Un’estate destinata a lasciare il segno prende forma a Spoleto: Palazzo Collicola celebra il suo venticinquesimo anno di attività con un mosaico di mostre che, dal 28 giugno al 2 novembre 2025, intrecciano linguaggi e generazioni diverse, mentre la vicina Chiesa dei Santi Giovanni e Paolo amplia il racconto con un intervento site specific.
Una ricorrenza che ridisegna il panorama culturale cittadino
Fra le mura settecentesche di Palazzo Collicola, il venticinquesimo anniversario diventa l’occasione per un approccio curatoriale corale. L’amministrazione comunale, i Musei Civici, il Festival dei Due Mondi e un fitto elenco di partner – dalla galleria Lia Rumma al William Kentridge Studio, dalla Fondazione CaRiSpo all’associazione Amici di Palazzo Collicola – convergono in un programma che non si limita a ospitare opere, ma costruisce una narrazione condivisa fra artisti, collezionisti, storici dell’arte e pubblico. Finanziamenti pubblici, sostegni di fondazioni e collaborazioni universitarie confluiscono in una sintesi che conferma il ruolo del complesso museale come piattaforma aperta e dinamica.
Sei progetti distinti – cinque all’interno del palazzo e uno nella chiesa – si susseguono come capitoli di un unico libro. Disegni, fotografie, manifesti, installazioni e materiali d’archivio restituiranno ai visitatori non soltanto la storia del luogo, ma anche l’evoluzione di sguardi che, in un quarto di secolo, hanno accompagnato le metamorfosi dell’arte contemporanea. L’allestimento infatti invita a percorrere i piani del palazzo come se ciascuno fosse un diverso tempo verbale: il passato che si svela, il presente che si mette in scena, il futuro che chiede di essere immaginato.
Dialoghi fra opere e carte: la collezione di Primo De Donno
Al piano terra, la mostra “Listen to Your Eyes” riunisce dipinti, sculture e materiali editoriali appartenuti al collezionista umbro Primo De Donno. L’originalità di questo nucleo non risiede soltanto nei nomi di riferimento – da Giorgio de Chirico a Lucio Fontana, da Alberto Burri ad Alighiero Boetti – ma nella vastissima raccolta di libri d’artista, cataloghi, ephemera e documenti che accompagnano ogni opera. Le pagine, vere “prove d’appoggio” del processo creativo, raccontano quanto la fruizione dell’arte possa cambiare se si osservano anche le tracce cartacee che la sostengono.
Curata da Primo De Donno insieme a Saverio Verini e a Viaindustriae, l’esposizione mette in relazione oggetto visivo e “letteratura” d’artista lungo un arco temporale che abbraccia l’intero Novecento e inizia a sondare il nuovo millennio. Visitatrici e visitatori sono invitati a spostare l’attenzione dalle superfici in cornice al margine editoriale: quell’intercapedine dove idee, appunti, bozze di stampa e recensioni costruiscono la fortuna critica delle opere stesse. In questo modo la collezione si trasforma in un atlante vivente, utile a comprendere come gusto, mercato e ricerca si siano influenzati a vicenda.
I manifesti del Festival dei Due Mondi: storia grafica di un’identità
Accanto alle sale dedicate alla collezione privata, un corridoio di carta racconta 68 edizioni di uno degli appuntamenti culturali più longevi d’Europa: “Festival dei Due Mondi. Manifesti 1958-2025”. Scanditi dalle firme di Balthus, Cy Twombly, Helen Frankenthaler, Joan Miró e molti altri, i manifesti confermano quanto la grafica possa diventare archivio emotivo di una città. Ogni tavola custodisce l’atmosfera culturale del proprio tempo, rivelando come Spoleto abbia costantemente cercato un dialogo fra arte visiva e arti performative.
La sezione nasce dalla collaborazione inedita fra Musei Civici e Festival dei Due Mondi, con il contributo scientifico di un gruppo di studio dell’University of West Georgia. Gli studiosi hanno catalogato, restaurato e contestualizzato i materiali, restituendo alla comunità opere che uscivano raramente dai depositi. L’intenzione non è celebrare la grafica come semplice ancella dell’evento, ma mostrarla quale forma autonoma capace di trasformare un cartellone in oggetto collezionabile, un annuncio in testimonianza storica.
L’arte gonfiabile di Stefano Cerio: paesaggi tra vuoto e memoria
Salendo al secondo piano, lo spettatore incontra “Corpi d’aria”, un focus fotografico su Stefano Cerio curato da Stefano Chiodi. Le serie Aquila e Brenva – acquisite dal museo grazie al programma ministeriale “Strategia Fotografia” – collocano chiese, castelli e scivoli gonfiabili in luoghi feriti: l’Appennino abruzzese segnato dal sisma del 2009 e il ghiacciaio ai piedi del Monte Bianco, eroso dal riscaldamento globale. Quei volumi leggeri, apparentemente ludici, diventano indicatori della fragilità del paesaggio e metafore di un presente sospeso.
Nelle stampe di grande formato, l’assenza di figure umane sottolinea il contrasto fra monumentalità naturale e precarietà artificiale. Il risultato è un cortocircuito visivo: lo spettatore si trova di fronte a scenografie che evocano luna park abbandonati, mentre la natura sottrae o aggiunge spazio. In questo dialogo fra fotografia, arte ambientale e riflessione sociale, Cerio offre un manifesto silenzioso sulle trasformazioni climatiche e sui tentativi – talvolta naïf – dell’uomo di governarle.
Mahler & LeWitt Studios: un decennio di residenze, ricerche e scuole
In una stanza adiacente alla biblioteca Giovanni Carandente, il percorso espositivo cambia ritmo per accogliere “Mahler & LeWitt Studios: 10 anni di attività”. A cura di Guy Robertson, la mostra d’archivio ripercorre le residenze sviluppate negli ex studi di Anna Mahler e Sol LeWitt dal 2015 a oggi. Fotografie, maquettes, diari di lavoro, progetti educativi rivolti alle scuole e documentazioni video restituiscono un laboratorio a cielo aperto che, da Spoleto, si è connesso con la rete internazionale delle arti visive.
Il visitatore comprende così come una residenza possa diventare motore di comunità, non semplice ritiro creativo. Gli spazi – compresa la suggestiva Torre Bonomo – hanno favorito non solo produzioni originali, ma collaborazioni con artigiani locali, workshop pubblici e sinergie transdisciplinari. Celebrarne il decennale significa dare visibilità a quei passaggi spesso invisibili che trasformano l’idea grezza in intervento concluso, riaffermando la centralità del processo rispetto all’oggetto finito.
William Kentridge: “Pensieri fuggitivi” e la danza dell’inchiostro
Il Piano Nobile accoglie oltre cinquanta opere di William Kentridge in “Pensieri fuggitivi”, mostra co-prodotta con il Festival dei Due Mondi e curata da Saverio Verini. Disegni, sculture, video, stampe e taccuini guidano il pubblico lungo venticinque anni di ricerca del maestro sudafricano. Il titolo richiama l’idea di un pensiero in costante migrazione, dove il tratto a carboncino resta mobile, mai definitivo, sempre pronto a trasformarsi in immagine in movimento.
L’esposizione dialoga con altri momenti della presenza di Kentridge in città: l’artista è autore del manifesto di Spoleto68 e firma lo spettacolo “The Great Yes, the Great No”. Questa multidisciplinarità sottolinea la cifra di un lavoro che trascende il singolo medium, unendo letteratura, musica, teatro d’ombre e animazione. Chi attraversa le sale coglie la continuità tra foglio e palcoscenico, comprendendo come l’arte di Kentridge sia un atto politico che si alimenta di memoria collettiva e sperimentazione.
La Chiesa dei Santi Giovanni e Paolo: risonanze pittoriche di Gianni Politi
Fuori dalle sale del palazzo, il percorso prosegue nella Chiesa dei Santi Giovanni e Paolo con “Le cose non saranno mai più come prima (del potere anarchico dell’amore)” di Gianni Politi, ancora una volta a cura di Saverio Verini. L’artista romano torna nello stesso edificio dove aveva esposto nel 2011, collocando oggi dipinti di grande formato e due sculture in diretto confronto con il ricco palinsesto di affreschi. Il titolo dichiara un cambio di paradigma, un invito a leggere l’amore come forza sovversiva capace di travolgere schemi e retoriche.
Le opere dialogano con l’architettura ecclesiale senza mimetizzarsi: colori vibranti, pennellate ampie e sagome scultoree intervengono come voci contemporanee dentro un coro di memorie sacre. Il risultato è un confronto vivo fra stratificazioni temporali che, a distanza di quindici anni dalla sua prima presenza, permette di osservare l’evoluzione formale e concettuale di Politi. Lo spazio liturgico si trasforma così in un laboratorio di possibilità, dove passato e presente si specchiano per suggerire visioni di futuro.
Conclusione: un percorso che interseca processi, luoghi e comunità
Le sei tappe di questa stagione espositiva costruiscono un’unica esperienza immersiva: dai pensieri in movimento di Kentridge alle architetture gonfiabili di Cerio, dai manifesti che hanno fatto la storia del Festival alle memorabili raccolte di De Donno, fino all’intreccio di pratiche di Mahler & LeWitt e alla dialettica fra arte sacra e contemporaneità di Politi. Più che celebrare un anniversario, Palazzo Collicola restituisce alla città la consapevolezza che l’arte è un processo in cui istituzioni, artisti e pubblico costruiscono insieme identità, memoria e senso critico.