Bologna, 27 maggio 2025 – Davanti a un teatro EuropAuditorium gremito di imprenditori, Giorgia Meloni ha scelto l’assemblea annuale di Confindustria per lanciare un messaggio a Bruxelles: «L’Europa abbia il coraggio di rimuovere quei dazi interni che si è auto-imposta». La premier, accolta dal presidente degli industriali Emanuele Orsini e dalla presidente del Parlamento europeo Roberta Metsola, ha difeso il mercato unico come baluardo contro le spinte protezionistiche in arrivo dagli Stati Uniti e da altri competitor globali.
Meloni ha ricordato che, secondo stime citate dal Fondo Monetario Internazionale, scambiare un bene all’interno dell’Unione costa in media quanto un dazio del 45 %, mentre nei servizi l’onere equivalente sfiora il 110 %. «Non è sostenibile», ha avvertito, collegando le barriere “interne” all’erosione di competitività dell’industria europea. Sullo sfondo incombono i dazi al 50 % minacciati dal presidente Trump sulle merci Ue, rinviati al 9 luglio per tentare una trattativa last-minute.
Il contesto politico ed economico
La richiesta di smantellare i “dazi domestici” arriva in una fase di forte incertezza. A Bruxelles si discute di riforma del Patto di stabilità, mentre Washington agita lo spettro di una guerra commerciale. Confindustria teme ricadute a catena: secondo Orsini, l’Italia rischia di perdere due punti di PIL se le tariffe Usa entrassero in vigore senza contromisure di bilancio europee. Da qui l’appello a un’Europa «più politica che burocratica» e alla Germania del cancelliere Friedrich Merz per un’alleanza industriale Roma-Berlino.
Sul fronte interno, la premier rivendica uno spread dimezzato, Borsa in crescita e giudizi delle agenzie di rating «migliorati dopo venticinque anni», ma ammette che l’energia resta il nodo numero uno. Il governo prepara un’analisi sul mercato elettrico per verificare possibili anomalie speculative, forte dei 60 miliardi già spesi in aiuti. «Spendere soldi pubblici non può essere la soluzione definitiva», insiste Meloni, che rilancia sul nucleare di nuova generazione e su un «patto nazionale» con sindacati e imprese.
Le richieste di Confindustria
Dal palco, Emanuele Orsini elenca le priorità degli imprenditori. Primo: un piano da 8 miliardi di euro in tre-cinque anni per permettere alle aziende di investire malgrado il caro-energia, finanziato riorientando fondi del PNRR e della coesione Ue. «Ogni giorno si consuma un dramma per famiglie e imprese», avverte il presidente, chiedendo di sganciare il prezzo del gas da quello delle rinnovabili e di accelerare sul ritorno al nucleare.
Secondo: flessibilità di bilancio. Confindustria propone di estendere alle spese industriali le deroghe già concesse per la difesa, evitando che il Patto di stabilità freni gli investimenti verdi e digitali. Terzo: diplomazia commerciale. Orsini sollecita l’UE a chiudere l’accordo con il Mercosur e ad aprirne con Australia, India, ASEAN e Unione Africana, per diversificare mercati di sbocco mentre Washington alza i muri.
Le cifre dietro i «dazi interni»
I “dazi” evocati da Meloni non sono tariffe doganali in senso stretto – vietate dal Trattato di Roma – bensì costi di natura regolatoria: tempi di autorizzazione dispari, normative tecniche non armonizzate, oneri burocratici che impediscono a beni e servizi di circolare liberamente. Lo studio dell’FMI citato dalla premier calcola un equivalente tariffario medio del 45 % per i beni e del 110 % per i servizi, con picchi nei settori energia, costruzioni e finanza.
Per le imprese italiane la frammentazione si traduce in perdite di competitività rispetto a Stati Uniti e Cina, dove il costo di distribuire un prodotto in tutto il mercato interno è stimato attorno al 15 %. Le PMI pagano il prezzo più alto: devono replicare certificazioni per ogni Stato membro e gestire fino a 27 regimi fiscali. «Se l’Europa vuole essere sovrana, cominci da qui», ha chiosato Meloni.
Gli effetti sulla manifattura italiana
La premier ha fatto esempi concreti. Sul dossier ex Ilva rivendica «piena disponibilità a fare la nostra parte, ma senza ostacoli politici», richiamando l’attenzione di azionisti e autorità locali. Nel comparto automotive, Meloni critica il «cambio di tecnologia imposto per norma» sull’elettrico, filiera oggi «controllata dalla Cina», e anticipa nuove misure per tutelare la componentistica nazionale.
Industriali e governo convergono su un punto: con energia e debito caro, la sola leva rimasta è la produttività. Orsini propone sgravi per chi investe in robotica e intelligenza artificiale; la segretaria della Cisl, Daniela Fumarola, apre a un «patto sociale» che colleghi contratti, formazione e partecipazione dei lavoratori agli utili. L’obiettivo condiviso è raggiungere una crescita stabile del 2 % nel prossimo triennio.
Le prossime tappe a Bruxelles
Meloni punta ora a trasformare l’appello in agenda politica. Il governo ha chiesto che il tema venga inserito al prossimo Consiglio europeo di giugno, insieme al negoziato sull’allentamento delle regole fiscali. In parallelo, Palazzo Chigi lavora a un vertice Ue-Usa a Roma, proposta formulata durante la visita a Washington e già avviata con un primo incontro il 18 maggio fra il senatore americano JD Vance e Ursula von der Leyen.
Se Bruxelles accoglierà l’idea di un “tagliando” al mercato unico, Confindustria è pronta a presentare un pacchetto di proposte tecniche – dalla semplificazione delle norme RoHS ai certificati digitali unici per i servizi – per abbattere entro il 2030 almeno la metà dei costi equivalenti a dazio. «Pensate in grande, io farò lo stesso», ha concluso Meloni tra gli applausi, lasciando agli industriali la promessa – e la sfida – di un’Europa finalmente senza barriere interne.