La battaglia legale sui nuovi dazi di Donald Trump si è trasformata in un drammatico ping-pong giudiziario durato ventiquattro ore. Mercoledì 28 maggio la United States Court of International Trade ha bocciato i cosiddetti «Liberation Day tariffs», ritenendoli illegali perché il presidente avrebbe oltrepassato la propria delega ricorrendo all’International Emergency Economic Powers Act. Giovedì 29, però, la Corte d’Appello del Federal Circuit ha sospeso quella stessa sentenza, ripristinando temporaneamente i prelievi doganali: un colpo di scena che rimette in moto una manovra da miliardi di dollari e scuote le capitali di mezzo mondo.
La misura, annunciata alla Casa Bianca il 2 aprile, prevede un dazio universale del 10 % su quasi tutte le importazioni e tariffe ancora più alte verso sessanta Paesi con ampio surplus commerciale verso Washington. Trump la definisce una «dichiarazione di indipendenza economica», i detrattori la vedono come l’innesco di una nuova guerra commerciale. Gli importatori statunitensi, che valgono circa 3,2 trilioni di dollari di merce all’anno, ora non sanno se pagare o congelare gli ordini mentre il contenzioso si avvia verso la Corte Suprema.
Origini dello scontro
Il cuore della controversia è l’uso straordinario dell’IEEPA, la legge del 1977 che consente al presidente di reagire a «emergenze nazionali» emanando sanzioni economiche. Con l’ordine esecutivo 14257, firmato sotto i riflettori del Roseto, Trump ha assimilato il deficit commerciale a una minaccia alla sicurezza, imponendo dazi generalizzati a partire dal 5 aprile e tariffe «reciprocità» dal 9. Mai, in quasi cinquant’anni, l’IEEPA era stata invocata per tassare importazioni civili: lo choc ha spinto conglomerati industriali, retailer e governatori di Stati costieri a rivolgersi ai tribunali prima ancora che le dogane iniziassero a riscuotere.
A guidare il ricorso è il National Foreign Trade Council, affiancato da colossi come Walmart, Toyota e la National Retail Federation. Nella loro istanza si sostiene che solo il Congresso può istituire imposte doganali e che l’ordine di Trump elude il principio costituzionale della separazione dei poteri. Tre giudici – Jane Restani, Gary Katzmann e Timothy Reif – hanno accolto l’argomento all’unanimità, stoppando l’incasso dei dazi entro dieci giorni e aprendo la porta a rimborsi miliardari per le aziende che avevano già versato anticipi alle dogane.
Il verdetto della Court of International Trade
Nel dispositivo di 54 pagine depositato mercoledì, la Court of International Trade afferma che l’IEEPA non conferisce al presidente il potere di imporre tariffe su larga scala. Il collegio ricorda che il ruolo dell’atto è circoscritto a bloccare beni di Paesi “ostili” o entità terroristiche, non a ridisegnare la politica commerciale. Da qui l’ordine di sospensione immediata dei “Liberation Day tariffs”, una mossa che ha mandato in tilt il servizio telematico della dogana, sommerso dalle richieste di rimborso e di riesportazione presentate da migliaia di spedizionieri.
Per i mercati è stato un sospiro di sollievo: il Dow Jones ha guadagnato oltre l’1,5 % e il dollaro si è rafforzato contro euro e yuan, mentre Londra, Francoforte e Tokyo hanno chiuso in rialzo dopo settimane di volatilità legata alle prospettive di una recessione da dazi. Sul fronte politico, i democratici hanno salutato la decisione come «una vittoria dello Stato di diritto», i repubblicani moderati come il senatore Mitt Romney temono invece che il dietrofront possa indebolire la posizione negoziale di Washington con Pechino e Bruxelles.
Il contrattacco della Casa Bianca
Nemmeno ventiquattro ore dopo, il Dipartimento di Giustizia ha presentato al Federal Circuit un’istanza d’emergenza chiedendo la sospensione del blocco. La corte d’appello ha concesso lo stay nel tardo pomeriggio di giovedì, motivandolo con la necessità di «preservare lo status quo in materia di politica economica». In pratica, fino a una decisione sul merito, le dogane possono continuare a riscuotere i dazi, benché il caso resti formalmente pendente. La Casa Bianca festeggia: «I dazi sono essenziali per proteggere l’industria americana», ha detto la portavoce Karoline Leavitt.
Il testo dell’appello preannuncia le linee di difesa dell’amministrazione: prima, l’IEEPA dà al presidente ampia discrezionalità in caso di minaccia economica; seconda, il Congresso dispone già di altri canali – come la Trade Act del 1974 – se vuole limitare l’azione dell’esecutivo; terza, sospendere i dazi ora creerebbe un vuoto normativo e danni irreversibili al Tesoro. In parallelo, gli avvocati della Casa Bianca valutano di riformulare parte delle tariffe sotto lo Section 232 (sicurezza nazionale) o lo Section 301 (pratiche scorrette), ipotesi che allungherebbe la saga fino alla Corte Suprema.
Le ricadute economiche e politiche
Secondo Vogue Business, la moda statunitense – dieci milioni di posti di lavoro e un fatturato di 500 miliardi di dollari – è fra i settori più esposti, con tariffe medie già al 12,6 %. Con l’entrata in vigore della tassa del 10 % i costi arriverebbero al 22 %, innescando rincari al dettaglio e possibili licenziamenti. Anche l’elettronica, l’auto e l’agroalimentare temono colpi pesanti: l’importazione di componenti cinesi per smartphone, di lamierati europei per auto elettriche e di formaggi francesi già sconta addizionali superiori al 25 %.
All’estero il verdetto del tribunale è stato accolto con prudenza, ma Bruxelles e Pechino hanno avvertito che «ritorsioni mirate» torneranno sul tavolo se Washington riproverà a colpire. L’Unione europea valuta un dazio speculare su soia e whisky, mentre la Cina rinfresca la lista degli airplane tariffs pronta dal 2019, stavolta includendo aeromobili Boeing 737 Max. Kristalina Georgieva, FMI, teme una spirale che potrebbe sottrarre fino a 1,2 punti di PIL globale entro il 2026; l’Organizzazione mondiale del commercio intanto registra 23 nuove notifiche di barriere dal 2 aprile a oggi.
Le prossime tappe
Entro il 10 giugno le parti dovranno depositare memorie integrative al Federal Circuit; a quel punto i giudici potranno confermare o revocare lo stay, oppure trasmettere il fascicolo direttamente alla Corte Suprema per un giudizio accelerato. Intanto il Congresso discute un emendamento bipartisan che riaffermi la prerogativa legislativa in materia di dazi, mentre la Speaker democratica Hakeem Jeffries invita gli importatori a «documentare ogni danno» per eventuali risarcimenti statali. La CBO stima che lo stop definitivo ai dazi aprirebbe un buco di 150 miliardi in tre anni nei conti federali.
Sullo sfondo, la controversia diventa benzina per la campagna 2026: Trump presenta le tariffe come scudo dei lavoratori industriali del Midwest, i rivali democratici replicano che è una tassa nascosta sulle famiglie. In gioco non c’è solo la rotta commerciale, ma il rapporto di forze fra poteri federali. Se la Corte Suprema dovesse confermare i giudici di primo grado, la Casa Bianca perderebbe uno strumento chiave della sua agenda economica; in caso contrario, il presidente avrebbe un precedente per usare la leva tariffaria senza passare dal Congresso.