Attesa febbrile al Ninfeo di Villa Giulia: fra poche ore la giuria del Premio Strega 2025 decreterà il romanzo vincitore. Sul tavolo, cinque voci diversissime che raccontano padri assenti, madri ombrate, città ingovernabili e incendi dell’anima. Una sfida che chiude un percorso cominciato in primavera e segna la LXXIX edizione del riconoscimento.
La corsa di un anno, dall’annuncio di aprile al verdetto di luglio
Il viaggio verso il premio è iniziato lo scorso 15 aprile, quando, nella scenografica sala del Tempio di Vibia Sabina e Adriano, sono stati resi noti i dodici titoli scelti fra gli ottantadue proposti dagli Amici della Fondazione Bellonci. Da allora una lunga catena di presentazioni pubbliche, incontri con i lettori e dibattiti critici ha trasformato quella «dozzina» in gloriose protagoniste dell’attenzione mediatica, mostrando come la narrativa italiana sappia ancora reinventarsi e parlare a pubblici differenti, dal liceale curioso all’accademico più esigente.
Nel corso di due mesi la giuria ufficiale, gli oltre quattrocento lettori forti dislocati nei gruppi di lettura esteri e il comitato tecnico hanno progressivamente ridotto le distanze, fino a indicare i cinque romanzi finalisti che, nella serata del 3 luglio, si confronteranno davanti allo splendido pronao del Ninfeo di Villa Giulia. La selezione 2025 è stata segnata da un equilibrio inedito: nessuna etichetta editoriale dominante, generazioni diverse di autori e grandi temi privati che si specchiano in questioni collettive.
Famiglie spezzate, memorie urbane, voci poetiche: la trama comune dei finalisti
Dietro la varietà di stili, dalle raffinate stratificazioni linguistiche alla prosa più scarna, emerge un filo rosso: l’urgenza di interrogare il legame parentale e il senso di appartenenza ai luoghi. Elisabetta Rasy torna nella Napoli degli anni del dopoguerra per rileggere la figura del padre, Paolo Nori si appoggia ai versi romagnoli di Raffaello Baldini per raccontare se stesso, mentre Nadia Terranova scava nella genealogia messinese per dare un nome alla follia che attraversa le generazioni. Il risultato è una coralità di voci che, pur differenti, parlano alla stessa ferita.
A questa mappa emotiva si affianca l’ossessione per la perdita: Michele Ruol costruisce un inventario di oggetti dopo l’incendio più doloroso che possa colpire una famiglia, e Andrea Bajani mette in scena la decisione radicale di un figlio che, per sopravvivere, taglia in modo irreversibile il cordone con i genitori. Cinque storie diverse che si guardano da lontano, ma sembrano scritte per dialogare fra loro sotto lo stesso cielo romano, in una notte dove le ombre dei pini sembrano trattenere ogni respiro di lettura.
Perduto è questo mare: Rasy racconta Napoli tra incanto e disincanto
Nel romanzo di Elisabetta Rasy, terzo nella graduatoria preliminare con 205 preferenze, la città partenopea è al tempo stesso rifugio e spettro. La scrittrice intreccia due ritratti maschili: il padre, un ex aviatore rimasto prigioniero della propria irrequietezza in un appartamento ormai fatiscente, e Raffaele La Capria, amico di famiglia e maestro di stile capace di trasformare la superficie della vita in letteratura. Il risultato è una meditazione sul peso del passato e sulla natura ambivalente della nostalgia che permea ogni pagina scritta.
Le pagine si muovono per quadri, alternando memorie di un dopoguerra segnato dall’inerzia a frammenti quasi epifanici in cui la voce dell’autore di «Ferito a morte» appare come un richiamo di libertà. Tra questi poli, la voce narrante – figlia in cerca di un senso – costruisce un itinerario nel regno dei padri, toccando amore, delusione, ironia. Sullo sfondo, Napoli oscilla fra la luce del golfo e la malinconia dei quartieri silenziosi, confermando di essere personaggio tanto quanto i suoi abitanti.
Chiudo la porta e urlo: il gioco di specchi di Paolo Nori
Con 180 voti e la proposta critica di Giuseppe Antonelli, Paolo Nori guadagna la finale grazie a un testo che sfugge alle definizioni, a metà tra saggio personale, autobiografia e omaggio letterario. Il protagonista – uno scrittore sessantenne non troppo lontano dall’autore – rilegge l’opera di Raffaello Baldini, poeta romagnolo considerato una leggenda del Novecento, e trova nelle sue parole uno specchio capace di riflettere stazioni, amori, treni perduti e domande irrisolte che risuonano nel presente come un ritornello inquieto.
La struttura procede per scarti e riprese, imitando il ritmo della memoria: un capitolo sembra dissolversi in un aneddoto minore, poi ritorna con l’energia di un refrain. Leggendo Baldini dall’inizio alla fine, fa notare il narratore, si rivede la propria città, si ascolta la voce della madre, si riscoprono i gesti della giovinezza. In questa oscillazione continua tra testo poetico e vissuto, Nori costruisce un elogio della letteratura come luogo domestico, capace di trasformare il banale in epifania quotidiana lucente.
Quello che so di te: Nadia Terranova e la mitologia familiare
Seconda in classifica con 226 voti, Nadia Terranova torna al Premio Strega dopo la felice esperienza del 2019. Stavolta intreccia la propria voce con quella della bisnonna Venera, donna che un giorno di marzo oltrepassò i cancelli del manicomio Mandalari di Messina. L’autrice, sostenuta criticamente da Salvatore Silvano Nigro, costruisce un racconto che non si accontenta della cronaca: illumina le crepe della parentela, analizzando gli spostamenti del dolore come se fossero costellazioni da decifrare nel cielo intimo dei legami umani.
La follia, nel testo, assume il valore di bussola narrativa: genera salti temporali, attraversa i corpi, interroga il concetto stesso di maternità. Scrivere, osserva la narratrice, significa interrompere il non detto oppure inventarne uno nuovo. Terranova si muove così fra sensazioni corporee – odori, sogni, ormoni – e riflessioni etiche, dando forma a un romanzo che cammina sul crinale tra realtà e allucinazione, fra voce personale e coro generazionale, senza mai perdere in precisione linguistica e densità affettiva profonda sempre.
Inventario di quel che resta dopo che la foresta brucia: il lutto raccontato da Michele Ruol
Considerato la sorpresa dell’anno, Michele Ruol entra in cinquina con un’opera edita da TerraRossa e sostenuta da Walter Veltroni. La premessa è spiazzante: nell’arco di un istante due figli, chiamati semplicemente Maggiore e Minore, muoiono lasciando Padre e Madre a misurarsi con un silenzio quasi cosmico. Con una prosa asciutta, Ruol elenca oggetti, spazi e gesti quotidiani, trasformandoli in reperti emotivi di un’esistenza sconvolta che cerca una nuova logica nel caos imprevisto della tragedia domestica più inconcepibile di sempre vissuta.
In assenza di trama classica, la narrazione avanza per dettagli: un armadio mezzo vuoto, la scala che nessuno sale più, il suono della televisione rimasta accesa su un canale qualunque. L’inventario diventa allora l’unica architettura possibile, una forma di resistenza e, forse, di preghiera. Nella tensione fra perdita e linguaggio, Ruol ricorda al lettore che «dopo l’incendio» la domanda non è se ricostruire, ma come sopravvivere al vuoto che la cenere lascia dentro, ad ogni frammento di ricordo ancora intatto.
L’anniversario: la rottura definitiva narrata da Andrea Bajani
Vincitore del Premio Strega Giovani con 280 preferenze, Andrea Bajani si presenta alla finale da favorito. Il suo romanzo mette in scena un figlio che, dopo anni di violenza domestica esercitata da un padre dal potere sottile, decide di girare le spalle ai genitori e non voltarsi più. A dieci anni da quel gesto, la data diventa celebrazione di un addio, quasi una festa paradossale della libertà conquistata a caro prezzo che non cancella però le ferite ancora aperte dentro.
La narrazione, sorretta da una voce sorvegliata e «scandalosamente calma», ricompone i frammenti di un’infanzia segnata da silenzi, incomprensioni e sottomissione materna. Bajani non emette sentenze: mette in dialogo memoria e invenzione, reale e vero, invitando il lettore a interrogarsi sul prezzo dell’autodeterminazione. Così la vicenda individuale diventa specchio universale, capace di restituire allo sguardo collettivo una realtà quotidiana spesso taciuta, ma presente dietro molte porte chiuse e che talora accompagna il rito doloroso di diventare adulti autonomi fino in fondo.
Una notte al Ninfeo, fra numeri e sentimenti
Con alle spalle le rispettive votazioni preliminari – i 280 punti di Bajani, i 226 di Terranova, i 205 di Rasy e il duetto a 180 fra Nori e Ruol – l’epilogo si annuncia combattuto. I trecento votanti presenti, uniti ai 200 lettori esteri, consegneranno le proprie schede dopo mezzanotte, mentre il pubblico, tra le colonne illuminate di Villa Giulia, seguirà l’alternarsi dei display elettronici con la tensione di un match all’ultimo punto, mentre la notte profuma di tigli estivi.
Qualunque titolo trionfi, la ripartizione dei temi di questa edizione – fratture domestiche, città-abbraccio, poesia come mappa identitaria – conferma la vitalità della narrativa italiana. La voce collettiva che si leverà dal Ninfeo ricorderà a tutti che i libri non salvano il mondo, ma sono strumenti per riconoscerlo e, magari, renderlo abitabile. Il sipario si chiuderà nel momento esatto in cui si apriranno nuove domande, pronte ad alimentare l’edizione 2026, e il dibattito letterario non smetterà di avvampare dentro piazze virtuali.