Chi l’avrebbe detto che, a quasi diciotto anni dal mattino di Ferragosto in cui Chiara Poggi venne trovata senza vita nella villetta di via Pascoli, avremmo di nuovo i riflettori puntati su Garlasco? Eppure eccoci qui: droni che sorvolano il tetto, laser che scandagliano ogni stanza, tecnici che ricreano la casa in un modellino digitale iper‑dettagliato. Il nuovo sopralluogo in 3D promette di ridisegnare la scena del crimine con una precisione mai vista e di sciogliere - o forse riannodare – i dubbi che accompagnano questa vicenda fin dal primo giorno.
Noi, che in tutti questi anni abbiamo seguito alti e bassi dei processi, sappiamo bene quanto contino i dettagli: le impronte di scarpa, le tracce di sangue, i pedali di una bicicletta sostituiti di corsa. Ora la Procura di Pavia torna a setacciare tutto per verificare se Chiara abbia avuto il tempo e la forza di difendersi, se nella villetta ci fosse più di una persona e, soprattutto, se l’unico condannato finora, Alberto Stasi, sia davvero l’autore dell’omicidio.
La scena del crimine rivive in 3D
Il nuovo rilievo parte da strumenti che, nel 2007, parevano fantascienza: scanner laser lidar, fotogrammetria ad alta risoluzione, un software che ricompone tutto in realtà immersiva. Gli investigatori possono spostarsi virtualmente nei corridoi, misurare distanze al millimetro, sovrapporre schizzi di sangue e traiettorie d’impatto in tempo reale. L’obiettivo dichiarato è capire se Chiara fu colpita sulle scale – come sostiene l’accusa – o se l’aggressione cominciò altrove, ipotesi che cambierebbe l’orario esatto della morte e il posizionamento dei sospetti.
Gli esperti della Polizia scientifica hanno già isolato, in digitale, ogni impronta insanguinata: quelle più piccole potrebbero appartenere alla vittima, altre risultano compatibili con scarpe maschili di varie misure. La rilevazione tridimensionale serve anche a validare la teoria, emersa negli ultimi giorni, secondo cui Chiara avrebbe tentato di sbarrare l’ingresso brandendo la stampella trovata vicino al corpo. Se questa dinamica fosse confermata, cambierebbe il punto d’impatto primario e riaprirebbe il tema della presenza di un eventuale terzo o quarto soggetto in quei pochi metri quadrati.
Un processo lungo diciotto anni
Ripercorriamo insieme la maratona giudiziaria: assoluzione di primo grado nel 2009, confermata in appello nel 2011; Cassazione che annulla tutto nel 2013; secondo appello nel 2014 con condanna a 24 anni; sentenza definitiva della Cassazione nel 2015, pena ridotta a 16 anni per il rito abbreviato. Dal 2016 Stasi è in carcere a Bollate e non ha mai ottenuto la revisione, né in Cassazione né a Strasburgo. Un’odissea che ha alimentato passioni e divisioni in ogni angolo d’Italia.
Ci chiedete spesso quale sia stata la “prova regina”. All’epoca i giudici puntarono sul mix fra l’impronta della scarpa “togli‑e‑metti”, la mancanza di DNA estraneo, i pedali della bici cambiati, le telefonate giudicate troppo fredde. Ma oggi le stesse carte vengono riviste alla luce delle nuove tecnologie forensi: se il modello 3D dimostrasse che la vittima reagì, allora quelle impronte potrebbero non bastare più a reggere la condanna.
Il ritorno sulla scena di Andrea Sempio
Qui entra in gioco Andrea Sempio, amico d’infanzia del fratello di Chiara. Nel 2017 il suo DNA, trovato su un’unghia della vittima, era stato archiviato come contaminazione. Nel marzo 2025 però la difesa di Stasi ha ottenuto la riapertura delle indagini sostenendo che quelle tracce meritavano un’analisi approfondita. Da allora Sempio è di nuovo iscritto nel registro degli indagati insieme ad altri quattro nomi legati al gruppo di amici della vittima.
Il generale in congedo Luciano Garofano, ex comandante del RIS, mette però in guardia: «Quelle tracce non sono databili, potrebbero risalire a giorni precedenti». E per complicare il quadro, una macchia d’interesse andrebbe riprocessata, ma il campione risulterebbe smarrito secondo un’inchiesta di Open. Senza quel reperto, la pista Sempio rischia di restare un’ipotesi sospesa tra tesi accusatorie e dubbi cronici.
Cosa cambierebbe per Alberto Stasi
Se il modellino 3D e i nuovi esami biologici dovessero scagionare Stasi, si aprirebbe la via alla revisione della sentenza per “contrasto irriducibile” fra decisioni definitive, come prevede l’articolo 630 del codice di procedura penale. In quel caso il 41enne, già a metà pena, potrebbe uscire e chiedere allo Stato un risarcimento che, secondo stime di giuristi, supererebbe i sei milioni di euro.
Intanto Stasi resta detenuto in regime di semilibertà, lavora in biblioteca e segue ogni mossa dei periti dal carcere. Il suo legale, Fabio Giarda, ripete che «non abbiamo fretta, abbiamo bisogno di verità». La famiglia Poggi, dal canto suo, teme un’ennesima giostra mediatica e chiede silenzio: «Vogliamo giustizia, non spettacolo». Parole che pesano mentre il Paese si interroga su quante verità possano convivere nello stesso processo.
Domande aperte e prossimi passi
La consegna finale del gemello digitale della villetta è prevista entro agosto; subito dopo, a Pavia, si terrà un incidente probatorio fissato per il 17 giugno, in cui accusa e difesa potranno “muoversi” virtualmente nella casa e proporre le proprie simulazioni. Un test decisivo: se emergeranno discrepanze macroscopiche con la ricostruzione del 2015, il fascicolo potrebbe migrare in Corte d’Appello per l’udienza di revisione.
E voi, che avete letto, vi sentite più vicini a una soluzione? Pensate davvero che le macchine possano restituirci l’attimo esatto in cui la violenza si è scatenata? Lo scopriremo presto. Noi continueremo a entrare e uscire da quella casa in 3D, a contare gli scalini, a seguire ogni pixel di sangue fino all’ultima goccia. Perché dietro i tecnicismi resta una verità semplice, umana: Chiara aveva ventisei anni, un sorriso aperto, un futuro normale. Finché non sapremo chi e perché l’ha strappata a noi, il caso di Garlasco non sarà mai davvero chiuso.