Nonostante investimenti limitati, l’Italia ha consolidato una posizione di rilievo nella ricerca clinica europea, ma il quadro che emerge dalle ultime analisi mostra carenze strutturali e burocratiche che rischiano di rallentare i progressi finora ottenuti, con importanti ripercussioni sull’accesso dei pazienti alle terapie innovative.
Risultati notevoli a fronte di risorse limitate
Il conteggio aggiornato all’inizio del 2025 colloca l’Italia al quarto posto nell’Unione europea per numero di studi clinici avviati dal 2022: 2.674 sperimentazioni, dietro Spagna (3.500), Francia (3.362) e Germania (2.831). Questo traguardo, celebrato durante un convegno promosso a Roma dalla Foce, conferma la capacità competitiva del nostro sistema nonostante la ridotta disponibilità di risorse economiche. Il dato quantitativo, da solo, testimonia una vitalità scientifica che, se opportunamente sostenuta, potrebbe tradursi in un ritorno diretto sulla salute pubblica e sull’attrattività internazionale dei nostri centri di ricerca.
Lo scarto tra i risultati ottenuti e gli stanziamenti effettivi è significativo: il Paese destina appena 2,86 miliardi di euro l’anno alla ricerca biomedica a fronte dei circa 22 miliardi complessivi investiti in ricerca e sviluppo, pari a un modesto 1,3% del PIL. Con questi numeri l’Italia occupa il 18° posto in Europa, restando nelle retrovie anche a livello mondiale. Gli indicatori di performance, quindi, rappresentano un risultato quasi controintuitivo che evidenzia il potenziale di un sistema che lavora in costante condizioni di sottofinanziamento.
Finanziamenti pubblici e contributo dell’industria
Solo il 39% dei fondi destinati alla ricerca biomedica proviene da bilanci pubblici, mentre circa 1,3 miliardi di euro arrivano dall’industria farmaceutica, interessata soprattutto a sostenere i clinical trials. Questo squilibrio determina una dipendenza crescente dalle sponsorizzazioni private, con implicazioni sull’indirizzo delle sperimentazioni e sull’autonomia scientifica dei centri. Mantenere un equilibrio virtuoso tra risorse pubbliche e private diventa quindi imprescindibile per assicurare libertà di indagine e tutela dell’interesse collettivo.
Fra le criticità evidenziate dagli esperti riuniti alla ConFederazione oncologi, cardiologi ed ematologi emerge la necessità di ottimizzare l’uso dei fondi disponibili, evitando duplicazioni di finanziamento e orientando le scelte verso progetti realmente utili. In momenti di ristrettezze economiche, la parola d’ordine deve essere «razionalizzazione»: concentrare le risorse su obiettivi strategici, ridurre ricerche sovrapponibili e promuovere un coordinamento nazionale capace di valorizzare le specificità territoriali.
Burocrazia, personale e criticità operative
La mancanza di professionalità dedicate – data manager, infermieri di ricerca, bioinformatici e ricercatori altamente specializzati – viene segnalata come uno dei principali colli di bottiglia. Francesco Cognetti, presidente Foce, sottolinea che «il sistema fatica a reclutare le competenze necessarie», condizione che ostacola la qualità dei dati e la competitività internazionale. In assenza di un piano organico di formazione e assunzione, l’Italia rischia di perdere posizioni proprio nel momento in cui l’innovazione impone un’intensificazione delle figure tecniche di supporto.
Ugualmente gravosi sono i tempi di approvazione delle sperimentazioni: le lunghe attese presso gli organismi regolatori e i comitati etici rallentano l’avvio dei progetti, scoraggiando la ricerca indipendente. L’istituzione del nuovo Comitato etico nazionale per le terapie avanzate solleva dubbi sulla continuità di competenze rispetto al precedente assetto, a causa di indici bibliometrici giudicati inferiori. Semplificare le procedure autorizzative rappresenta, secondo gli addetti ai lavori, una condizione imprescindibile per mantenere l’Italia attrattiva agli occhi degli investitori internazionali.
Ricerca indipendente e tempi di accesso ai farmaci
In oncologia soltanto il 20% degli studi su nuove molecole è oggi “no profit”, mentre l’80% è sponsorizzato dall’industria. Ciò riduce la sperimentazione svincolata da interessi commerciali e rischia di marginalizzare quesiti scientifici considerati meno redditizi. Il depauperamento della ricerca indipendente non è soltanto un problema etico ma anche strategico, perché limita la capacità del sistema di rispondere a esigenze cliniche emergenti.
I pazienti scontano ritardi superiori a 500 giorni tra l’autorizzazione dell’Ema e l’inserimento nei prontuari terapeutici regionali, una situazione che genera diseguaglianze territoriali. L’eliminazione dei piani terapeutici regionali, richiesta con forza dalle associazioni di pazienti, sarebbe determinante per azzerare le difformità di accesso ai farmaci innovativi, in particolare quelli orfani. Garantire uniformità è un dovere costituzionale, oltre che una necessità clinica per milioni di cittadini.
Frammentazione del sistema e ruolo degli Irccs
Sul territorio operano 54 Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico (Irccs), vigilati dal Ministero della Salute, che nel 2024 hanno ricevuto complessivamente 179 milioni di euro, appena sette in più rispetto al 2022. Nonostante l’impegno, nel 2023 non si è registrato alcun incremento né nel numero di trial (7.421) né nei pazienti arruolati (61.887). L’espansione numerica dei centri, senza un adeguato rafforzamento finanziario e umano, rischia di diluire la qualità scientifica e di creare strutture con attività marginali.
Accanto agli Irccs, gli Enti pubblici di ricerca svolgono un ruolo essenziale, specie nella ricerca preclinica e traslazionale. La loro integrazione in piattaforme nazionali condivise, proposta dall’Istituto superiore di sanità, potrebbe ridurre la frammentazione e potenziare il trasferimento tecnologico. Un sistema più coeso consentirebbe di attrarre venture capital, oggi scarsamente interessato a un panorama percepito come dispersivo e privo di coordinamento.
Nuovi orizzonti in oncologia, ematologia e cardiologia
La sopravvivenza a cinque anni per tutte le forme di cancro ha raggiunto il 59% negli uomini e il 65% nelle donne, grazie all’introduzione di terapie innovative e test molecolari. La maggiore conoscenza del Dna permette di perfezionare diagnosi e trattamenti, ma la sostenibilità di questi progressi richiede continuità di investimenti. Senza un sostegno stabile, le conquiste dell’oncologia di precisione potrebbero arrestarsi, vanificando decenni di avanzamenti scientifici e clinici.
Simili trasformazioni interessano l’ematologia, dove i protocolli personalizzati stanno elevando i tassi di guarigione, e la cardiologia, chiamata a contrastare patologie che restano la prima causa di morte in Italia. Nonostante l’impatto positivo dell’angioplastica coronarica, oltre il 50% dei pazienti colpiti da infarto muore prima del ricovero. Potenziare la ricerca cardiovascolare, sfruttando l’intelligenza artificiale e i nuovi farmaci, potrebbe ridurre drasticamente la mortalità, avvicinando il nostro Paese ai più virtuosi standard francesi e spagnoli.