Stamattina, nel cuore del quartiere Eur, politici, imprenditori e istituzioni hanno trasformato la Nuvola in un laboratorio dove il futuro dell’Ucraina si disegna fra numeri, emozioni e richiami alla responsabilità collettiva.
La sveglia di Kiev: droni, missili e il richiamo di Zelensky
Durante la notte che precedeva l’incontro romano, Kiev è stata colpita da un’ondata di missili e droni che, secondo Volodymyr Zelensky, ha rappresentato la risposta del Cremlino alla conferenza stessa. Collegato in videoconferenza, il Presidente ha dipinto una capitale che non si piega, ma che chiede urgentemente nuovi sistemi di intercettazione e fondi destinati a produrre droni propri. Ha parlato di “due alleati di Putin: l’inverno e il terrore”, invitando i partner internazionali a controbattere entrambi con tecnologie, munizioni e investimenti immediati. L’obiettivo, ha scandito, rimane una pace giusta, costruita ogni giorno con scelte concrete e coordinate fra difesa e ricostruzione.
Zelensky ha evocato esplicitamente l’immagine di un nuovo piano Marshall per le città devastate, sostenendo che ogni palazzo, scuola o ospedale raso al suolo dalla Russia può e deve rinascere più moderno e più sicuro di prima. In questo quadro ha sollecitato i governi a liberare ulteriori risorse, ma soprattutto a creare condizioni normative e finanziarie in grado di mobilitare il settore privato. «Ogni giorno di concentrazione collettiva fa la differenza fra la disperazione e la ripartenza», ha ammonito, ricordando che l’Ucraina continua a legiferare, insegnare e curare sotto il fuoco, nella convinzione che la democrazia non sia negoziabile e che la rinascita non possa attendere la fine dei bombardamenti.
Il messaggio di Meloni dalla Nuvola: ricostruire è guardare oltre il conflitto
Dalla sala plenaria della Nuvola di Fuksas, la presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha chiesto di «immaginare il dopo» senza ignorare l’ingiustizia presente. Ha ricordato che il piano di Mosca di piegare gli ucraini con il freddo e la paura è fallito grazie alla compattezza della comunità internazionale. Il suo intervento ha legato la solidarietà morale alla concretezza economica: un tessuto produttivo come quello italiano, ha spiegato, possiede la competenza e la flessibilità necessarie per trasformare ogni euro investito in un volano di opportunità reciproche. L’Italia, ha assicurato, non ha mai oscillato “fra il giusto e l’utile” e per questo può assumere un ruolo da protagonista nella fase ricostruttiva.
Meloni ha illustrato un impegno di oltre dieci miliardi di euro, frutto dell’alleanza fra nazioni, istituzioni finanziarie, governi locali e società civile, ma ha precisato che denaro, ingegneri e architetti non bastano. «Il cantiere più importante è quello interiore», ha affermato, attribuendo al patriottismo ucraino il potere di dare senso a ogni ponte o centrale elettrica ricostruiti. Per sostenere quella spinta vitale, ha rievocato la parabola italiana del dopoguerra: un Paese distrutto che seppe trasformare le macerie in crescita e benessere. «Se siamo stati capaci del miracolo economico degli anni Sessanta, possiamo contribuire al miracolo ucraino», ha concluso, incitando gli imprenditori a non lasciarsi intimidire dai rischi.
Capitali pubblici e privati: il nuovo fondo europeo e il “moltiplicatore” italiano
Uno dei risultati più tangibili della giornata è la nascita di un nuovo fondo Equity europeo, concepito per coprire le prime perdite e attirare investitori istituzionali nei progetti infrastrutturali e industriali ucraini. La cabina di regia vede un apporto finanziario determinante dell’Italia, che intende così trasformare la solidarietà politica in leva per la crescita bilaterale. Meloni ha parlato di «moltiplicatore di investimenti», mentre le agenzie multilaterali presenti hanno sottolineato come le garanzie pubbliche possano ridurre il costo del capitale e rendere appetibili gli appalti legati a energia, edilizia scolastica, telecomunicazioni e agribusiness.
Accanto alle cornici istituzionali, il governo ha rivolto un messaggio diretto agli imprenditori: il momento di entrare in Ucraina è adesso. Le aziende italiane sono state invitate a sfruttare competenze in ingegneria, design, gestione di reti urbane e tecnologie verdi per ricostruire fabbriche, linee ferroviarie e ospedali. A loro disposizione, oltre ai crediti agevolati, ci saranno assicurazioni contro i rischi bellici e sportelli di assistenza dedicati. L’obiettivo dichiarato è evitare che la lentezza giuridica o la paura di scenari incerti freni un processo che può generare ricadute occupazionali non solo a Kyiv, Kharkiv o Odessa, ma anche nelle filiere italiane ed europee.
L’orizzonte europeo nel racconto di von der Leyen
La presidente della Commissione Ursula von der Leyen ha tracciato la cornice geopolitica del dibattito: «Il futuro dell’Ucraina ha due colori, il giallo e il blu europei». Ha rivendicato i progressi di Kyiv sulle riforme, ricordando che il percorso di adesione all’Unione è ancorato al merito e che l’Ucraina, pur sotto bombardamento, sta rispettando le tappe concordate. Secondo von der Leyen, la Conferenza di Roma è nata per accompagnare questo cammino con strumenti concreti, dall’accesso ai prestiti Safe alla possibilità per gli Stati membri di acquistare direttamente dalla nascente industria della difesa ucraina.
La leader europea ha insistito su un concetto chiave: la guerra è anche una competizione di risorse e tecnologie. Per questo Bruxelles presenterà entro il 2030 un piano Defence Readiness che metterà a disposizione spazi di bilancio e incentivi capaci di rafforzare la base industriale ucraina e, insieme, quella dei Ventisette. «La nostra determinazione è incrollabile» ha detto, sottolineando che l’impegno a fianco di Kyiv durerà «tutto il tempo necessario». In quest’ottica, gli investimenti nella difesa vengono letti come un atto di lungimiranza strategica, oltre che di solidarietà con un popolo aggredito.
Sostegno diplomatico e industriale: la regia italiana secondo Tajani
Dal palco ha preso la parola anche il ministro degli Esteri Antonio Tajani, ribadendo che la ricostruzione deve partire «mentre le sirene suonano», perché la popolazione ucraina ha bisogno di infrastrutture funzionanti ora, non solo al termine del conflitto. Ha definito il sostegno a Kyiv una causa che travalica i confini nazionali e coincide con la difesa stessa della democrazia. Il titolare della Farnesina ha parlato di «messaggio di amicizia» e di «miliardi di euro» pronti a essere investiti, annunciando misure volte a far sedere alle stesse tavole di progetto aziende, amministrazioni locali e società civile.
Tajani ha poi ammonito che ogni attacco alle città ucraine, come quello che ha colpito Kiev nella notte, è un colpo allo Stato di diritto su cui si fonda l’Europa. «L’Ucraina non è sola», ha ripetuto, promettendo che Roma continuerà a spingere per un piano di ricostruzione capace di restituire normalità alla vita quotidiana, dalle reti elettriche alle scuole, dalle strade ai sistemi idrici. Nel pomeriggio è previsto un incontro bilaterale fra Tajani, Meloni e Zelensky per tradurre le dichiarazioni in accordi esecutivi e coordinare i prossimi passi con i partner multilaterali.
Chi esce dalla Nuvola porta con sé la consapevolezza che la ricostruzione dell’Ucraina non è una parentesi umanitaria, ma il banco di prova di un modello di convivenza internazionale. Da un lato la forza distruttiva di chi punta sulla paura, dall’altro la determinazione di chi investe su libertà, diritti e innovazione. La partita, hanno ripetuto tutti i relatori, si decide oggi: trasformare le promesse in contratti, i contratti in cantieri, i cantieri in case illuminate e scuole aperte. Solo allora potremo parlare davvero di vittoria.