Inizia oggi una fase completamente nuova per la tutela degli animali in Italia: con l’entrata in vigore della cosiddetta legge Brambilla, il nostro ordinamento introduce pene molto più severe per chi li maltratta o li uccide, trasformando in modo sostanziale l’approccio giuridico e culturale a queste condotte.
Le nuove sanzioni penali e amministrative a tutela degli animali
La riforma sancisce innanzitutto un divieto categorico di tenere un cane alla catena, prevedendo sanzioni pecuniarie comprese fra 500 e 5.000 euro. Sul piano penale, chi si rende responsabile di maltrattamenti rischia ora da sei mesi a due anni di reclusione, oltre a un’ammenda che può raggiungere i 30.000 euro. La pena sale ulteriormente se l’episodio viene commesso alla presenza di minori o divulgato attraverso i social: in tali circostanze, le aggravanti generiche possono incrementare la sanzione sino a un terzo, rendendo la misura effettivamente dissuasiva. La volontà del legislatore, in questo caso, è quella di stigmatizzare con decisione le condotte che trasformano il dolore animale in spettacolo o che possano traumatizzare chi ancora non possiede piena maturità emotiva.
Per l’uccisione di un animale il nuovo testo introduce pene fino a tre anni di reclusione, che diventano quattro qualora l’atto sia accompagnato da crudeltà o sevizie, con la contestuale applicazione di una multa che può arrivare a 60.000 euro. Viene quindi armonizzato l’apparato sanzionatorio previsto per i reati contro il patrimonio faunistico e domestico, creando un quadro omogeneo che affianca la detenzione a una consistente componente economica. La coesistenza di carcere e sanzione pecuniaria obbligatoria mira a colpire sia la libertà personale sia il patrimonio, riconoscendo la gravità morale dei fatti e scoraggiandone la reiterazione.
Il cambio di paradigma giuridico: gli animali come soggetti di diritto
In sede di presentazione, Michela Vittoria Brambilla ha sottolineato il valore storico della norma, definendola una riforma attesa da oltre vent’anni. Con l’approvazione del provvedimento, gli animali vengono definitivamente riconosciuti come esseri senzienti e, in quanto tali, quali veri e propri soggetti giuridici titolari di diritti autonomi. Si supera così una concezione meramente patrimoniale, che per decenni ha assimilato il vivente a un bene di proprietà, restituendo dignità a creature incapaci di difendersi in giudizio ma finalmente tutelate dalla forza della legge penale.
L’inasprimento delle pene rappresenta soltanto la parte più evidente di un processo di maturazione culturale più ampio, che coinvolge istituzioni, forze dell’ordine e opinione pubblica. La riforma, infatti, non si limita a punire i colpevoli: essa promuove una responsabilità diffusa, stimolando la comunità a riconoscere che la violenza sugli animali costituisce un’offesa ai valori civili della collettività. In quest’ottica, la centralità del ruolo educativo diviene imprescindibile, poiché la prevenzione passa anche attraverso la sensibilizzazione delle nuove generazioni e una maggiore consapevolezza della sofferenza altrui come limite etico invalicabile.
Strumenti operativi e percorso politico della riforma
Il comandante del Raggruppamento Cites dei Carabinieri, generale Giorgio Maria Borrelli, ha evidenziato come il nuovo impianto normativo offra strumenti decisivi per un’azione di controllo più efficace. Grazie alle aggravanti previste in caso di reati compiuti davanti a minori o diffusi online, le forze dell’ordine disporranno di criteri oggettivi per valutare la pericolosità sociale dei comportamenti e intervenire con tempestività. L’intento è favorire sinergie operative che coniughino repressione e prevenzione, quali fondamenta di un modello di tutela allineato agli standard internazionali più avanzati.
Sul piano politico, l’iter della legge è stato particolarmente complesso. Per quattro legislature, Brambilla ha proposto la riforma incontrando resistenze e ostruzionismi da parte delle opposizioni, che ne hanno rallentato l’approvazione. L’odierno varo segna dunque la conclusione di un lungo sforzo parlamentare, culminato in un risultato definito dalla stessa deputata «motivo di profonda fierezza». L’approvazione finale della norma testimonia come le battaglie di civiltà possano imporsi nonostante le divisioni politiche, quando l’urgenza etica diventa patrimonio comune e il consenso trasversale rete di protezione per chi non ha voce.