In presenza di una malattia infiammatoria cronica intestinale, il disagio non si limita a sintomi fisici: la quotidianità viene ridefinita da timori, restrizioni e continue scelte terapeutiche. Il prof. Massimo Claudio Fantini richiama l’attenzione su una gestione che abbracci corpo e mente, alimentazione inclusa, affinché il paziente non resti prigioniero di ostacoli spesso invisibili a chi osserva dall’esterno.
La dieta come presidio terapeutico e preventivo
Le malattie infiammatorie croniche intestinali si concentrano nei Paesi industrializzati, dove l’alimentazione è radicalmente mutata negli ultimi decenni. L’introduzione massiccia di alimenti ultra-processati, ricchi di additivi, emulsionanti e gelificanti, altera la composizione del microbiota e indebolisce la barriera intestinale, creando le condizioni ideali per l’insorgenza dell’infiammazione. Limitare tali prodotti non è un semplice atto di moderazione, ma un primo, fondamentale strumento di prevenzione primaria: riducendo l’esposizione a sostanze che distorcono l’ambiente intestinale, si contribuisce a mantenere la selettività della mucosa e a impedire reazioni immunitarie improprie.
Contestualmente, l’adesione a uno schema alimentare di tipo mediterraneo si conferma determinante non solo per l’ingresso in fase di remissione, ma anche per il mantenimento di uno stato nutrizionale equilibrato. L’abbondanza di fibre, antiossidanti e grassi insaturi favorisce la biodiversità batterica e fornisce substrati antinfiammatori di comprovata efficacia clinica. L’agenda terapeutica proposta dal gastroenterologo, pertanto, integra raccomandazioni dietetiche precise, in modo da sostenere l’efficacia dei farmaci biologici e convenzionali oggi disponibili e ridurre il rischio di malnutrizione, incluse le forme di obesità paradossale che talvolta accompagnano periodi di inattività fisica forzata.
Conseguenze psicologiche e sociali di una patologia invisibile
Il dolore addominale improvviso, la diarrea e il bisogno di accedere ai servizi igienici più volte al giorno impattano su ogni contesto della vita. Sul luogo di lavoro, programmare una riunione o un viaggio diventa motivo di ansia; in ambito relazionale, la paura di un’urgenza incontrollabile può indurre isolamento volontario. Fantini evidenzia come questo peso, spesso sottostimato, richieda un’attenzione specifica: il benessere emotivo è parte integrante della terapia al pari del controllo endoscopico, poiché solo un approccio globale consente di ridurre veramente la sofferenza quotidiana.
A colmare il divario tra bisogni espressi e percepiti interviene la campagna “Voci di pancia”, promossa con il patrocinio di numerose associazioni di pazienti e società scientifiche. L’iniziativa nasce per dare riconoscimento pubblico alle difficoltà nascoste, offrendo strumenti di supporto psicologico e spazi di confronto. Condividere esperienze rompe il silenzio e smantella lo stigma: un processo essenziale affinché le istituzioni sanitarie investano in percorsi integrati che considerino l’impatto sociale delle patologie al pari di quello clinico.
Gestione della gravidanza: continuità terapeutica e sicurezza
Quando la malattia accompagna una donna in età fertile, la pianificazione di una gravidanza esige un coordinamento scrupoloso con il team specialistico. Mantenere il controllo dell’infiammazione riduce il rischio di complicanze ostetriche, mentre le riacutizzazioni rappresentano la minaccia principale per il feto. Il dialogo costante tra paziente e medico permette di modulare la terapia senza sospensioni non necessarie, superando timori infondati riguardo agli eventuali effetti teratogeni dei farmaci.
Fantini ricorda che solo una minima parte dei trattamenti disponibili deve essere interrotta durante la gestazione; la maggioranza, viceversa, può essere proseguita in sicurezza. Il monitoraggio periodico di parametri clinici e laboratoristici consente di intervenire tempestivamente in caso di variazioni dello stato infiammatorio, offrendo una tutela congiunta alla salute materna e a quella del nascituro. La consapevolezza informata è, dunque, il cardine di una gravidanza serena, capace di scongiurare pericolose interruzioni terapeutiche e di garantire al contempo un corretto sviluppo fetale.
Il ruolo del medico: dall’ascolto alla personalizzazione delle cure
La pratica specialistica non può limitarsi all’interpretazione di esami strumentali o alla prescrizione di farmaci biologici: il clinico è chiamato a decifrare le esigenze quotidiane che la malattia impone, modulando le terapie in funzione della qualità di vita. Ascoltare il racconto del paziente, comprendere la fatica di gestire impegni lavorativi, relazioni intime e obiettivi personali equivale a calibrare un trattamento che vada oltre la semplice soppressione dell’infiammazione mucosale.
In quest’ottica, il rapporto medico-paziente diventa un processo bidirezionale: il professionista offre competenza scientifica e strumenti terapeutici avanzati; la persona affetta da Mici conferisce informazioni insostituibili su sintomi, emozioni e ostacoli reali. Dalla sintesi di queste prospettive nasce un percorso personalizzato, sostenuto da campagne di sensibilizzazione, strutture multidisciplinari e un costante aggiornamento sulle migliori pratiche. Solo così la cura si trasforma in alleanza, capace di restituire autonomia e dignità a chi convive con una patologia cronica complessa.