Alla Triennale di Milano, l’ultima edizione del The Urban Mobility Council ha messo in luce dati e soluzioni nuove: un’Italia che si muove meno, un parco veicoli invecchiato, ricerche sull’intelligenza artificiale e sul disegno delle strade per rendere le città più sicure e sostenibili.
Scenari italiani fra abitudini che cambiano e transizione ecologica
Le nuove direttive ambientali imposte a livello europeo e nazionale stanno incidendo in modo tangibile sulle abitudini quotidiane di chi si sposta per lavoro, studio o svago. Stefano Genovese, responsabile Institutional & Public Affairs di Unipol e coordinatore del Think Tank, ha ricordato durante i lavori che blocchi alla circolazione, restrizioni per i veicoli più vecchi e costi sempre più alti stanno bussando alla porta delle famiglie. Proprio per questo, ha spiegato, diventa cruciale fornire strumenti capaci di far convivere la libertà di movimento con gli obiettivi di decarbonizzazione e di sicurezza stradale. Sullo sfondo rimane la necessità, condivisa da molti amministratori, di prendere decisioni basate su dati scientifici e non su puri annunci, così da evitare che la transizione si trasformi in un mero aggravio burocratico.
Numeri alla mano, il report realizzato insieme a Isfort fotografa un’Italia sempre più prudente negli spostamenti. Il trasporto pubblico, dopo anni di altalene, sprofonda sotto la soglia dell’8 % di quota modale, mentre l’auto privata non cresce ma nemmeno viene soppiantata da soluzioni alternative: semplicemente, le persone tendono a muoversi meno. L’anzianità del parco circolante resta un’altra spina nel fianco, con un veicolo su quattro che supera i vent’anni di vita e quindi emissioni e sistemi di sicurezza ormai superati. Sul versante dell’elettrico, infine, la penetrazione rimane marginale, segno che gli incentivi non bastano quando mancano infrastrutture capillari e certezze economiche.
Dall’immagine al rischio: l’algoritmo che fotografa la sicurezza stradale
Nel cuore delle presentazioni tecniche, il contributo del Politecnico di Milano in sinergia con UnipolTech ha catalizzato l’attenzione degli addetti ai lavori. I ricercatori hanno addestrato una rete neurale a riconoscere la pericolosità di ogni tratto urbano partendo da semplici fotografie della rete stradale. Quelle immagini, incrociate con i dati sulle frenate brusche registrate dai dispositivi telematici di bordo, permettono di anticipare dove e quando potrebbe verificarsi un incidente. In pratica, la città viene letta come un organismo vivente, i cui punti deboli possono essere curati prima che si traducano in tragedie.
Sergio Savaresi, alla guida del Dipartimento di Elettronica, Informazione e Bioingegneria dell’ateneo milanese, ha sottolineato che il modello, nutrito con una massa sterminata di percorsi reali, riesce a fornire proiezioni attendibili anche su zone mai osservate durante la fase di addestramento. Ciò significa che comuni e gestori stradali potrebbero individuare rapidamente le aree critiche, programmare interventi mirati e verificare l’efficacia delle soluzioni adottate. Una prospettiva che apre la strada a politiche di sicurezza dinamiche, fondate sui dati e non su percezioni occasionali.
Velocità e disegno urbano: la lezione del Senseable City Lab
Se la sicurezza si gioca sul fronte tecnologico, l’attenzione alla forma fisica dell’infrastruttura resta fondamentale. Lo ha dimostrato lo studio presentato dal Senseable City Lab, che ruota attorno a un’intuizione semplice: a parità di limite, la velocità media dipende soprattutto da come è disegnata la strada. Analizzando migliaia di arterie urbane, i ricercatori hanno scoperto che larghezza delle corsie, presenza di alberature, curve morbide o spezzate influiscono sul piede sull’acceleratore molto più di un cartello. La psicologia della guida, insomma, è scolpita nell’asfalto.
Carlo Ratti, alla guida del progetto, ha sintetizzato il risultato con parole che suonano come un monito: cambiare il numero esposto su un cartello non basta. Secondo il laboratorio statunitense, l’intelligenza artificiale consente oggi di quantificare con precisione questi effetti già in fase di progettazione, restituendo ai progettisti uno strumento per plasmare spazi che invitino naturalmente alla prudenza. Mettere al centro il design, anziché contare solo sulla sanzione, può ridurre l’incidentalità, migliorare il comfort urbano e avanzare verso quegli obiettivi climatici che le città non possono più rimandare.