In un panorama cinematografico che cambia di continuo, un singolo lungometraggio animato riesce ancora a imporsi come bussola culturale: La città incantata non solo mantiene intatto il proprio fascino, ma scala classifiche prestigiose e conquista cuori ben oltre i confini del Giappone.
L’ingresso trionfale nella graduatoria del New York Times
Quando il severo giudizio del New York Times dirama la sua lista dei cento titoli più influenti del XXI secolo, è inevitabile alzare le sopracciglia di fronte a un nono posto che appartiene a un’opera d’animazione. Hayao Miyazaki e il suo capolavoro, conosciuto in originale come Spirited Away, sventolano la bandiera dello Studio Ghibli in vetta a tutti i film disegnati a mano, superando lavori blasonati in live-action e, soprattutto, relegando gli altri cartoons molto più in basso. Chi avrebbe previsto vent’anni fa un tale traguardo? Eppure eccolo lì, unico lungometraggio animato entro la Top 10, simbolo di una creatività che non invecchia.
«La fiaba disegnata a mano di Miyazaki è l’Alice nel Paese delle Meraviglie dei nostri tempi», annota la prestigiosa testata, sottolineando quell’intreccio tra perdita dell’innocenza, rispetto per la natura e metamorfosi dei personaggi che definisce la poetica del regista. Le immagini del vecchio stabilimento termale, governato da spiriti tanto insoliti quanto magnetici, si trasformano in metafora universale: un labirinto morale dove nulla è davvero bene o male assoluto. Il quotidiano newyorkese celebra così un film capace di dialogare con adulti e bambini, mescolando tradizione nipponica e inquietudini contemporanee in una cornice che resta visivamente ineguagliata.
Disney e Pixar osservano, il primato resta giapponese
Nell’immaginario occidentale, l’animazione di qualità porta quasi sempre la firma di Disney o Pixar. Eppure, a sorpresa, nemmeno la roboante avanzata dei colossi statunitensi è bastata per scalzare La città incantata dal gradino più alto tra i film disegnati. Neppure il raffinato Wall-E, collocato al 34º posto, ha potuto replicare l’exploit di Chihiro e dell’enigmatico Senza-Volto. Il messaggio è chiaro: la grandeur tecnica non prevale sul potere di una narrazione che tocca corde archetipiche e intime allo stesso tempo.
Come spiegare un simile distacco? Forse perché l’opera di Miyazaki parla a un pubblico trasversale, privo di cinismo e ancora disposto a credere alle metamorfosi, alle streghe incapaci di amare e alle divinità fluviali oltraggiate dalla modernità. L’eco spirituale che pervade i fotogrammi rimane un invito al rispetto per l’ambiente e alle responsabilità che l’uomo evita di assumersi. La classifica del New York Times si fa così cassa di risonanza per un’estetica e un’etica la cui forza non si misura in dollari di box office, ma nella capacità di restare vivide nell’immaginario collettivo.
Un Oscar spartiacque e un’eredità che non scolorisce
È il 2001 quando la giovane Chihiro attraversa il tunnel che la condurrà in un universo governato dagli spiriti. Quel passaggio è diventato, retrospettivamente, un varco per l’intera animazione giapponese: la conquista dell’Oscar, primo riconoscimento assoluto per un anime, ha sfidato i pregiudizi di Hollywood e mostrato che il disegno a mano non è un genere minore, bensì un linguaggio universale. Da allora, parlare di “cartoon” in senso riduttivo non è più accettabile, e la vittoria di La città incantata resta il simbolo di quella rivoluzione silenziosa.
A oltre vent’anni dall’uscita, il film non si limita a sopravvivere nei cataloghi: guida nuovi spettatori verso mondi alternativi, introduce gli adolescenti di oggi al cinema d’autore e offre a chi lo rivede l’occasione di scoprire dettagli sfuggiti alla prima visione. Come una lanterna lungo il sentiero, l’opera illumina il passaggio dall’infanzia all’età adulta, invitando a confrontarsi con la paura, l’avidità e l’altruismo. Non stupisce, dunque, che il New York Times lo collochi fra i vertici del XXI secolo; il suo impatto non è affatto un ricordo nostalgico, bensì un presente vivido che continua a interrogare e a incantare.