La tragedia di via Ripamonti, costata la vita al diciannovenne Ramy Elgaml, approda alle soglie del processo: la Procura di Milano indica come possibili imputati l’amico alla guida dello scooter e il carabiniere che lo inseguì, chiudendo l’indagine sull’incidente dello scorso 24 novembre.
Indagine sull’omicidio stradale di Ramy Elgaml: rischio processo per Fares Bouzidi e per il carabiniere
Con la chiusura dell’inchiesta, i pm Giancarla Serafini e Marco Cirigliano hanno messo nero su bianco la richiesta di rinvio a giudizio per due figure centrali: Fares Bouzidi, ventenne che quella sera conduceva il T-Max, e il carabiniere al volante della gazzella di servizio. La contestazione per entrambi è l’ipotesi di omicidio stradale, ma con sfumature diverse: una colpa specifica addebitata al giovane, una colpa generica rivolta al militare dell’Arma. Le prossime settimane diranno se il gip accoglierà la richiesta, aprendo la strada al dibattimento.
All’amico di Ramy Elgaml i magistrati attribuiscono un elenco di negligenze puntuali. Bouzidi era privo di patente, aveva assunto sostanze stupefacenti e, dopo aver ignorato l’alt dei militari in centro città, ha trasformato le vie di Milano in un circuito clandestino, con picchi di velocità superiori a 120 chilometri orari. Il momento cruciale, secondo l’accusa, si consuma all’incrocio tra via Ripamonti e via Quaranta: ingresso contromano, svolta a sinistra, sterzata improvvisa verso la rampa pedonale. La sequenza provoca l’urto con l’auto di servizio, lo slittamento del T-Max e infine l’espulsione di Ramy, scagliato contro un semaforo e travolto.
La posizione del carabiniere appare più sfumata ma non per questo meno delicata. Gli inquirenti gli rimproverano la violazione delle ordinarie regole di prudenza previste dal Codice della strada: inseguimento durato circa otto minuti, velocità attorno ai 55 chilometri orari nel tratto finale e, soprattutto, una distanza dalla moto «sempre inferiore a un metro e mezzo». Per i pm tale margine, ridotto costantemente nonostante l’andatura elevata, avrebbe compromesso la possibilità di evitare la collisione con lo scooter guidato dall’amico di Ramy, già privo di casco e con un passeggero a bordo. Gli esperti nominati dalla Procura avevano inizialmente definito regolare la condotta, ma la valutazione finale dei magistrati ha accolto un diverso profilo di rischio.
Quel inseguimento di otto minuti resta il nodo di tutta la vicenda. Le telecamere urbane ricostruiscono una corsa fatta di cambi di corsia, semafori violati e brusche accelerazioni, dove l’adrenalina dei fuggitivi si mescola alla procedura operativa della pattuglia. In un contesto tanto concitato la concentrazione alla guida si assottiglia e anche i mezzi più addestrati risentono dello stress. Secondo il fascicolo, la combinazione fra la manovra azzardata di Bouzidi e il margine risicato del veicolo dell’Arma ha generato una dinamica in cui basta un attimo perché i ruoli di inseguiti e inseguitori si fondano nella medesima responsabilità penale.
Proteste e indignazione dopo la mossa della Procura
Il primo a levare la voce è stato l’assessore regionale alla Sicurezza Romano La Russa, che definisce «inaccettabile» l’ipotesi di processo per il militare. Secondo il politico, il carabiniere avrebbe «svolto correttamente il proprio lavoro», come indicato dalla consulenza cinematica ordinata mesi fa dalla stessa Procura di Milano. La Russa si dice «profondamente indignato» dinanzi a un possibile giudizio che, a suo parere, rischia di sminuire l’impegno quotidiano delle forze dell’ordine e di aprire la porta a una «pregiudiziale ideologica» nei confronti di chi tutela la sicurezza pubblica.
La prossima parola spetterà al giudice per l’udienza preliminare, chiamato a decidere se archiviare o rinviare a giudizio gli indagati. Per i familiari di Ramy il procedimento è l’unica strada per capire dove finisca la fatalità e inizi la responsabilità umana; per le istituzioni, la scelta potrebbe diventare un precedente sul modo in cui le forze dell’ordine gestiscono gli inseguimenti in contesti urbani. Intanto Milano resta sospesa, divisa tra il bisogno di sicurezza e il dolore di un ragazzo che non c’è più, mentre due destini opposti attendono di conoscere la medesima verità processuale.