In meno di un anno, l’introduzione del dazio statunitense al 10% sui salumi tricolori ha eroso i margini delle imprese italiane e prospetta, per il 2025, una flessione delle spedizioni oltreoceano che finora avevano sostenuto la crescita del comparto.
Impatto immediato dei dazi sul settore dei salumi
Il direttore generale di Assica, Davide Calderone, evidenzia che il settore dei salumi, fiore all’occhiello del made in Italy con 30 mila addetti e 900 stabilimenti di trasformazione, si trova ora a dover assorbire costi aggiuntivi particolarmente onerosi. Le aziende, già penalizzate da un cambio euro–dollaro sfavorevole, devono inglobare il rincaro doganale senza poterlo ribaltare integralmente sul prezzo finale, pena la perdita di competitività. Una trasformazione che vive di export non può reggere a lungo un incremento così rapido dei costi di accesso a un mercato cardine come quello statunitense.
Sebbene il dazio si sia stabilizzato al 10%, Calderone ritiene che la percentuale resti insostenibile. Le imprese, sottolinea, non dispongono di margini sufficienti per neutralizzare simultaneamente l’onere doganale e l’avverso rapporto valutario. Il risultato più probabile è una contrazione delle spedizioni nel 2025, accentuata da un effetto scorte: molti operatori avevano anticipato gli acquisti non appena si era diffusa la notizia dell’introduzione dei dazi.
I numeri del 2024: tra crescita e criticità
Nel 2024, secondo i dati raccolti da Assica, le esportazioni di salumi verso i Paesi extra-UE hanno raggiunto 66.007 tonnellate, per un controvalore di 791,5 milioni di euro: un progresso dell’11,9% sul piano dei volumi e del 14,2% su quello dei ricavi. Un bilancio che conferma la vitalità del comparto, nonostante un contesto internazionale complesso.
Gli Stati Uniti hanno trainato la performance: 20.188 tonnellate, pari al 19,9% del totale, per 265,1 milioni di euro, ossia il 20,4% del valore complessivo. Tuttavia, Calderone avverte che questa spinta rischia di raffreddarsi a breve. All’interno dei confini nazionali, intanto, il mercato appare saturo: la domanda interna non mostra spazi di espansione, rendendo ancora più cruciale il mantenimento dei canali esteri.
L’azione di Assica negli Stati Uniti
Per attenuare l’impatto dei dazi, Assica sta intensificando il dialogo con l’amministrazione americana. L’associazione ricorda che i salumi italiani non rappresentano soltanto un prodotto importato: diverse aziende hanno investito in stabilimenti di affettamento e confezionamento sul suolo statunitense, creando occupazione locale e versando imposte negli USA. Un aggravio doganale, pertanto, finisce per penalizzare anche operatori che contribuiscono all’economia americana.
L’obiettivo è far comprendere alle autorità di Washington l’importanza di un rapporto commerciale equilibrato. Calderone rimarca che i salumi made in Italy sostengono una filiera distributiva americana che va dal marketing alla logistica. Ridurre le importazioni non sarebbe un vantaggio nemmeno per le controparti d’oltreoceano, che rischierebbero un’offerta meno variegata e minori ricadute occupazionali.
Ricerca di mercati alternativi: ostacoli e prospettive
Spingere le vendite verso nuovi sbocchi fuori dagli Stati Uniti, osserva Calderone, è tutt’altro che agevole. I salumi italiani sono prodotti con caratteristiche organolettiche peculiari, ancora poco conosciute presso molte popolazioni. Aprire un mercato significa investire per anni in promozione, informazione e presenza fisica: un percorso lento che non può compensare nell’immediato la possibile flessione statunitense.
Negli ultimi anni le imprese hanno riversato risorse considerevoli sul mercato nordamericano, ottenendo un riscontro positivo. Rinunciare o ridimensionare tali investimenti significherebbe dilapidare un patrimonio commerciale costruito con grande impegno. Per questo, pur guardando con interesse ad altre aree geografiche, il settore non può realisticamente sostituire nel breve periodo il contributo degli USA.
L’incognita della peste suina africana
Un’ulteriore minaccia proviene dalla peste suina africana, che dal 2022 incide pesantemente sulle esportazioni verso l’Asia. Assica stima un mancato introito di circa 20 milioni di euro al mese da allora, a causa delle restrizioni imposte da paesi quali Giappone e Cina. L’assenza di questi sbocchi si somma alle difficoltà causate dai dazi americani, riducendo lo spettro di possibilità per gli operatori italiani.
Il Giappone ha recentemente riaperto le frontiere ai salumi sottoposti a cottura, in quanto il trattamento termico inattiva il virus, e sono in corso negoziati per estendere l’autorizzazione ai prodotti a lunga stagionatura, che ottengono lo stesso risultato grazie al lungo processo di maturazione. Ristabilire i flussi commerciali con il Far East, seppur gradualmente, rappresenterebbe un sostegno vitale per un comparto che sta fronteggiando simultaneamente crisi sanitarie e barriere tariffarie.