolgendo ventuno ministri e viceministri italiani. L’approccio è olistico: nessuna autostrada o centrale elettrica risulterà sostenibile senza formazione professionale, inclusione e decentralizzazione amministrativa piena.
Il ruolo del business e della società civile
Nelle aree espositive della Business Fair, ingegneri, start-up e colossi dell’energia si scambiano schemi di centrali solari, software di sminamento e modelli di edilizia resilienti ai droni. Delegazioni ucraine presentano bandi per strade e ferrovie, mentre imprese italiane illustrano tecnologie antisismiche e sistemi di monitoraggio della rete elettrica. Cassa Depositi e Prestiti, Simest e altri soggetti istituzionali offrono linee di credito mirate, a testimonianza di una mobilitazione a tutto spettro. Dietro ogni presentazione, però, c’è la consapevolezza che la tempistica dei progetti dipenderà dall’evoluzione sul fronte orientale.
Parallelamente, le organizzazioni della società civile promuovono workshop su trasparenza e anticorruzione, richiamando i partner pubblici a standard elevati di governance. Le associazioni di agricoltori, i sindacati e le ONG umanitarie ribadiscono che la ricostruzione economica deve andare di pari passo con la ricostruzione umana: sostegno psicologico, reinserimento degli sfollati interni, programmi per i veterani. Solo un tessuto sociale ricomposto potrà dare senso alle autostrade, alle centrali elettriche e ai poli industriali progettati in questi giorni, ammonisce la platea, chiedendo che i fondi si trasformino in benefici tangibili per le comunità.
Prossimi passi e successione alla Polonia
Il sipario calerà domani pomeriggio, ma il lavoro non si fermerà: nelle ultime ore della conferenza è in agenda un incontro G7 plus Energia per allineare gli sforzi sul rafforzamento della sicurezza energetica ucraina prima dell’inverno. Subito dopo è previsto il passaggio simbolico del testimone alla Polonia, che ospiterà l’edizione 2026. È un calendario serrato che mira a tenere alta l’attenzione e a evitare che le promesse si disperdano in scadenze indefinite. Delegazioni tecniche stanno già definendo gruppi di lavoro permanenti, incaricati di monitorare l’avanzamento degli accordi firmati a Roma e di preparare progetti esecutivi da presentare a Varsavia entro sei mesi.
Allo stesso tempo, le capitali europee guardano con apprensione alla persistenza delle ostilità: senza un cessate il fuoco, i costi della ricostruzione potrebbero lievitare ogni mese. Gli analisti ricordano che investire ora serve a limitare i danni futuri, ma avvertono che la protezione delle opere realizzate andrà garantita. Per questo i colloqui bilaterali paralleli includono la consegna di sistemi di difesa aerea e il potenziamento della sicurezza informatica. La ricostruzione, insomma, si intreccia inscindibilmente con la deterrenza, componente considerata decisiva per trasformare i cantieri in motori di sviluppo durevoli.