Dalla mattina, la Striscia di Gaza ha vissuto nuove ore di paura: raid israeliani hanno colpito campi profughi e quartieri già segnati dalla guerra, mentre sul tavolo diplomatico resta sospeso il negoziato per un cessate il fuoco e la liberazione degli ostaggi.
Bilancio provvisorio dei bombardamenti
La giornata, iniziata con il rombo dei caccia, si è conclusa con un bilancio di vittime ancora incerto: fonti mediche locali parlano di almeno trentacinque morti, mentre altre stime circolate fra operatori umanitari e stampa regionale arrivano a settanta. In assenza di un conteggio ufficiale, la popolazione conta i corpi che arrivano negli ospedali e nelle moschee trasformate in obitori improvvisati. I raid hanno frantumato l’illusione di tranquillità che alcuni quartieri pensavano di avere riconquistato dopo giorni di relativa quiete.
Il fuoco ha risparmiato poche zone. Al Mawasi, un insediamento di sfollati a ovest di Khan Younis, è stato investito nelle prime ore dell’alba, provocando scene di panico fra i rifugiati. A Gaza City, il quartiere di Zeitoun ha nuovamente fatto i conti con esplosioni che hanno sollevato nuvole di polvere visibili a chilometri di distanza. Nel centro della Striscia, il campo di Bereij è stato colpito quasi in contemporanea al nord di Nuseirat, a testimonianza di un’offensiva coordinata che ha toccato l’intero territorio.
Negoziosa tregua: posizioni di Israele, Hamas e Jihad islamica
Mentre gli ospedali cercavano di far fronte ai feriti, i telefoni tra le capitali mediorientali e Washington non smettevano di squillare. Hamas ha fatto sapere di essere pronto ad avviare “immediatamente e con serietà” una nuova tornata di colloqui per definire un meccanismo di cessate il fuoco. Anche la Jihad islamica ha aperto, ma pretende garanzie precise affinché l’esercito israeliano non riprenda le operazioni una volta liberati gli ostaggi. Sul banco resta tuttavia la diffidenza reciproca, maturata in mesi di conflitto senza tregua.
Dall’altro lato della barricata, una fonte del governo di Gerusalemme ha ammesso che, nonostante l’apertura di Hamas, “nessuna decisione è stata ancora presa”. Il gabinetto di sicurezza, che potrebbe riunirsi solo al termine dello Shabbat, dovrà valutare i costi politici e militari di una pausa nelle ostilità. Intanto, sull’Air Force One, il presidente americano Donald Trump ha mostrato ottimismo: a suo dire un accordo potrebbe essere firmato già la prossima settimana, un impegno che ostenta fiducia ma che resta legato a molte variabili.
Il nodo degli ostaggi e la bozza di rilascio scaglionato
All’interno di Israele due commissioni stanno già lavorando febbrilmente per raccogliere ogni dettaglio sullo stato di salute delle persone ancora prigioniere a Gaza. Una è stata istituita presso il ministero della Salute, l’altra opera sotto l’intelligence dell’IDF. L’obiettivo comune è stabilire chi debba avere la precedenza in un eventuale scambio, decisione che coinvolge familiari, medici e analisti di sicurezza. Le informazioni raccolte saranno decisive nel momento in cui le parti torneranno al tavolo per definire elenchi e calendari condivisi efficaci.
La bozza di accordo circolata negli ultimi giorni prevede una liberazione in tre fasi: otto ostaggi tornerebbero a casa nel primo giorno di tregua, altri due al cinquantesimo, mentre i dieci rimasti sarebbero rilasciati il sessantesimo giorno, contestualmente alla definizione di un cessate il fuoco permanente. Il calendario, sebbene dettagliato, poggia su un terreno fragile: ogni slittamento dei negoziati o una ripresa dei combattimenti potrebbe far saltare l’intero impianto, come è già accaduto in precedenti tentativi durante la fase più delicata.
Fronti paralleli: attacchi in Libano e rischi per gli operatori umanitari
Il conflitto, intanto, ha superato i confini della Striscia. Nel sud del Libano un drone israeliano ha colpito un veicolo a Bint Jbeil, provocando la morte di una persona e il ferimento di altre due, secondo il ministero della Sanità libanese. Poche ore prima, un’altra incursione aveva preso di mira un’abitazione a Shebaa, lasciando un civile ferito. Questi episodi confermano la volatilità di una linea di demarcazione che, di giorno in giorno, sembra diventare sempre più fluida e imprevedibile sul terreno.
La violenza non ha risparmiato neppure chi lavora per alleviare le sofferenze della popolazione. La Gaza Humanitarian Foundation ha denunciato il ferimento di due suoi operatori statunitensi, colpiti da una granata a Khan Younis. Pur non essendo in pericolo di vita, i due sono la prova tangibile di quanto sia diventato rischioso operare sul terreno. Ogni missione di soccorso richiede passaggi di sicurezza sempre più complessi, eppure il personale continua a garantirli, convinto che la solidarietà non possa cedere il passo alla paura.