Una sentenza pesante chiude il caso del giovane ucciso per un paio di cuffie: la Corte d’Assise di Milano ha inflitto 27 anni di reclusione a Daniele Rezza, riconoscendolo responsabile dell’omicidio di Manuel Mastrapasqua.
La decisione dei giudici e la quantificazione del danno
Nonostante i venti anni sollecitati dall’accusa, il collegio presieduto dalla giudice Antonella Bertoja ha optato per una condanna più severa, ritenendo decisive le aggravanti della minorata difesa e dei futili motivi. Sono invece decadute la contestazione del nesso teleologico tra rapina e omicidio e, in parte, la portata delle attenuanti generiche, bilanciate a favore di una pena complessiva superiore alle richieste del pubblico ministero. Il tribunale ha voluto sottolineare la gravità di un gesto compiuto per un bottino irrisorio e la totale sproporzione fra il motivo e la brutale violenza esercitata.
La sentenza prevede anche un consistente risarcimento a favore dei parenti della vittima: 150.000 euro alla madre Angela Brescia e 70.000 euro ciascuno al fratello Michael e alla sorella di Manuel. La provvisionale rappresenta una forma di ristoro immediato, insufficiente a colmare la perdita, ma simbolicamente essenziale per sancire la responsabilità civile dell’imputato. I difensori di Rezza hanno annunciato il probabile ricorso, ma la decisione del primo grado segna comunque una tappa centrale in un procedimento durato pochi mesi e costellato da perizie, testimonianze e ricostruzioni video.
La notte a Rozzano: dinamica di un delitto lampo
Poco prima delle tre del mattino dell’11 ottobre, in via Sesia a Rozzano, Manuel Mastrapasqua stava rientrando a casa dopo il turno di lavoro, le cuffiette nelle orecchie e il telefono in mano. In quel lasso di due minuti, fra le 2:54 e le 2:56, secondo gli inquirenti, Daniele Rezza, allora diciannovenne, lo ha avvicinato, ha strappato le cuffie da 14 euro e lo ha colpito con un coltello da cucina. L’aggressione è stata talmente fulminea che nessun passante ha potuto intervenire in tempo; le telecamere di sorveglianza mostrano solo ombre in movimento e la figura dell’aggressore che si dilegua.
Il colpo, vibrato con forza, ha attraversato il polmone sinistro e il pericardio, provocando un’emorragia fatale. Trasportato d’urgenza all’ospedale Humanitas, Manuel ha lottato per meno di un’ora, spirando alle 3:49. Sul corpo non sono state riscontrate ferite da difesa: segno, secondo la perizia, della resa immediata di un ragazzo considerato mite, incapace di reagire a una violenza improvvisa. Quelle cuffie, ormai macchiate di sangue, sono diventate la tragica prova di un’esistenza spezzata per un oggetto di scarso valore economico.
Il dolore dei familiari e le parole in aula
A sentenza letta, la madre della vittima ha ringraziato la Corte con voce rotta ma ferma: «Sentire ventisette anni va bene», ha sussurrato, pur consapevole delle future riduzioni di pena possibili in fase esecutiva. Il fratello Michael, più severo, ha ricordato come crescere in quartieri difficili non possa trasformarsi in un lasciapassare per la violenza: «Anch’io sono nato e cresciuto a Rozzano, ma non mi sono mai nascosto dietro la mia città per giustificare niente». Per i familiari, la pena elevata è una magra consolazione, ma sancisce almeno il riconoscimento pubblico della dignità di Manuel.
L’avvocata di parte civile, Roberta Minotti, ha ribadito che il fascicolo conteneva gli estremi per l’ergastolo, ma ha definito comunque «congrua» la decisione del collegio, ritenendo la durata della reclusione adeguata alla ferocia dell’azione. Ha sottolineato come il tribunale abbia bilanciato correttamente aggravanti e attenuanti, escludendo il nesso teleologico, ma valorizzando la sproporzione fra il pretesto della rapina e la violenza dell’omicidio. Il procedimento, ha aggiunto la legale, restituisce un minimo di giustizia alla famiglia, pur lasciando aperta una ferita che nessuna pronuncia potrà rimarginare.
Le questioni processuali e lo sguardo verso il futuro
Sul piano tecnico, la difesa di Rezza ha puntato sull’età dell’imputato e sul contesto familiare disagiato per chiedere un marcato riconoscimento delle attenuanti generiche. La Corte, pur concedendo tale beneficio, lo ha compensato con le aggravanti sullo stato di minorata difesa della vittima – sola e distratta dalla musica – e sulla motivazione futile di un furto da pochi spiccioli. Proprio questo bilanciamento, hanno spiegato i giudici, ha evitato l’ergastolo ma ha giustificato un aumento di sette anni rispetto alla richiesta del pubblico ministero.
L’imputato, già noto per precedenti reati e per il porto di coltelli, dovrà ora scontare una pena che molte voci ritengono esemplare. Resta comunque il percorso dei successivi gradi di giudizio, con la difesa determinata a far valere presunti vizi di motivazione. Nel frattempo, la comunità di Rozzano riflette: l’omicidio di Manuel Mastrapasqua interroga tutti sul valore della vita, sulla fragilità della sicurezza urbana e sul prezzo altissimo pagato per un oggetto di uso quotidiano.