L’Ucraina resta al centro di un drammatico conflitto, ma per l’ex ambasciatore italiano a Kiev Pier Francesco Zazo la vera sfida è guardare oltre. Chi saprà prepararsi ora, avverte, disporrà di un vantaggio decisivo quando arriverà la pace.
Ricostruzione: un treno da non perdere per l’economia italiana
Nel conto alla rovescia verso la conferenza internazionale dedicata alla rinascita ucraina, Roma si candida a fare da motore. L’ex ambasciatore ricorda che il World Bank Group ha aggiornato a 524 miliardi di dollari il fabbisogno per rimettere in piedi il Paese, dalle infrastrutture alle case, dalle ferrovie ai ponti. L’Italia, con un interscambio che nel 2024 ha già ritoccato quota quattro miliardi, ha messo in fila progetti nei settori agroindustriale, rinnovabili, edilizia, trasporti, sanità, difesa, sminamento e restauro del patrimonio culturale. Non si tratta di semplice solidarietà, ma di un investimento sul futuro di un mercato dai confini europei destinato a crescere rapidamente quando le armi taceranno.
La partita, sottolinea Zazo, è aperta soprattutto al settore privato. Le imprese italiane, forti di un know-how riconosciuto, possono salire in cabina di regia fin da subito: chi presenterà per primo piani operativi, linee di credito e partnership locali disporrà di un vantaggio competitivo determinante. Agire ora significa evitare che altre economie, pronte a correre appena si aprirà il rubinetto degli appalti internazionali, occupino spazi e filiere strategiche. Per questo, i messaggi di sostegno politico lanciati da Palazzo Chigi vanno letti come la premessa di un coinvolgimento diretto del tessuto produttivo nazionale, chiamato a fare squadra con banche, assicurazioni e istituzioni multilaterali.
Le risorse che fanno gola all’Europa
Guardando alla geografia economica ucraina, l’ex ambasciatore elenca una vera mappa del tesoro: terre rare indispensabili alla transizione tecnologica, un comparto agroindustriale tra i più estesi al mondo, giacimenti minerari e metallurgici, competenze spaziali ereditate dall’era sovietica e un settore digitale che sforna programmatori di altissimo livello. Queste leve, una volta liberate dall’assedio bellico, spingeranno Kiev verso un’integrazione rapida nell’Unione Europea, con benefici reciproci per mercati e occupazione. In tale scenario, le aziende italiane possono contribuire sia con capitali sia con tecnologie green, dall’efficienza energetica alle rinnovabili su larga scala.
Non meno importante è l’industria della difesa, che già ora coopera con partner italiani per lo sviluppo di sistemi di protezione civile, logistica militare e demining. Il know-how tricolore nel restauro di monumenti e siti UNESCO, inoltre, offre un ulteriore ambito di collaborazione nel momento in cui sarà necessario sanare le ferite al patrimonio culturale. Dietro ogni investimento, osserva Zazo, c’è anche la possibilità di consolidare un rapporto che, nel medio termine, dovrebbe tradursi in un mercato unico europeo ampliato fino ai confini orientali.
Le incognite del fronte militare
Se la prospettiva economica appare promettente, il terreno politico resta accidentato. Vladimir Putin ha ribadito di non voler sospendere l’offensiva finché non otterrà la neutralità di Kiev, lo stop all’ingresso nella NATO, la smilitarizzazione del Paese e il riconoscimento della Crimea più delle quattro regioni parzialmente occupate. Questi paletti, definiti “linee rosse” dal Cremlino, equivalgono a una resa incondizionata che l’Ucraina respinge, rendendo al momento irrealistico qualsiasi negoziato. Secondo Zazo, Mosca confida nel graduale disimpegno statunitense e nella difficoltà europea di colmare un eventuale vuoto, forte di un’economia ormai convertita a pieno regime bellico.
Nel frattempo, le sanzioni occidentali rappresentano un’arma efficace solo se coordinate. Bruxelles è pronta a colpire con maggiore severità i settori energetico e bancario, nonché le triangolazioni attraverso Paesi terzi, ma senza la partecipazione attiva di Washington l’impatto resterebbe limitato. La sensazione, analizza l’ex ambasciatore, è che il Cremlino calcoli i tempi confidando in una finestra di stanchezza occidentale: più il conflitto si prolunga, più il consenso interno russo si compatta attorno alla narrativa di una “guerra esistenziale”.
Oltre le promesse: il fattore Trump
A complicare ulteriormente lo scenario intervengono le recenti dichiarazioni di Donald Trump. L’ex presidente statunitense ha lasciato filtrare un’apparente delusione nei confronti di Putin, accennando a sanzioni più dure e alla ripresa delle forniture di armi a Kiev. Zazo invita alla prudenza: fino a oggi, sostiene, le minacce dell’esponente repubblicano non si sono tradotte in misure concrete, mentre gli aiuti in corso restano quelli varati dall’amministrazione Biden. La posta in gioco, ricorda il diplomatico, non è solo il destino dell’Ucraina ma la credibilità dell’intero dispositivo di sicurezza euro-atlantico.
Se Washington dovesse effettivamente tirarsi indietro, l’Europa si troverebbe a dover colmare un vuoto politico, economico e militare di proporzioni enormi. Zazo nota che, finora, l’ipotesi non ha trovato risposta adeguata nelle capitali del Vecchio Continente, sebbene l’impegno a rafforzare le sanzioni venga ribadito a ogni vertice. Ecco perché l’ex ambasciatore insiste sul concetto di “non farsi illusioni”: la risoluzione del conflitto richiederà un impegno costante, coordinato e, soprattutto, basato su fatti verificabili più che su annunci destinati a rincorrersi sui media internazionali.