Un colloquio telefonico di un’ora ha messo in evidenza le distanze tra Vladimir Putin e Donald Trump: la Russia assicura di procedere verso i propri obiettivi in Ucraina, mentre la Casa Bianca lamenta l’assenza di passi avanti concreti.
Racconti che non coincidono
La versione proveniente da Mosca e quella diffusa da Washington si sovrappongono solo sulla durata della telefonata. Per il resto, i resoconti divergono in maniera netta. Il Cremlino sottolinea la prontezza di Putin a portare avanti il negoziato, precisando però che nulla farà retrocedere la Russia dagli obiettivi fissati all’inizio dell’“operazione speciale”. Dall’altra parte dell’oceano, Trump liquida la conversazione con parole scarse e sferzanti: «Non c’è stato alcun progresso». L’incontro verbale, dunque, non ha smosso l’impasse, lasciando irrisolti i nodi centrali del conflitto.
Una distanza altrettanto palpabile si avverte nel tono. Il consigliere diplomatico Yuri Ushakov descrive un dialogo “cordiale”, al punto da non sapere chi abbia chiuso la chiamata per primo. Il presidente statunitense, al contrario, appare irritato, complice la pressione politica interna per l’approvazione del bilancio. Due linguaggi che parlano a platee differenti: quello rassicurante di Putin verso i propri sostenitori, e quello pragmatico di Trump rivolto a un Congresso diviso e alla base elettorale.
Il volto di Washington
Davanti ai cronisti riuniti in Iowa, il capo della Casa Bianca preferisce concentrarsi sul piano di spesa federale, ricordando che l’aiuto militare a Kiev non potrà svuotare gli arsenali americani. «Dobbiamo avere equipaggiamenti a sufficienza per noi», ammonisce, lasciando intendere che le forniture all’Ucraina subiranno controlli più severi. La dichiarazione risuona come un monito: la solidarietà ha un costo che l’opinione pubblica statunitense potrebbe non essere più disposta a sostenere a oltranza.
Non a caso, Trump annuncia un’imminente conversazione con il presidente ucraino Volodymyr Zelensky. L’intento è capire se esistano margini per una rapida cessazione delle ostilità, ma l’ex magnate non fa mistero dello scetticismo: «Sto cercando di aiutare, ma per ora non vedo risultati». Una linea che mira a rassicurare gli alleati atlantici quanto gli elettori americani, pur mantenendo la barra dritta sul primato degli interessi nazionali.
Il racconto del Cremlino
Nella capitale russa si accentua invece la narrativa della continuità. Putin, fanno sapere i suoi collaboratori, ha lasciato in fretta un forum economico per essere puntuale alla chiamata, gesto che, negli intendimenti del Cremlino, mostrerebbe la “serietà” con cui Mosca affronta il dossier. Durante la conversazione, il presidente avrebbe ricordato i risultati umanitari ottenuti nel secondo round di colloqui diretti russo-ucraini a Istanbul, presentandoli come prova della volontà negoziale russa.
In realtà, dietro il linguaggio diplomatico filtra un messaggio fermo: le “cause profonde” del conflitto – così le definisce Ushakov – devono essere rimosse prima di qualsiasi tregua. Un’affermazione che suona come un avvertimento all’Occidente: senza garanzie sulla sicurezza russa, la battaglia non potrà concludersi al tavolo. L’obiettivo, dunque, resta duplice: consolidare le conquiste militari e, parallelamente, alimentare la narrazione di una Russia aperta al compromesso.
Presenza militare a ridosso di Sumy
Sul terreno, gli sviluppi parlano un linguaggio più chiaro di qualsiasi comunicato stampa. Decine di migliaia di soldati russi si sono ammassati a ridosso dell’oblast di Sumy, nel nord-est dell’Ucraina. Gli analisti militari leggono la mossa come la preparazione di una possibile “spallata” capace di cambiare il baricentro del conflitto. L’ombra di una nuova offensiva pesa dunque su ogni tentativo di dialogo, alimentando la sensazione che la diplomazia sia, al momento, subordinata alla forza delle armi.
Allo stesso tempo, il Cremlino insiste sul fatto che i progressi militari non contraddicano l’intenzione di «proseguire la ricerca di una soluzione politica». Per Mosca, mostrare i muscoli mentre si predica moderazione è parte di una strategia collaudata: costringere l’avversario a trattare da una posizione di debolezza. A Kiev, tuttavia, i movimenti di truppe vengono interpretati come l’ennesimo segnale che la pace resta lontana.
L’ipotesi di un vertice resta sospesa
Sorprende, ma non troppo, che la possibilità di un faccia a faccia tra Putin e Trump non sia stata discussa. «L’idea rimane nell’aria», ammette Ushakov, pur precisando che la questione non è entrata in agenda. L’eventualità di un summit appare infatti prematura, soprattutto in assenza di risultati diplomativi concreti. Nel frattempo, i due leader avrebbero perfino sfiorato argomenti culturali, parlando di uno scambio di film capaci di esaltare i “valori tradizionali” condivisi da entrambe le amministrazioni.
Un dettaglio che, agli occhi degli osservatori, rivela il tentativo russo di mantenere aperti canali di soft power con gli Stati Uniti, compensando l’asprezza dei dossier geopolitici con gesti simbolici. La storia insegna che la diplomazia culturale può facilitare intese inattese; eppure, con i fucili puntati lungo il confine e l’inverno ormai alle porte, le pellicole potrebbero non bastare a cambiare il copione del conflitto.