La sala conferenze del World Forum dell’Aia era ancora piena di luci quando, a tarda sera, Pedro Sánchez ha alzato la voce per difendere una scelta che pare andare controcorrente rispetto al vento che soffia sull’Alleanza Atlantica. Noi abbiamo seguito ogni passaggio di questo vertice tiratissimo e, ve lo diciamo subito, la partita non è solo contabile. Dietro alle cifre ci sono welfare, politica interna, rapporti transatlantici e – lasciatecelo dire – un certo orgoglio nazionale che in Spagna non manca mai. La richiesta statunitense di fissare al 5% del PIL la soglia di spesa per la difesa ha fatto saltare i nervi a molti, ma è con Madrid che Donald Trump ha acceso lo scontro frontale.
E sì, cari lettori, la miccia l’ha accesa proprio il presidente USA, arrivato all’Aia con tono perentorio: «Vogliono il giro gratis? Pagheranno il doppio in dazi». Parole lanciate come un avvertimento che suonano minacciose per un Paese che, dati alla mano, oggi investe circa l’1,28 % del proprio prodotto interno lordo in difesa - il valore più basso dell’Alleanza - e punta a salire solo fino al 2,1 % entro il 2030. Sánchez ha replicato sostenendo che un salto al 5% significherebbe tagliare sanità e istruzione per oltre 300 miliardi di euro, “una linea rossa invalicabile”.
Un braccio di ferro che scuote l’Alleanza
Noi, osservando da vicino la trattativa, abbiamo visto l’atmosfera irrigidirsi quando gli sherpa spagnoli hanno chiesto di cambiare una sola parola nella dichiarazione finale: da «we commit» a «allies commit». Pare irrilevante? In realtà consente a Madrid di mettersi di lato, pur restando nella foto di gruppo. Mark Rutte, segretario generale NATO, ha messo la firma su una lettera che concede alla Spagna “piena flessibilità” nel percorso di spesa, purché vengano centrati gli obiettivi di capacità fissati a inizio giugno.
E quando il testo è stato sbloccato, Trump ha rilanciato dal podio: «È ingiusto verso gli altri alleati». A quel punto è entrata in campo la diplomazia economica. Il presidente USA ha ventilato tariffe “raddoppiate” sui prodotti iberici; Sánchez ha ribattuto che la politica commerciale dell’Unione è competenza di Bruxelles e che colpire la Spagna significherebbe colpire l’intero mercato unico. Un messaggio rivolto più alla Casa Bianca che ai colleghi europei, intenzionati a chiudere in fretta il dossier.
La posizione di Madrid: numeri e promesse
Facciamola semplice: oggi la Spagna spende poco meno di 20 miliardi di euro per la difesa, equivalenti all’1,28 % del PIL. Per passare al 5 % servirebbero oltre 60 miliardi l’anno, cifra che il Tesoro ritiene ingestibile senza manovre lacrime e sangue. Il premier ha promesso un aumento graduale fino al 2,1 % entro il 2030, alzando la voce sul fatto che “basterà per mezzi, personale e infrastrutture richiesti dalla NATO”.
Non è solo un problema di conti. Il governo di minoranza si regge su un’alleanza fragile con Sumar e sul sostegno esterno di gruppi pacifisti: qualsiasi incremento di bilancio oltre il 2 % rischierebbe di far saltare la legislatura. Basta ascoltare Irene Montero di Podemos, che accusa Sánchez di aver già “messo la firma sul 5 %” e di aver piegato il Paese “a un fascista pericoloso”. Una spaccatura interna che potrebbe costargli l’appoggio parlamentare proprio mentre piovono inchieste di corruzione sul suo entourage.
Le ragioni politiche dietro il rifiuto
Noi sappiamo che, storicamente, Madrid ha preferito spendere in welfare che in armamenti. Il PIL è cresciuto del 3,2 % nel 2024, sopra la media europea, e il governo rivendica il diritto di mantenere servizi pubblici robusti. Il Ministero dell’Economia ricorda che il deficit si è già ridotto al 3,2 % del PIL; spingere la difesa troppo in alto brucerebbe ogni margine di spesa sociale.
Un altro elemento pesa: Sánchez si presenta come il volto più visibile della sinistra europea di governo, spesso in contrasto frontale con Trump su clima, Medio Oriente e diritti civili. Cedere ora significherebbe, narrativamente, consegnare una vittoria all’inquilino della Casa Bianca. E in politica, le narrazioni contano quasi quanto i bilanci.
La reazione statunitense e le conseguenze commerciali
Trump, da par suo, sa usare il bastone dei dazi. Ha annunciato di voler trattare “direttamente” con Madrid su un nuovo accordo commerciale e di essere pronto a colpire olio d’oliva, vino e componentistica auto made in Spain. Sánchez ha liquidato la minaccia definendola «doppiamente ingiusta», ricordando che la Spagna ha un disavanzo commerciale con gli USA e che la politica commerciale la negozia l’UE.
Che cosa può succedere ora? Se Washington inserisse davvero l’agroalimentare iberico nella lista dei prodotti colpiti, la palla passerebbe alla Commissione UE, pronta a reagire con contromisure. Scenario che nessuno, né a Bruxelles né a Madrid, vuole davvero vedere materializzarsi mentre l’economia europea cerca ancora di consolidare la ripresa post‑pandemia.
Che cosa dice la NATO e gli altri alleati
Dietro le quinte, molti partner hanno mal digerito la deroga spagnola, temendo un effetto domino. Italia, Croazia, Portogallo, Belgio e Lussemburgo non hanno ancora raggiunto l’attuale soglia del 2 % e potrebbero chiedere il medesimo trattamento. Rutte lo sa e ha indicato il 2029 come anno di verifica del percorso: chi non avrà dato prova di “sufficienti capacità” dovrà rimettersi in carreggiata.
Eppure, nel documento varato all’Aia, la flessibilità è scritta nero su bianco: goal del 5 % suddiviso in 3,5 % di “hard defence” e 1,5 % di investimenti dual-use, ma possibilità di equivalenza per chi raggiunge target qualitativi. Un compromesso che salva la faccia di tutti, almeno sulla carta, e consente alla NATO di sbandierare unità in un momento di tensione globale.
Gli scenari possibili
Guardiamo avanti. Entro fine anno Madrid dovrà presentare alla NATO un piano dettagliato su come spenderà quel 2,1 %: più cyber‑difesa, droni e contributi alle missioni in est Europa. Nel 2027 arriverà la prima review su uomini, mezzi e interoperabilità: se le forze armate spagnole non saranno all’altezza, la questione tornerà sul tavolo dei ministri.
Sul fronte politico interno, la sfida per Sánchez sarà duplice: difendere la scelta davanti a un’opposizione che lo taccia di anti‑atlantismo e convincere i partner di governo che più difesa non significa meno spesa sociale. Se riuscirà a reggere fino al 2029, potrà dire di aver scritto un precedente: spendere meglio invece di spendere di più. In caso contrario, il rischio è di ritrovarsi stritolato tra Bruxelles e Washington, con il portafoglio vuoto e le piazze piene.