Il crepuscolo avvolge l’Ippodromo di San Siro, e un brusio elettrico attraversa il pubblico in attesa. C’è chi, fino a pochi mesi fa, dava la band per finita; stasera, invece, la folla rumoreggia impaziente. Non si contano gli smartphone sollevati e le bandiere che sventolano: è il primo dei cinque appuntamenti italiani e, già prima delle luci, aleggia un senso di riscatto.
Milanese debutto del tour europeo: energia e riscatto
Il tam-tam dei delatori di un tempo parlava di arene semivuote, setlist previste e carisma in calo. A Milano, però, la realtà smentisce quei pronostici: l’affluenza è inferiore ai fasti record, ma è sufficiente a trasformare la pista in un coro unico. L’idea stessa di “crisi” appare lontana mentre il duo, supportato dalla sua crew, inaugura un luglio tricolore che li vedrà protagonisti in altre quattro città. Si capisce subito che tirare somme affrettate sarebbe un errore.
Jared e Shannon Leto, orfani del chitarrista Tomo Miličević dal 2018, salgono sul palco come un’entità compatta. Venticinque anni di concerti negli stadi non hanno ammorbidito lo spirito da fuoriclasse di chi, nei corridoi della moda, come sul set da Oscar, mantiene una presenza magnetica. Il frontman alterna ammiccamenti al pubblico e gesti da direttore d’orchestra, lasciando spazio alla batteria granitica del fratello, mentre i riflettori replicano geometrie di luce su migliaia di braccia sollevate.
Un set che alterna adrenalina e raccoglimento
L’avvio è affidato all’atmosfera cupa di Monolith, un’introduzione che cresce fino a spalancare le porte a Kings and Queens. Con occhiali fumé, camicia bianca e coverall-sarong nera, Jared appare fra bagliori stroboscopici fra il boato del primo impatto. La teatralità, stavolta, non passa da scenografie mastodontiche ma dall’energia cruda del pubblico, che riconosce ogni nota in anticipo e scandisce le parole come un’unica voce.
Il flusso continua con Up in the Air e From Yesterday, due cavalli di battaglia che trasformano la platea in una giungla di salti sincronizzati. Poi la potenza di Walk on Water cede il passo a Rescue Me. Il cantante scavalca i monitor, sceglie alcuni fan da far salire con sé, fra cui un ragazzo che ha perso la madre cinque mesi fa e una coppia sposata nelle prime file. È il momento in cui la distanza simbolica fra palco e platea evapora del tutto.
La parentesi acustica: intimità sulla pelle
La tensione emotiva si abbassa solo quando Jared imbraccia la chitarra e attacca Alibi in versione acustica. Ogni riverbero si dilata, e l’immenso prato si trasforma in un salotto all’aperto. Subito dopo arriva la cover minimalista di Stay (Rihanna & Mikky Ekko), che riveste l’ippodromo di silenzi carichi e voci tremanti, prima che la band riprenda fiato per riaccendere i riff.
Riparte così la corsa: Night of the Hunter, la sempreverde Hurricane e una This Is War che fa tremare i subwoofer con la batteria martellante di Shannon. Nel bis spunta la vena dance di Stuck, un guizzo contemporaneo che catapulta l’arena in un gioco di luci pulsanti, dichiarando la volontà del gruppo di restare al passo con i tempi senza tradire il proprio DNA.
L’evoluzione sonora: dalle radici emo alle sperimentazioni elettroniche
Fin dagli esordi, i Thirty Seconds To Mars hanno mescolato emo, metal e rock epico; oggi la loro tavolozza sonora include sfumature elettroniche che dominano l’album It’s the End of the World but It’s a Beautiful Day del 2023. Chi cerca la band di inizio millennio scopre una creatura mutata, più essenziale, più adulta, che non rinuncia però a ritornelli capaci di far vibrare interi stadi.
Il cuore pulsante di questo mutamento resta la simbiosi fra i due fratelli, sempre più coinvolti in produzione e direzione artistica, come già evidenziato in America. Stasera i fan storici — gli Echelon — salutano questa nuova pelle con striscioni che recitano: “This is life on Mars”. Si percepisce, in quel coro, la gratitudine di chi ha visto la band attraversare tempeste e approdare a una maturità che non teme di correre rischi.
Abbracci, sudore e orizzonti ancora aperti
Nell’ultimo atto Jared scende fra le transenne, si lascia avvolgere da mani e abbracci, mentre esclama nel microfono: “Dio benedica l’Italia, meravigliosa e rovente!”. L’aria, satura di emozioni e di caldo, vibra d’eco e sudore. Quando le luci si spengono, la sensazione è di aver assistito a un rituale collettivo più che a un semplice concerto; e la fama di performer instancabile del frontman esce ulteriormente rafforzata.
Che cosa resta, dopo l’ultimo beat? L’impressione di una band che ha superato crisi interne e trasformazioni, conservando un equilibrio fra autenticità e audacia. Non c’è stato il tutto esaurito di un tempo, ma l’intensità nelle prime — e nelle ultime — file vale più di qualsiasi cifra di botteghino. Le prove generali della rinascita, a quanto pare, sono tutt’altro che finite.