Nuovi scenari e vecchie sfide si intrecciano nel perimetro dei servizi pubblici: negli ultimi dieci anni il comparto italiano delle utilities ha ampliato valore economico, occupazione e investimenti, gettando le basi per un ruolo decisivo nella transizione ecologica e nella coesione territoriale.
Verso un nuovo equilibrio energetico e ambientale
In Assemblea generale, riunita a Roma per celebrare il decennale della Federazione nata dall’unione di Federutility e Federambiente, il presidente Filippo Brandolini ha ricordato come le aziende di pubblica utilità abbiano gestito in rapida sequenza pandemia, carosello dei prezzi energetici e siccità prolungata. Prove dure, che hanno spinto il sistema a ripensare processi e investimenti senza mai interrompere l’erogazione di acqua, energia, calore, gestione dei rifiuti. Oggi, grazie a quegli sforzi, il comparto si presenta come motore indispensabile della transizione ecologica del Paese.
Secondo il vicepresidente vicario Luca Dal Fabbro, tre leve strategiche condizioneranno il futuro: regolazione evolutiva, governance industriale e competenze. Solo una regia normativa indipendente, insieme a strutture societarie più compatte e ad una forza lavoro pronta al cambiamento, potrà coniugare sicurezza energetica, innovazione e coesione territoriale. L’obiettivo dichiarato è rafforzare le infrastrutture, rendere più resilienti gli approvvigionamenti e garantire che ogni euro investito si traduca in valore ambientale e sociale duraturo, superando le gestioni troppo frammentate ancora diffuse in vari territori.
Numeri che raccontano un decennio di trasformazioni
Tra il 2015 e il 2025 il valore della produzione delle imprese associate a Utilitalia è balzato da 38 a 68 miliardi di euro, mettendo a segno un incremento del 79 per cento. L’accelerazione non è frutto di circostanze occasionali ma di un percorso sistematico di aggregazioni societarie, razionalizzazione degli asset e investimenti mirati. Il salto dimensionale ha permesso di sfruttare economie di scala, liberare risorse per l’innovazione tecnologica e consolidare la reputazione del comparto come partner affidabile delle istituzioni e delle comunità locali.
La crescita economica si è riflessa anche sull’occupazione: i lavoratori impiegati sono passati da 90 mila a 104 mila, pari a un incremento del 15 per cento nonostante l’automazione dei processi. Analisi indipendenti mostrano che, per ogni milione di euro di fatturato, le utilities impegnano tra 16 e 34 addetti, mentre ogni euro di ricavo ne attiva mediamente 2,6 in termini di nuova produzione nell’economia nazionale. Un moltiplicatore che dimostra la centralità di circuiti locali spesso invisibili ma fondamentali per il benessere collettivo.
Acqua, il nodo cruciale degli investimenti idrici
Nell’arco del decennio gli investimenti pro capite in acquedotti, depurazione e fognature sono lievitati da 38 a 80 euro l’anno, con un aumento del 110 per cento. Nonostante il passo in avanti, permangono profonde asimmetrie: nelle cosiddette gestioni «in economia», dove i Comuni continuano a gestire direttamente il servizio, la spesa scende a 29 euro per abitante, compromettendo la qualità e la continuità dell’acqua distribuita. La federazione indica come priorità l’uscita da questi modelli frammentati e la convergenza verso operatori industriali strutturati.
Il fabbisogno complessivo stimato è di almeno 6 miliardi di euro all’anno, a fronte dei circa 4 attualmente coperti dalle tariffe. Il Pnrr destina al comparto 1,1 miliardi annui, lasciando un gap di ulteriori 0,9 miliardi fino al 2026 e di non meno di 2 miliardi per gli anni successivi. Per colmarlo, Utilitalia propone di affiancare alle risorse tariffarie un contributo pubblico stabile di un miliardo l’anno per un decennio, così da elevare l’indice di investimento e ridurre perdite di rete e vulnerabilità agli stress climatici.
Rifiuti urbani, dal differenziare al riciclare
Negli ultimi dieci anni la raccolta differenziata è passata dal 47,5 al 67 per cento, mentre il tasso di riciclaggio è salito dal 41,1 al 50,8 per cento. Progressi significativi, che tuttavia non permettono ancora di raggiungere gli obiettivi europei al 2035: riciclare almeno il 65 per cento dei rifiuti urbani prodotti e ridurre il conferimento in discarica sotto il 10 per cento. Oggi la media nazionale è ferma al 16, benché nel 2015 fosse al 26, segno di una strada virtuosa ma ancora incompleta.
Per avvicinare i nuovi target occorrono investimenti supplementari di circa 4,5 miliardi di euro. Tre miliardi serviranno alla dotazione impiantistica: 2,5 miliardi per impianti di termovalorizzazione e 0,5 per piattaforme di digestione anaerobica della frazione organica. I restanti 1,5 miliardi saranno necessari a potenziare sistemi di raccolta porta a porta, centri di raccolta e logistica. Solo così sarà possibile alleggerire le discariche, trasformare i materiali post consumo in risorse e restituire valore ai territori che sostengono la filiera economica locale.
Energia, il cantiere della decarbonizzazione
Il Green Deal europeo e la Legge sul Clima hanno fissato la neutralità carbonica al 2050, ridefinendo priorità e calendario degli investimenti. L’analisi dei piani industriali delle principali imprese energetiche aderenti a Utilitalia quantifica in 19 miliardi di euro gli investimenti previsti nei prossimi cinque anni. Un impegno che punta a rendere le infrastrutture energetiche più intelligenti, modulari e pronte ad assorbire la crescita esponenziale delle fonti rinnovabili, garantendo allo stesso tempo sicurezza dell’approvvigionamento e contenimento delle bollette.
Di questo pacchetto, 7,6 miliardi saranno destinati a reti elettriche, gas e teleriscaldamento; 7,7 miliardi andranno alla produzione di energia da fonti rinnovabili e convenzionali; circa 1,5 miliardi, infine, finanzieranno interventi di efficienza energetica negli edifici pubblici e privati, oltre a infrastrutture per la mobilità sostenibile. La sfida non è soltanto tecnica: occorre coordinare tempistiche autorizzative, capacità industriale e consenso sociale, in modo che ogni chilowattora verde diventi occasione di sviluppo, occupazione qualificata e riduzione delle disuguaglianze.
Competenze, governance e innovazione oltre il Pnrr
Il completamento dei progetti finanziati dal Pnrr non esaurisce la lista delle sfide. Utilitalia chiede il rafforzamento del ruolo dei regolatori indipendenti, l’eliminazione dei vincoli più restrittivi del Testo Unico sulle Partecipate e nuove aggregazioni societarie in grado di sostenere investimenti su scala europea. L’obiettivo è garantire continuità finanziaria oltre l’orizzonte 2026, evitando brusche frenate che penalizzerebbero le comunità servite e gli stessi investitori, pubblici e privati, allo stesso tempo valorizzando le migliori pratiche di sostenibilità e trasparenza gestionale già maturate.
In parallelo, si apre la partita delle competenze: entro il 2035 serviranno profili tecnici capaci di gestire reti digitalizzate, impianti di riciclo avanzati e sistemi energetici flessibili, ma anche figure in grado di integrare intelligenza artificiale e big data nei processi decisionali quotidiani. Stabilità occupazionale, formazione continua e innovazione organizzativa diventano così la triade indispensabile per attrarre talenti e rigenerare quelli già presenti. Solo con una forza lavoro preparata le utilities potranno trasformare i propri piani industriali in progresso tangibile per i cittadini.