La serie tv di The Last of Us subisce uno scossone inatteso: dopo Neil Druckmann, anche la sceneggiatrice Halley Gross lascia lo show prima dell’avvio della terza stagione, aprendo interrogativi sul futuro di un racconto che ha già conquistato pubblico e critica.
Sceneggiatori in uscita e nodi da sciogliere
L’universo post-apocalittico nato su console e approdato su HBO perde in un colpo solo due delle sue anime più riconoscibili. Halley Gross, penna di Westworld e co-autrice del videogioco Parte II, ha annunciato di voler «prendersi una pausa» dal lavoro quotidiano sulla serie; poco prima era stato Neil Druckmann a congedarsi per dedicarsi ad altri progetti. L’uscita simultanea di queste figure, che hanno modellato il tono crudo e intimista dello show, apre interrogativi urgenti: chi raccoglierà il testimone e con quali strumenti narrativi manterrà viva la complessità emotiva che ha reso The Last of Us un fenomeno mondiale?
La sceneggiatrice ha espresso gratitudine nei confronti di Craig Mazin, del cast e dell’emittente, definendo l’esperienza «un cambiamento di vita». Un saluto che, pur accompagnato da toni di commozione, fa emergere un vuoto operativo immediato: la writers’ room dovrà riorganizzarsi completamente prima di mettere mano ai copioni della terza annata. E mentre si compone la nuova squadra, lo spettatore intravede una fase di transizione in cui la posta in gioco non riguarda soltanto il proseguimento degli archi narrativi, ma la capacità dello show di restare fedele allo spirito originario pur rinnovando il suo linguaggio televisivo.
Il percorso di Neil Druckmann
Neil Druckmann, mente dietro al materiale originale e showrunner delle prime due stagioni, ha salutato la troupe al termine delle riprese, spiegando di voler concentrare tutte le energie sul misterioso Intergalactic: The Heretic Prophet, prossimo progetto di Naughty Dog. La tempistica non è casuale: con la post-produzione della seconda stagione ormai completata, per lui si apre l’occasione di sperimentare nuovi universi narrativi senza sovrapposizioni di calendario, un lusso raro nel panorama seriale contemporaneo, soprattutto per un autore abituato a guidare progetti dallo sviluppo alla consegna.
L’autore ha definito concluso il suo «capitolo HBO» per quanto concerne The Last of Us, assicurando però di restare orgoglioso dell’opera collettiva e di guardare con curiosità alle reinterpretazioni future. Il suo congedo, filtrato da parole di stima verso Halley Gross e l’intero cast tecnico-artistico, ricorda quanto la serie sia nata dal lavoro di squadra e non da un singolo ingegno. Una visione che, se presa alla lettera, potrebbe trasformare la pesca di nuovi talenti da sfida logistica a opportunità creativa.
Il finale sospeso e la sfida di Abby
Intanto la seconda stagione si è chiusa con un colpo allo stomaco: Abby, interpretata da Kaitlyn Dever, ha scatenato una spirale di violenza che ha ribaltato le certezze del pubblico. Quel climax sanguinoso, secondo molti, preannuncia una terza tranche di episodi costruita sulla sua prospettiva, esattamente come accadde nel videogioco. Ma tradurre sullo schermo l’empatia per un personaggio inizialmente osteggiato resta un esercizio delicatissimo, soprattutto ora che mancano gli autori che avevano già affrontato – e vinto – questa scommessa in formato interattivo.
Chi subentrerà dovrà riprodurre il gioco di specchi che mette in discussione la moralità di ogni scelta, senza scivolare in semplificazioni. Non basterà ripetere i momenti iconici: servirà dare senso ai silenzi, ai dettagli quotidiani, agli sguardi che hanno fatto la fortuna di The Last of Us. Mantenere viva la tensione emotiva di fronte a un fandom esigente sarà la cartina al tornasole della nuova writers’ room. Una stanza che, oggi, appare simultaneamente vuota e piena di possibilità, in attesa di una guida riconosciuta.
I timori e le speranze dei fan
Sui forum e sui social la conversazione corre veloce: è davvero possibile replicare la profondità emotiva senza le firme che l’hanno definita? Alcuni temono che la serie imbocchi la via di un semplice survival drama, privo di quella dimensione intimista che ha fatto la differenza. Altri, al contrario, vedono un’occasione di rinnovamento radicale, convinti che nuove voci possano portare linfa a un universo narrativo già consolidato. Il dibattito stesso dimostra quanto il pubblico si senta parte integrante del viaggio.
Per il momento l’unica certezza è l’attesa: la terza stagione non ha ancora un calendario di riprese ufficiale e, finché la squadra creativa non sarà completa, ogni previsione resta sospesa. La serie – disponibile in streaming – continua comunque a reclutare nuovi spettatori, alimentando la curiosità su quali traiettorie verranno esplorate. In fondo, l’assenza di risposte immediate è sempre stata una cifra del racconto. Chissà se anche dietro le quinte la ricerca di senso seguirà lo stesso ritmo lento e implacabile dell’apocalisse che vediamo sullo schermo.