Non capita spesso di svegliarci con una notizia capace di farci sospendere il respiro, ma stavolta è successo: Lea Massari se n’è andata nella sua casa ai Parioli il 23 giugno 2025, a 91 anni e da allora, diciamolo, il grande schermo sembra un po’ più buio. Noi, spettatori di più generazioni, siamo stati travolti da un’ondata di messaggi, ricordi, spezzoni in bianco e nero che hanno invaso le bacheche social quasi fosse un rito collettivo di ringraziamento. Vi ricordate la sua voce leggermente roca, l’eleganza naturale, quella capacità prodigiosa di sparire dietro al personaggio pur restando inconfondibile? Ecco, tutto riemerge adesso con una forza sorprendente.
Ci siamo chiesti subito come salutare degnamente un’artista così schiva da sembrare, in vita, allergica ai clamori. Proibito, L’Avventura, Il colosso di Rodi, Una vita difficile: titoli che scorrono come una playlist sentimentale, e più scorrono più capiamo perché la sua scomparsa ci tocca da vicino. Non esageriamo se diciamo che Massari è stata un ponte fra il cinema italiano d’autore e quello popolare, fra l’immaginario nazionale e quello francese, fra la linea retta della recitazione classica e la curva imprevista della modernità.
La notizia e le prime reazioni
Le agenzie hanno battuto l’annuncio all’alba del 25 giugno, quando il Messaggero ha rivelato che i funerali si erano già svolti in forma privata nella concattedrale di Santa Maria Assunta a Sutri, nel Viterbese, prima che la salma venisse tumulata nel cimitero comunale dove riposa la sua famiglia. A confermare il decesso è arrivata la nota del sottosegretario alla Cultura Lucia Borgonzoni, che ha parlato di “talento folgorante” e di “un altro lutto che ferisce il nostro patrimonio artistico”.
Da quel momento è partita un’onda di cordoglio che ha unito critici, registi, colleghe, semplici cinefili. Non c’è stato un decreto formale di lutto nazionale, ma l’espressione è rimbalzata ovunque come riconoscimento spontaneo: la Cineteca di Bologna ha promesso una retrospettiva estiva, la Mostra di Venezia le dedicherà un omaggio fuori concorso, mentre Rai Teche sta già restaurando alcuni sceneggiati d’epoca per una maratona in prima serata. Voi lettori forse avete già notato come, in poche ore, L’Avventura di Antonioni sia balzato in cima ai film più visti sulle piattaforme on‑demand: un termometro emotivo che parla da solo.
Una carriera scolpita nella memoria
Tutto comincia nel 1954, quando l’allora ventunenne Anna Maria Massatani abbandona gli studi di architettura in Svizzera e, per omaggiare il fidanzato Leo scomparso prematuramente, sceglie il nome Lea Massari. Da subito la notiamo in Proibito di Mario Monicelli e poi come misteriosa Anna in L’Avventura di Michelangelo Antonioni, un ruolo che ancora oggi fa discutere sui blog di critica. Seguono Sergio Leone con Il colosso di Rodi, Louis Malle con Murmur of the Heart, Dino Risi con Una vita difficile. In ogni film, Massari oscilla fra presenza magnetica e ritirata strategica, quasi temesse di rubare spazio alla storia che racconta.
Nel ’75 eccola lì, seduta tra i grandi, nella giuria di Cannes. Nel ’79 stringe tra le mani il Nastro d’Argento per Cristo si è fermato a Eboli – e lì è come se tutto si chiudesse in un cerchio. Poi, nel ’90, un ultimo film, Viaggio d’amore. E dopo? Silenzio. Nessun sipario calato con fragore, niente interviste d’addio. Sparisce. Così. Come chi sente il bisogno urgente di respirare, di vivere altro. Più tardi lo dirà con un candore disarmante: “difendere i cani randagi e suonare la chitarra in pace”.
E diteci voi se questo non è un modo poetico, autentico, anche un po’ ribelle, di salutare il palcoscenico. A noi, questa scelta, ha sempre parlato forte. Di libertà. Di amore. Di verità.
Chi era Lea Massari dietro la macchina da presa
L’abbiamo conosciuta come diva, ma chi l’ha frequentata la descriveva come antidiva. Dopo il divorzio dal comandante Alitalia Carlo Bianchini si ritira a lungo in Sardegna, coltiva un orto, ospita cuccioli salvati dai rifugi, studia musica brasiliana. Quando nel 1994 una crisi finanziaria la costringe a mettere all’asta la sua collezione di gioielli d’epoca, lei liquida la questione con una scrollata di spalle tipicamente romana: “Sono pietre, l’arte vale di più”.
I vicini di casa raccontano che l’ultima caduta, qualche mese fa, l’aveva resa fragile ma non aveva spento il temperamento. Ancora a maggio la si vedeva passeggiare curta dai cani lungo Viale Parioli, cappello di paglia e sorriso ironico, mentre discuteva con i commercianti di quartiere sul perché dei pollini quest’anno così aggressivi. Dettagli minuscoli, forse, eppure dentro si riflette quell’idea di attore come persona fra le persone che Massari ha incarnato fino all’ultimo.
Perché la sua scomparsa ci riguarda
Quando perdiamo figure del genere perdiamo anche un pezzo della nostra memoria collettiva: non solo una filmografia, ma un modo di stare al mondo. Massari ha portato sul set l’istinto libero del neorealismo e lo ha fuso con la grazia del cinema d’autore europeo, creando personaggi che oggi insegnano ancora a registi e sceneggiatori come si costruisce la complessità senza spiegoni.
Allora vi lasciamo con una domanda semplice: quale sua interpretazione vi ha colpito di più, e perché? Riguardarla non è solo un atto nostalgico, è una lente sul presente che ci aiuta a capire quanto coraggio serva per restare se stessi in un mestiere di maschere. Noi lo faremo questo weekend, magari riscoprendo la copia restaurata di L’Avventura o quell’intenso duetto con Omar Sharif in Viaggio d’amore. Se vi unite, saremo in buona compagnia: Lea Massari ha ancora molte cose da dirci, e a noi fa bene ascoltarle.