L’8 e 9 giugno i cittadini italiani torneranno ai seggi per esprimersi su cinque referendum abrogativi che toccano due nodi centrali dell’agenda sociale: la tutela del lavoro e l’accesso alla cittadinanza. Si voterà dalle 7 alle 23 di domenica e dalle 7 alle 15 di lunedì, in parallelo ai ballottaggi delle amministrative; gli aventi diritto all’estero hanno già ricevuto le schede per posta. Perché ciascun quesito sia valido dovrà recarsi alle urne il 50 % + 1 degli elettori.
Il pacchetto referendario nasce da due campagne di raccolta firme: la CGIL ha promosso i quattro quesiti sul lavoro raccogliendo oltre quattro milioni di sottoscrizioni, mentre un fronte di movimenti e partiti liberal-progressisti (+Europa, Radicali, PSI, Possibile, Rifondazione) ha spinto il quesito sulla cittadinanza totalizzando più di 637 000 firme. Il via libera definitivo è arrivato dalla Corte costituzionale il 20 gennaio 2025, che ha bocciato invece il referendum contro l’autonomia differenziata.
I cinque quesiti in dettaglio
Il pacchetto si divide in quattro schede sul lavoro e una sulla cittadinanza. Tutti i quesiti sono abrogativi: un eventuale “Sì” cancella totalmente o in parte le norme indicate, mentre la vittoria del “No” o il mancato quorum lasciano tutto invariato. Ognuna delle cinque schede è contraddistinta da un colore diverso per semplificare la consultazione ai seggi.
Oltre al quorum, conta la chiarezza dei quesiti: ogni scheda riporta il testo integrale della norma da abrogare e una sintesi approvata dal governo. L’elettore deve barrare Sì se vuole l’abrogazione, No se intende mantenerla. Il Ministero dell’interno ha già diffuso i fac-simile delle schede e le istruzioni di voto per i fuori sede.
I quesiti sul lavoro
- Primo quesito (scheda verde) – Abroga il decreto legislativo 23/2015 del Jobs Act, ripristinando di fatto l’articolo 18 per i licenziamenti illegittimi: in aziende sopra i 15 dipendenti tornerebbe la reintegra obbligatoria, oggi sostituita da un indennizzo monetario.
- Secondo quesito (scheda arancione) – Interviene sulle piccole imprese sotto i 16 dipendenti eliminando il tetto dei sei mesi di indennità per licenziamento senza giusta causa: il giudice stabilirebbe il risarcimento caso per caso, con parametri come età e carichi familiari.
Il terzo quesito (scheda grigia) mira a reintrodurre l’obbligo di causale per tutti i contratti a termine fino a 12 mesi, cancellando la flessibilità introdotta con il Jobs Act e aggiornata dal decreto Lavoro 2023. Il quarto (scheda rossa) estende la responsabilità solidale del committente negli appalti anche per gli infortuni dovuti a rischi specifici dell’appaltatore, abrogando il comma che oggi lo esclude.
Il quesito sulla cittadinanza
La scheda gialla riduce da dieci a cinque anni il periodo di residenza richiesto agli stranieri extracomunitari maggiorenni per chiedere la cittadinanza italiana, cancellando il comma 1-f dell’articolo 9 della legge 91/1992. Restano invariati requisiti come reddito, lingua e assenza di condanne. I promotori stimano che la riforma potrebbe riguardare circa 2,5 milioni di residenti stranieri; governo e partiti di destra temono un “effetto calamita”.
Il comitato SìAmoItalia insiste su un «atto di giustizia civile» in linea con gli standard europei, mentre Lega e Fratelli d’Italia invitano all’astensione, definendo il quesito “una sanatoria mascherata”. Forza Italia, seppur alleata di governo, lascia libertà di coscienza; parte del Terzo Polo si è schierata per il No.
La sfida del quorum
I sondaggi concordano: l’affluenza potrebbe oscillare tra il 31 % e il 40 %, ben sotto la soglia del 50 % + 1 necessaria. Secondo Ipsos solo il 62 % degli italiani sa di cosa trattano i quesiti, con picchi di intenti di voto tra elettori PD e M5S e un forte scetticismo nel centrodestra, dove prevale la strategia dell’astensione.
La CGIL e i promotori del quesito sulla cittadinanza stanno puntando su mobilitazioni last-minute e testimonial del mondo accademico, artistico e sportivo per spingere al voto. Al contrario, molte sigle imprenditoriali e alcuni sindacati autonomi temono ricadute economiche e chiedono di “non farsi trascinare in una battaglia ideologica”.
Cosa succede dopo
Se il quorum sarà raggiunto e prevarrà il “Sì”, il Parlamento dovrà adeguare l’ordinamento immediatamente: le disposizioni abrogate cesseranno di avere efficacia il giorno successivo alla pubblicazione del risultato in Gazzetta Ufficiale, mentre per le norme sul lavoro rimarranno in vigore le parti precedenti del Testo unico o, dove non esistono, varranno automaticamente le tutele dell’articolo 18 e del codice civile.
Se il quorum salterà o vincerà il “No”, resterà tutto com’è oggi, ma il voto avrà comunque valore politico: misurerà la capacità dei sindacati di mobilitare sul lavoro e segnerà un test per la maggioranza di governo sul tema dell’inclusione. Per molti analisti, il vero banco di prova non sarà tanto l’esito dei quesiti quanto l’asticella dell’affluenza: superare anche solo il 40 % ridarebbe fiato alla democrazia referendaria dopo anni di astensionismo.