Eravamo collegati alla diretta quando le telecamere hanno pizzicato Giorgia Meloni che alzava gli occhi al cielo mentre Emmanuel Macron le sussurrava qualcosa. Un attimo, meno di due secondi, ed è bastato per incendiare i social: chi ha provato a leggere il labiale, chi ha montato meme fulminanti, chi ci ha visto la prova di un’irritazione antica fra Roma e Parigi. Il video è partito dal tavolo rotondo del G7, è rimbalzato sulle tv di mezzo mondo e in poche ore è diventato il frammento più discusso del vertice canadese.
Lo avete guardato? Provate a rivederlo: Macron si sporge, mano davanti alla bocca, Meloni ascolta, sembra quasi divertita, poi il sopracciglio si alza, gli occhi rotolano verso l’alto e la Premier si scosta di un soffio. Non sappiamo che cosa abbia detto il presidente francese – la scena resta muta – ma il gesto parla da solo: dietro la cordialità di facciata scorre una corrente elettrica fatta di dossier aperti, da quello sui migranti alla partita dei dazi che Donald Trump ha appena rilanciato.
Un vertice sotto pressione
Il G7 2025 si è tenuto fra il 15 e il 17 giugno a Kananaskis, in Alberta, sotto la presidenza di casa del premier canadese Mark Carney. Panorama idilliaco, montagne rocciose, ma l’atmosfera tutt’altro che serena: guerra in Ucraina, crisi mediorientale, mercato dell’energia che vacilla. L’agenda ufficiale parlava di crescita economica, transizione digitale, sicurezza globale; in realtà quasi ogni conversazione finiva per ruotare attorno ai missili su Teheran e al braccio di ferro con Mosca.
Noi abbiamo visto l’unità dei Sette incrinarsi quando Trump, tornato alla Casa Bianca in corsa per gestire l’escalation fra Israele e Iran, ha abbandonato il summit prima del tempo. Al suo passaggio ha sparso dogane più alte e tweet al vetriolo contro Macron, lasciando gli altri leader a ricucire un comunicato minimo: sei dichiarazioni tematiche su minerali critici, intelligenza artificiale, lotta ai trafficanti di esseri umani, più una nota lampo sul Medio Oriente. Nessun testo unitario su Kiev, nonostante le pressioni di Volodymyr Zelenskiy, che se n’è andato senza nuovi armamenti statunitensi ma con due miliardi canadesi in tasca.
Il retroscena dell’episodio
Per capire lo sguardo di Meloni dobbiamo fare un passo indietro. Da mesi la premier prova a vestire i panni di mediatrice fra l’Europa e l’America di Trump sui dazi che minacciano l’export italiano; Parigi, invece, insiste su un approccio più duro con Washington. A ciò si aggiunge la storica frizione sulle rotte migratorie nel Mediterraneo, tema su cui Macron chiede una governance comune, mentre Roma spinge per accordi bilaterali con i Paesi di partenza. Quando il presidente francese si è chinato a parlarle, le telecamere hanno colto un istante in cui tutte queste faglie sono emerse sul volto della leader italiana.
Voi stessi lo sapete: a microfoni spenti si dicono le cose più taglienti. Lì, però, c’erano decine di obiettivi puntati e Macron ha coperto il labiale con la mano: segno che il contenuto non era da passerella. Fonti diplomatiche con cui abbiamo parlato non vanno oltre un laconico “scambio cordiale”. Meglio diffidare delle letture fantasiose che impazzano online: finché non ci sarà audio, il dialogo resta un mistero. L’unica certezza è la reazione, quella sì inconfutabile, che racconta la pressione di negoziati serrati e la fatica di tenere il sorriso in mondovisione.
Cosa c’entra Trump
L’arrivo di Trump in sala, pochi istanti dopo il bisbiglio franco-italiano, ha aggiunto pepe alla scena. Il presidente USA, reduce da un alterco social con Macron e da nuove tariffe sull’acciaio europeo, ha fatto il suo ingresso fra flash e mormorii, costringendo i due a mantenere la posa da buoni vicini. A quel punto noi tutti abbiamo visto Meloni ricomporsi e tornare al bloc-notes, mentre Macron si voltava verso la delegazione statunitense con un sorriso tirato. L’incidenza del leader repubblicano sul clima del summit è stata evidente: ha monopolizzato domande, costretto a un calendario ballerino e, alla fine, è decollato lasciando i partner a sbrogliare l’ultimo comunicato su Gaza.
Vi chiedete se sia stato proprio Trump il tema sussurrato? Possibile. Non dimentichiamo che Meloni doveva vederlo a margine del vertice per tamponare l’effetto-dazi; incontro poi rinviato al volo. Se Macron l’ha avvertita dell’annullamento, l’occhiata al cielo trova una logica cristallina. Ma ancora una volta: senza audio restiamo nel campo delle ipotesi. La notizia è l’immagine, non la frase.
Le sfide sul tavolo
Al di là del gossip diplomatico, il G7 ha consegnato alcuni impegni concreti. Carney ha dato priorità a tre pilastri: proteggere le comunità, costruire sicurezza energetica e accelerare la transizione digitale. Da qui le sei dichiarazioni, fra cui spicca quella sui minerali critici, essenziali per batterie e turbine eoliche, e quella sull’intelligenza artificiale, che mira a standard comuni su trasparenza e sicurezza. Di migrazione si è parlato poco in plenaria, ma un documento ad hoc promette operazioni contro le reti di trafficanti nel Mediterraneo, tema caro all’Italia.
Sull’Ucraina, invece, i Sette hanno confermato il sostegno “finché servirà” ma si sono fermati a una dichiarazione del presidente di turno. Zelenskiy ha salutato con gratitudine i fondi canadesi, definendo però “in crisi” la diplomazia capace di fermare Mosca. Senza il pieno appoggio statunitense, il fronte occidentale traballa e le parole di circostanza non bastano più. Torniamo a casa con l’impressione che l’immagine virale rifletta un malessere diffuso: ciascun leader guarda al vicino con più sospetto del solito.
Perché ci riguarda
Potreste pensare che un semplice eye-roll sia materia da cronaca rosa politica. Eppure quei due occhi roteati valgono più di mille comunicati: mostrano il peso emotivo di decisioni che influenzano guerre, tariffe, salari e mutui. In un mondo dove la comunicazione è frammento e viralità, un gesto diventa lente d’ingrandimento sui rapporti di forza. Se Meloni scuote la testa, se Macron si fa schermo con la mano, vuol dire che la diplomazia classica si crepa sotto la pressione dell’istante social.
E allora vi lanciamo una domanda: quanto conta, per voi lettori, vedere i leader nella loro imperfezione umana? Crediamo sia fondamentale. Perché raccontare il potere significa anche farvi sentire la tensione che scorre fra una risata di circostanza e un silenzio carico di sottintesi. Quel video non cambierà le tariffe né fermerà i razzi su Gaza, ma ci ricorda che dietro ogni trattato ci sono persone, ego, sguardi. E la politica, alla fine, resta un affare tremendamente umano.