Nel salone d’onore di Palazzo Madama, alla presenza del presidente del Senato Ignazio La Russa, la Legge Brambilla è stata presentata come una svolta epocale per il diritto italiano: per la prima volta l’animale, riconosciuto come essere senziente, diventa soggetto direttamente protetto dall’ordinamento. La promotrice, l’onorevole Michela Vittoria Brambilla, ha sottolineato che il testo offre ai magistrati strumenti penali e pecuniari più incisivi, colmando le lacune che finora attenuavano le conseguenze per chi infliggeva sofferenze gravi. Si sancisce così un passaggio culturale dall’empatia umana alla dignità intrinseca di ogni creatura, proprio mentre il Paese chiedeva norme all’altezza della sensibilità collettiva maturata nel 2025.
Pene pecuniarie e detentive rafforzate
La riforma prevede che l’uccisione di un animale comporti sempre la combinazione di detenzione e sanzione economica: fino a quattro anni di reclusione accompagnati da un’ammenda che può toccare i 60 mila euro. Anche il maltrattamento, in tutte le sue forme, viene colpito da multe fino a 30 mila euro oltre alla pena carceraria già prevista. Il cumulo obbligatorio tra pena detentiva e pecuniaria trasforma la violazione in un costo elevato, reale e immediato per il responsabile, riducendo spazi d’impunità e scoraggiando atti crudeli che finora potevano essere sanzionati in modo blando o solo simbolico.
Non si tratta di misure meramente repressive: i dati delle Procure mostrano che uccisione e maltrattamento coprono il 68,6 % dei reati contro gli animali; il nuovo apparato sanzionatorio intercetta dunque la maggioranza delle violazioni effettive. Casi emblematici – dal cane Angelo martoriato in Calabria al gatto Green ucciso in Veneto – diventano oggi paradigmi di condotte che riceveranno una risposta giudiziaria proporzionata all’orrore compiuto. L’obbligo di multa aggiuntiva, modulato sulla gravità, segna la fine di pene troppo leggere che mortificavano la coscienza pubblica.
Reati perseguiti d’ufficio e contrasto alle organizzazioni criminali
L’estensione dell’articolo 638 c.p. rende procedibile d’ufficio l’uccisione o il danneggiamento di animali altrui, introducendo pene da uno a quattro anni e includendo esplicitamente bovini ed equini: basta un singolo capo perché scatti la tutela. Questa innovazione, che interessa già il 4 % dei fascicoli pendenti, consente alla polizia giudiziaria di agire senza attendere la querela del proprietario, evitando che paura o rassegnazione aprano varchi all’illegalità. Si rafforza così la capacità dello Stato di intervenire tempestivamente in territori dove la violenza sugli animali resta spesso sommersa.
Ancor più severo è l’inasprimento delle pene per combattimenti fra animali, gare clandestine e traffico di cuccioli. Per chi trae profitto abituale da tali attività scatta l’applicazione delle misure patrimoniali previste dal codice antimafia, inclusi sequestro e confisca di beni. Le indagini dei reparti speciali della Guardia di Finanza otterranno così un impulso decisivo, colpendo filiere criminali che usano la crudeltà come fonte di reddito. L’assimilazione ai reati di stampo mafioso riflette la particolare pericolosità sociale di queste condotte.
Divieto nazionale di catena e armonizzazione europea
Accanto alla stretta penale, la legge introduce sanzioni amministrative fino a 5 mila euro per chi mantiene un cane legato alla catena: un divieto che ora vale su tutto il territorio italiano, senza eccezioni regionali. La misura avvicina il nostro ordinamento a quello di Paesi come Svezia, Norvegia e Regno Unito, dove la pratica è già vietata o fortemente limitata. Si riconosce così che la restrizione prolungata compromette integrità fisica e psichica dell’animale, rendendo la sanzione non un semplice precetto ma un presidio di benessere.
L’applicazione, affidata a forze di polizia locali e servizi veterinari, ripristina uniformità su un tema spesso lasciato al solo volontariato. Oltre al disincentivo economico, la norma introduce un chiaro messaggio educativo: la custodia responsabile esclude qualunque forma di detenzione punitiva. Il divieto di catena si inserisce in un quadro che considera ogni specie degna di condizioni di vita consone alla propria natura, cancellando gradualmente prassi sopravvissute per inerzia culturale più che per necessità oggettiva.
Dalla sensibilità collettiva alla tutela costituzionale
Giuristi e accademici hanno letto nella Legge Brambilla la prima concreta attuazione della riforma dell’articolo 9 della Costituzione, che estende la protezione ai viventi non umani. Il presidente di sezione del Consiglio di Stato Michele Corradino ha definito il testo «un’applicazione coerente del principio di salvaguardia», mentre il tenente colonnello Emiliano Zatelli dei Nas ha ricordato come il 20 % dei controlli su canili e mangimi evidenzi irregolarità ancora da sanare. La legge diventa dunque anche bussola per le istituzioni chiamate a tradurre il dettato costituzionale in azioni concrete.
Lo slittamento di prospettiva – dagli interessi umani al valore intrinseco dell’animale – è stato salutato come una «rivoluzione copernicana» dalla professoressa Margherita Pittalis, che intravede nella riforma un ponte verso norme regionali più avanzate. I nomi di Angelo, Aron, Leone e Green evocano episodi di brutalità che la nuova disciplina renderà più agevolmente punibili, chiudendo la distanza tra indignazione sociale e risposta giudiziaria. La dignità animale smette di essere un concetto etico astratto per trasformarsi in parametro giuridico vincolante.
Prospettive: dalla tutela domestica alla difesa della fauna selvatica
L’onorevole Brambilla annuncia già la prossima sfida: estendere il medesimo livello di protezione agli animali selvatici, proseguendo la propria storica campagna contro la caccia. L’intento è inserire la fauna libera in un sistema di garanzie che non ammetta deroghe basate su interessi venatori o economici. Il passaggio appare coerente con la logica della riforma, che non distingue più tra animali d’affezione e altri esseri viventi, riconoscendo a tutti il medesimo diritto di non subire sofferenze ingiustificate.
Guardando al futuro, magistratura, forze di polizia e comunità scientifica sono chiamate a costruire prassi applicative omogenee che diano piena efficacia alla legge. La sinergia tra indagini, controlli veterinari e sensibilizzazione pubblica sarà decisiva per trasformare la norma in cambiamento reale. La Legge Brambilla, nata nel cuore delle istituzioni, segna una tappa che proietta l’Italia tra i Paesi leader nella protezione degli animali, tracciando una rotta giuridica e culturale destinata a durare.